Massa Carrara - Pontremoli

Occupazione in Lunigiana: una crisi da non accettare

di Paolo Bissoli

Se si raffrontano in valore assoluto con quelli dell’aera di costa potrebbero sembrare poca cosa, ma il centinaio di posti di lavoro che sono a rischio in Lunigiana rappresentano una fetta straordinariamente importante dell’economia del comprensorio.

Lo sciopero provinciale di fine gennaio ha riportato l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni su un problema che da sempre grava su questa terra di confine; se dopo gli anni bui della crisi e dello smantellamento dell’area industriale apuana, la provincia aveva ripreso un cammino che, pur faticosamente, l’aveva portata a guardare con fiducia al futuro, la nuova crisi economica rischia di penalizzare soprattutto i territori meno forti. Gli effetti si sono sentiti subito: troppi i posti di lavoro a rischio dove già quelli esistenti non bastano.

GRANDE APPRENSIONE

Percentualmente le famiglie che, anche in Lunigiana, guardano, con grande apprensione, al futuro hanno un notevole peso sul panorama generale. Il comprensorio negli ultimi trent’anni ha visto chiudere, una dopo l’altra, le poche realtà occupazionali esistenti senza registrare la nascita di alternative della stessa dimensione; la gente della Lunigiana ha così cercato di arrangiarsi, attingendo a quella che, da secoli, è stata la «risorsa» alla quale aggrapparsi nei momenti più difficili: l’emigrazione. Si continua infatti a partire, siano esse lontananze temporanee, pendolarismi o distacchi definitivi; continuano ad andarsene soprattutto i giovani, ma non solo. Oggi il lavoro si perde anche a quaranta e più anni e spesso la partenza è l’unica soluzione.

Ecco perché, in una terra che ha poche alternative, anche quel centinaio di posti di lavoro a rischio sono fondamentali: perderli sarebbe catastrofico. Ad essere coinvolti, loro malgrado, sono i lavoratori di due realtà molto diverse, accomunate dal territorio dove hanno la sede: Villafranca.

FIACCOLATA DI NATALE

Da un lato c’è lo stabilimento della ex Panda, un’ottantina tra operai e impiegati, da quasi due anni senza lavoro, ormai alla fine della cassa integrazione rinnovata più volte: tra poco scatterà la messa in mobilità, poi il licenziamento e la ricerca di un’occupazione altrove. Ma chissà dove.

Ha fatto un grande effetto vederli sfilare per le strade con le famiglie e tanta gente nella fiaccolata silenziosa alla vigilia di Natale, ma il futuro resta più che incerto. Del resto la storia dello stabilimento dove si sono prodotti per anni pannelli in legno truciolato è stata spesso costellata da vicende complesse, caratterizzate da polemiche per l’inquinamento, per la mancanza dei filtri adeguati ad abbattere i fumi, da ricatti occupazionali, da timori per la salute dei lavoratori e degli abitanti dell’area. Fino alle analisi di un paio di anni fa quando venne accertato che dal camino dello stabilimento usciva anche diossina.

Dopo la chiusura, nei lunghi mesi della cassa integrazione, i tentativi di ridare un futuro produttivo sono andati a vuoto; resta ancora una qualche vaga speranza, forse solo perché non si è ancora scritta la parola fine e perché alla messa in mobilità dei lavoratori mancano ancora alcune settimane. Del resto sul piano industriale presentato dalla società che per ultima aveva gestito l’impianto gravano tali e tanti punti interrogativi da giustificare le preoccupazioni più nere.

L’altra situazione di crisi riguarda la Coaf, la «Cooperativa di operai agricoli e forestali» che una quindicina di anni fa si era imposta come una delle realtà occupazioni più interessanti e numericamente importanti della Lunigiana con oltre cento soci dipendenti, lavoro cercato anche lontano dal comprensorio, commesse ricevute un po’ ovunque.

PAURA DEL FUTURO

Con i pensionamenti degli ultimi anni gli operai rimasti sono una novantina, ma per circa venti di essi da un momento all’altro il futuro ha cambiato colore; da una settimana all’altra infatti la cooperativa che ha la propria sede ad Irola, nelle campagne villafranchesi, non si è vista rinnovare un appalto da cinquecentomila euro l’anno per la manutenzione di alcune strade provinciali.

Una decisione che la Provincia ha giustificato dal punto di vista amministrativo e che la Coaf ha contestato: ma al di là delle polemiche ci sono più di venti famiglie che non sanno per quanto tempo ancora potranno contare sullo stipendio. Per ora tutti restano al lavoro, redistribuiti nei diversi cantieri aperti qua e là; intanto si cercano nuovi appalti e commesse ma non è facile far fronte ad un’emergenza in così breve tempo. Qualche prospettiva potrebbe esserci fra quattro-cinque mesi, ma il rischio di non arrivarci è davvero grande: da togliere il sonno.

POCHE ALTERNATIVE Anche perché anche al di fuori dei confini lunigianesi le alternative diventano sempre più difficili; basti pensare alla Parmalat; a Collecchio lavorano una sessantina di persone che ogni giorno, in treno o in auto, attraversano l’Appennino da Villafranca, Bagnone, Filattiera, Pontremoli… Anche per loro le prospettive sono diventate all’improvviso incerte: ci sono giovani che stavano per sposarsi e che si sono presi una pausa di riflessione, altre famiglie che hanno rinviato a chissà quando spese e investimenti, magari per la casa. Anche per questo la Lunigiana non si può permettere di perdere posti di lavoro. Nemmeno uno.