Pisa

Nuovo consiglio per l’AC pisana

Un momento importante per l’associazione, quello del convegno diocesano. Domenica 27 febbraio l’Azione cattolica si ritrova nel seminario arcivescovile per l’assemblea che eleggerà il consiglio e voterà il documento programmatico dal titolo «Educare la fede, amare la vita», riferimento per i prossimi tre anni. Degli argomenti in discussione abbiamo parlato con Dario Caturegli, da quasi tre anni presidente dell’Azione cattolica di Pisa. Padre di famiglia, insegnante di Religione – prima – e ora di Lettere al liceo scientifico di Pontedera, ha all’attivo una lunga «militanza» nelle file dell’Ac, particolarmente negli anni Settanta e Ottanta.«l’Ac pisana – spiega Caturegli a Toscana Oggi – celebra la 14ª assemblea; è trascorso un altro triennio, ma soprattutto siamo ad un altro passaggio importante dall’aggiornamento del nuovo statuto del 1969: è da questo momento, infatti, dal rinnovamento conciliare che l’Ac ha precisato la sua fisionomia. L’assemblea è insomma non un semplice fatto a scadenza triennale, ma un continuo ritorno alle origini “ultime” (il Concilio, da cui scaturisce il nuovo statuto) e uno sforzo di adeguamento al cammino della Chiesa nella società di oggi. Così, se nell’assemblea nazionale di maggio saranno certo centrali gli Orientamenti pastorali per il prossimo decennio “Educare alla vita buona del Vangelo”, nella nostra prospettiva gli orientamenti sono il Piano pastorale e le sue declinazioni temporali, con la priorità emergente della Pastorale giovanile».Qual è lo stato di salute dell’associazione in diocesi? Negli ultimi anni c’è stata una crescita o una diminuzione delle adesioni?«L’assemblea è un’occasione per fare il punto dell’ultimo triennio, ma anche per avere una consapevolezza di “lungo periodo”, soprattutto perché spesso, tra gli aderenti e nell’immaginario ecclesiale, l’Ac è percepita come una realtà che era qualche decennio fa. Senza voler fare un riassunto storico, è utile ricostruire per esserne lucidamente consapevoli – nelle nuove povertà e opportunità – le sue fasi nazionali e diocesane. C’è una prima fase dell’Ac dal 1868 all’inizio del nuovo secolo: sono gli anni del Risorgimento e della presenza della Chiesa “costretta” nel nuovo Stato; gli anni del primo post guerra sono quelli della nascita della Gioventù; poi c’è la fase di riorganizzazione operata da Pio XI, con suddivisioni per gruppi anagrafici, con il difficile rapporto con il Fascismo; l’Ac del dopo guerra è quella della nascita di Gioventù studentesca, della Gioventù operaia, delle Acli e della forte rilevanza sul piano sociale; ma questi sono soprattutto gli anni che porteranno alla stagione conciliare e al già citato nuovo statuto, ad una presenza più defilata nella società ma più consapevole, con un ruolo più innestato nella vita ecclesiale. Lo sviluppo “pastorale” è caratterizzato, peraltro, da un calo numerico (certo legato al processo di secolarizzazione, alla nascita di nuovi gruppi e movimenti…): dai 3 milioni di iscritti nel 1963, ai 500mila di oggi, che corrisponde agli 11mila iscritti a Pisa nel 1961, alla stagione d’oro della metà degli anni ’80, con 6mila aderenti, per arrivare negli ultimi anni a poco meno di 1000 – il 65 % adulti, il 15% Acr, il 20% giovani – con lievi oscillazioni annuali. Per essere più precisi, attualmente le associazioni sono 30, con una certa omogenea distribuzione nelle aree vicariali, ma con una discreta differenza nella loro composizione: tre associazioni su dieci contano tra 40 e 60 iscritti (c’è una sola associazione che ha 120 aderenti); altre tre su dieci contano tra i 20 ed i 30 aderenti, 4 su dieci sono associazioni più piccole: certo tenaci ma con una vita più difficile e formativamente non autonoma. Ancora: ci sono nelle 30 associazioni gruppi assai vivaci di adulti, giovani e Acr, ma non tutte le associazioni hanno tutte le articolazioni. È ovvio che ciò presenta limiti oggettivi: oggi l’Ac non potrebbe svolgere da sola compiti formativi o di una presenza numericamente forte, ma non mancano ancora risorse e opportunità: per esempio un progetto formativo che va dai primi anni dell’Acr (età delle elementari) fino ai giovani, alle coppie, agli adulti…una presenza nel territorio che resta, comunque, la più diffusa, il farsi promotrice sempre più di collaborazione con le altre associazioni, una tradizione tenace su cui innervare le nuove sfide».Quale può essere il ruolo dell’Ac nelle nuove unità pastorali? «Tra le nuove sfide credo che si debba mettere quella di adeguarsi alla nuova realtà ecclesiale, con attenzione, disponibilità, servizio e assunzione di responsabilità. Con attenzione: quanto altro tempo occorrerà per conoscere e comprendere le conseguenze della condizione di un clero, certo impegnato (chi dei