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Nota pastorale «Predicate il Vangelo e curate i malati».

Il testo integrale della Nota pastorale della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute, dal titolo: «Predicate il Vangelo e curate i malati». La comunità cristiana e la pastorale della salute, pubblicata il 5 giugno 2006.

COMMISSIONE EPISCOPALEPER IL SERVIZIO DELLA CARITÀ E LA SALUTE «Predicate il Vangelo e curate i malati».La comunità cristiana e la pastorale della salute Nota pastorale INDICE Presentazione Introduzione I. Il mondo della salute oggi II. Rendere ragione della speranza nel mondo della salute III. La pastorale della salute nella comunità Conclusione Note L’esigenza di un documento sulla pastorale della salute, in continuità con quello pubblicato nel 1989 a cura della Consulta Nazionale per la pastorale della sanità, era avvertita già da tempo davanti ai mutamenti in atto in ambito socio-culturale, nel mondo sanitario e nella pastorale. L’occasione per dare attuazione a tale intendimento è stata l’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, che si è svolta in Assisi nel novembre 2005. La riflessione sviluppata dai vescovi sul tema della cura pastorale delle situazioni di sofferenza suscitate dalla malattia ha fatto emergere proposte significative. La presente Nota ne raccoglie gli elementi salienti, nella consapevolezza del compito della Chiesa, «chiamata a manifestare l’amore e la sollecitudine di Cristo verso quanti soffrono e verso coloro che se ne prendono cura»[1]. La Nota intende offrire alle comunità ecclesiali criteri di discernimento e indicazioni pastorali per un’adeguata evangelizzazione e una incisiva testimonianza della speranza cristiana nel mondo della salute. Le luci e le ombre che emergono nell’ambito della sanità costituiscono una provocazione feconda per l’agire pastorale della Chiesa (cfr nn. 7-20). Dare attuazione convincente al comando di Gesù che mandò i suoi discepoli «ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi» (Lc 9,2), è oggi una fra le più urgenti forme di evangelizzazione. La Nota intende anche invitare la comunità cristiana nel suo complesso a sentirsi soggetto corresponsabile della pastorale della salute, integrandola in una pastorale d’insieme. Le sfide che provengono dal mondo della salute chiedono alla Chiesa una risposta animata dalla speranza. Tale azione profetica sarà possibile se la comunità ecclesiale si sentirà costantemente provocata dal modo di agire di Gesù Cristo (cfr nn. 21-48). Ci ricorda il Santo Padre: «Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza, l’ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell’amore… Tuttavia dobbiamo anche fare del tutto perché gli uomini possano scoprire il senso della sofferenza, per essere così in grado di accettare la propria sofferenza e unirla alla sofferenza di Cristo»[2]. La Nota, infine, offrendo orientamenti operativi, vuole promuovere e sostenere un’azione pastorale più partecipata e coinvolgente, in cui il malato sia valorizzato come soggetto attivo (cfr nn. 49-69). Tutti, infatti, siamo in debito verso quanti sono nella sofferenza, perché essi immettono nel mondo, spesso a caro prezzo, silenziosamente e in incognito, fiumi vitali di speranza. Anche in questo campo «è l’ora di una nuova “fantasia della carità”, che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre»[3]. La coincidenza della pubblicazione della Nota con la fase finale del cammino preparatorio verso il 4° Convegno Ecclesiale nazionale (Verona, 16-20 ottobre 2006) vuole essere un segno peculiare dell’attenzione della Chiesa italiana nei confronti della fragilità sperimentata nella malattia e nella sofferenza. La offriamo alle comunità ecclesiali facendo nostre le parole di Benedetto XVI: «Duc in altum! Questo invito di Cristo a Pietro e agli Apostoli lo rivolgo alle Comunità ecclesiali… e, in modo speciale, a quanti sono al servizio dei malati, perché, con l’aiuto di Maria Salus infirmorum, testimonino la bontà e la paterna sollecitudine di Dio»[4]. Roma, 4 giugno 2006 Solennità di Pentecoste Francesco Montenegro Presidente della Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute 1. I cambiamenti in atto nel mondo della salute, unitamente ad alcune esigenze emerse nel cammino della Chiesa, hanno fatto affiorare la necessità di offrire alle comunità cristiane e a quanti in vario modo operano nel mondo sanitario nuovi elementi di riflessione e linee operative comuni. Si tratta di indicazioni pastorali da leggere in continuità e sintonia con quelle contenute nei documenti elaborati dalla Chiesa italiana durante gli ultimi decenni, in particolare nella