Opinioni & Commenti
Obama, «Yes we did!»
DI RICCARDO MORO
Yes we did! Questa era la scritta che campeggiava sulle magliette di migliaia di persone in questa notte di festa americana. Dopo aver ripetuto con tenacia per tutta la campagna elettorale Yes we can, oggi la maggioranza degli americani grida Sì, lo abbiamo fatto!. La festa notturna nelle strade americane in questo momento è incontenibile, come la disfatta dei repubblicani.
La candidatura di Obama ha coinvolto un paese che ha sofferto otto anni di presidenza responsabilmente mediocre. Gli errori clamorosi nella politica estera e in quella interna dell’amministrazione Bush saranno difficilmente ripetibili. Lo stato dei servizi pubblici statunitensi è semifallimentare; la crisi finanziaria è anche il risultato della scelta di non regolare né controllare; le campagne militari all’estero sono un disastro. La voglia di cambiamento era riconoscibile già dalle primarie, che mai avevano visto una partecipazione tanto popolare. Anche durante la campagna elettorale vera e propria il numero di persone che partecipavano agli eventi organizzati dal candidato democratico era impressionante. Un candidato dignitoso avrebbe catalizzato questa voglia di cambiamento. Barack Obama è stato parecchio di più. In un momento delicato della campagna elettorale è partito per un viaggio all’estero che si ricorderà, in cui ha con chiarezza fatto capire che il dialogo sarà la cifra della sua politica estera. Nelle questioni di casa ha parlato senza infingimenti. Ha proposto strumenti per l’economia che favoriscano il mercato, ma nel ruolo che la costituzione gli dà di strumento di diffusione del benessere e non di arricchimento spregiudicato di alcuni ai danni della comunità. Ha annunciato con coraggio una riforma fiscale volta alla redistribuzione. Ha proposto una riforma della politica sociale, quantificando i finanziamenti relativi in modo esplicito, chiedendo di essere misurato domani su queste promesse. Per offrire un solo esempio ha proposto un incremento di 18 miliardi di dollari per la scuola pubblica, con il piano finanziarlo per coprire la spesa e un percorso di consultazione nazionale da implementare prima di mettere in atto la riforma. Una lezione di politica che molti dovrebbero ascoltare.
A questa chiarezza i repubblicani hanno risposto senza una vera linea. I contenuti mancavano. La candidatura alla vicepresidenza è stata imbarazzante, per impreparazione e stile. Il presidente in carica veniva tenuto lontano, per paura di effetti negativi, segno di un imbarazzo che non ha chi è sicuro delle proprie proposte. Il colmo è stato raggiunto negli ultimi giorni in cui Mc Cain si è ridotto a gridare Mac is back, Mac è tornato, e niente più, come se questo bastasse a guidare un paese.
Ora per Obama comincia il lavoro vero. Passare dalla campagna elettorale e dalle proposte alla gestione quotidiana del paese più potente del mondo non è mai indifferente, ma il nuovo Presidente degli Stati Uniti ha dimostrato in questi anni di avere determinazione, idee e capacità di gestire macchine organizzative complesse mantenendo visione globale. Per il mondo intero si accende una speranza. Ci aspettiamo una stagione di nuovo multilateralismo e una nuova fase di rapporti regionali improntati alla concertazione. Speriamo in un contributo reale alla pace e alla lotta alla povertà
Ciò che più colpisce l’emozione in queste ore è naturalmente la reazione di chi non è bianco. In tutto il mondo, non solo in Africa, un’onda di speranza e di entusiasmo sta coinvolgendo neri e soprattutto meticci, posto che questo termine significhi qualcosa. Il paese che ha ucciso Martin Luther King e Kennedy oggi elegge un uomo che appartiene alla storia politica, culturale, religiosa e razziale di entrambi e di tutti coloro che sono stati vittime del razzismo, del pregiudizio e dell’odio. Un uomo che veniva dal nulla, ha avuto la possibilità di studiare, laureato ha scelto di lavorare come assistente sociale nei quartieri poveri della sua città, quindi si è dato alla politica e oggi viene eletto dicendo noi’.
Non si può e non si deve tacere la posizione di Obama sull’aborto, peraltro purtroppo condivisa da praticamente tutto l’establishment politico internazionale: questo sarà un banco di prova per chi intende rispondere alle attese dei diseredati e degli umili della terra.