parroci svolge “solo” la funzione di parroco?) di una longevità pastorale a volte straordinaria ma che ha un’età media assai alta, che scarseggia, che non ha ricambio, che ha portato anche alla nuova struttura diocesana in Unità pastorali? Con spirito di servizio e di responsabilità: se da anni i laici, e i laici di Ac, stanno a fianco dei parroci, a maggior ragione devono farlo ora, per colmare dei vuoti, per imparare a non disperdere ricchezze locali e soprattutto per camminare insieme, per fare comunione. E il tutto non solo come “rimedio”: credo invece che il cammino spirituale e formativo in Unità pastorali, in gruppi di Ac (o altra associazione) “pluriparrocchiali” formi gruppi più numerosi e più educativamente significativi».Quali sono gli altri «temi caldi» che l’Ac pisana ha pensato per il convegno? Come sono emersi?«Molti temi, per esempio quelli legati a un nuovo annuncio in una società secolarizzata, caratterizzata da una visione di uomo, e bisognosa di un nuovo annuncio, l’emergenza educativa, dopo la morte o l’insignificanza dei tradizionali soggetti educativi… ma altri ci sono stati suggeriti dai questionari che abbiamo diffuso. Da questo punto di vista, anche se potrebbe sembrare un ritorno al passato, è significativo che sia molte risposte al questionario che abbiamo somministrato in estate, sia il documento programmatico nazionale, pongano come richiesta pressante quella di cammini a sostegno della vita interiore. Da intendere, ovviamente, non come ritiro monacale e rinuncia ad essere nel mondo, ma come condizione per vivere autenticamente la propria vocazione, autentiche relazioni, il proprio ministero laicale nella Chiesa e nel mondo. Si percepisce chiaramente come il primo rischio per le persone sia quello dell’inaridimento e quindi dell’insignificanza di parole e gesti, dell’incapacità a sperare. Dove trovare, infatti, senza questa vita interiore, un nuovo slancio di corresponsabilità nelle nuove strutture ecclesiali? come amare la Chiesa “qui e ora”? Come pensare a preparare “una nuova generazione di cattolici impegnati in politica, a partire dalla loro maturazione vocazionale in parrocchia”, come ha detto il cardinale Bagnasco nella prolusione all’ultima assemblea Cei? Un altro tema essenziale è, quindi, quello dell’attenzione al territorio, alla società, alla politica, ripartendo da un piano “civile” del bene comune, della cittadinanza, del lavoro.Ma un altro tema antico e nuovo è quello educativo, con l’attenzione specifica al cammino di animatori. In questo senso ci spingono non solo i nuovi Orientamenti pastorali, ma l’urgenza dei contatti con le parrocchie; anzi ci accorgiamo che quante più sono le relazioni con le parrocchie tanto più questi bisogni crescono».Si parla – nel documento programmatico – anche della vita associativa in Ac come vero e proprio «cammino spirituale»: cosa significa?«Significa innanzitutto avere la consapevolezza che fare senza pregare rischia di essere solo attivismo; significa vivere nell’esperienza di ogni aderente momenti imprescindibili di preghiera personale e comunitaria: Liturgia delle ore, recita del rosario, meditazione della Parola; significa partecipare non episodicamente a esercizi spirituali; significa metter nel conto di dedicare parte delle ferie estive o invernali a momenti di ricarica interiore, a campi per coppie; significa vivere in pienezza l’Eucarestia domenicale, aumentando la partecipazione a quella feriale; significa anche valorizzare adeguatamente l’accompagnamento spirituale. Il tutto in una prospettiva incarnata, che mira a far sintesi fra fede e vita, e per avere questa riuscire a fare – secondo la felice intuizione di Carlo Carretto – “Il deserto nella città”».Il futuro dell’associazione dopo questo convegno: avete già qualche idea da attuare? Come pensate di muovervi?«Dal documento programmatico, che potrà essere integrato anche da mozioni, il nuovo consiglio estrapolerà impegni precisi che si articoleranno nell’arco dei tre anni. L’appuntamento per la programmazione, dai campi estivi alle linee dell’anno 2011-2012, saranno definiti – come di consueto – negli incontri di maggio-giugno. Ritengo tuttavia che l’associazione debba muoversi all’interno di un “reticolo pastorale”: da una parte una minuta attenzione verso i concreti bisogni delle parrocchie e Unità pastorali, dall’altro l’impegno a dare ai cammini formativi un respiro diocesano; da un lato proposte formative per aree di particolare urgenza come giovani e per le famiglie (in particolare per le giovani coppie), dall’altro l’elaborazione di un unico progetto formativo capace di svilupparsi dai ragazzi dell’Acr agli adulti, che integri vita associativa, momenti parrocchiali, iniziative diocesane, nella collaborazione anche con gli altri gruppi e movimenti».