Nota della Consulta Nazionale per la pastorale della sanità del 1989[5]. Unisce tutti questi documenti la volontà di mettere a punto una prassi ecclesiale che risponda alle mutate condizioni del mondo sanitario «affinché i valori della vita e della salute siano rispettati e orientati verso la salvezza e il momento della malattia e della morte possano ricevere oltre il sostegno della scienza e della solidarietà umana anche quello della grazia del Signore»[6]. In linea con il cammino della Chiesa 2. Quanto viene proposto nel presente documento è in linea con il cammino compiuto negli ultimi anni dalla Chiesa italiana, che, riflettendo sulle modalità della propria presenza e attività, ha riconosciuto il primato dell’evangelizzazione rispetto a ogni altra azione pastorale. In questa prospettiva, la consapevolezza che il servizio ai malati e ai sofferenti è «parte integrante della missione della Chiesa»[7] rende urgente incorporare nel progetto evangelizzatore la promozione della salute e l’impegno per alleviare la sofferenza e la cura degli infermi, in ossequio al comando di Cristo, il cui agire connette strettamente il compito di evangelizzazione e la guarigione dei malati[8]. Nella cura amorevole della persona e nella promozione della salute è infatti insita un’attesa e un’esperienza di liberazione e di amore che diventa segno e annuncio di una salvezza integrale. Con animo grato 3. Le proposte offerte alla comunità ecclesiale per accompagnarla nella sua missione evangelizzatrice nel mondo della salute non ignorano il compito che tanti cristiani laici, singoli o associati, consacrati e consacrate, sacerdoti e diaconi, operatori e operatrici sanitari generosamente svolgono, testimoniando attraverso la prossimità al malato, il lavoro, lo studio e la ricerca, i valori evangelici della dignità della persona, del rispetto della vita e della misericordia. Nella linea delle parole dell’apostolo Paolo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26), essi contribuiscono a costruire comunità in cui fioriscono la solidarietà fraterna, la condivisione di ciò che si è e che si possiede, l’empatia per le gioie e le sofferenze degli altri (cfr At 2,42-48). Né tali proposte sono indifferenti agli sviluppi tecnici e organizzativi della sanità nel nostro Paese, indotti dalle conquiste della scienza e dalle scelte operate dalla politica nell’ambito della tutela della salute: la presenza evangelizzatrice della Chiesa, infatti, s’incarna in ogni sforzo di autentico servizio alla persona e di vera umanizzazione della realtà sanitaria. Riconoscendo con gratitudine la testimonianza offerta dai credenti impegnati nel mondo della salute e alleandosi con gli sforzi compiuti da tutti gli uomini di buona volontà, questo documento si propone di offrire alcune linee di risposta alle aspirazioni profonde di salute e di salvezza presenti nel cuore di ogni persona. Si tratta di rendere presente nella vita di ogni uomo la fondata speranza a noi donata in Gesù Cristo e nell’adesione di fede al suo mistero. Non possiamo dimenticare, infatti, che il nostro agire ecclesiale in campo sanitario costituisce una partecipazione misteriosa ma reale all’azione di Gesù Cristo morto e risorto, sorgente di vita e di salvezza per ciascuno. Obiettivi e articolazione del documento 4. In questa prospettiva si possono comprendere gli obiettivi della Nota pastorale, che intende: • favorire il discernimento delle sfide poste dal mondo della salute alla presenza e all’azione della Chiesa, prospettando linee di collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà; • offrire stimoli per un’educazione al valore della salute e al senso della sofferenza, interpretate alla luce del mistero di Gesù Cristo; • sostenere l’integrazione della pastorale sanitaria nella pastorale d’insieme delle comunità cristiane; • promuovere una maggiore integrazione tra l’assistenza spirituale assicurata nelle strutture sanitarie e la cura pastorale ordinaria nelle parrocchie, sviluppando forme di collaborazione tra le cappellanie ospedaliere e le comunità ecclesiali territoriali; • fornire indicazioni per il coinvolgimento di tutte le componenti del popolo di Dio nella pastorale della salute, potenziando gli organismi di comunione e corresponsabilità; • promuovere una maggiore organicità e progettualità della pastorale sanitaria, anche mediante specifici itinerari formativi. Le riflessioni e le indicazioni proposte sono sviluppate in tre parti. La prima offre una visione del mondo attuale della salute, evidenziandone luci e ombre. Nella seconda, viene indicato il messaggio di speranza che la Chiesa intende offrire al mondo della salute, rispondendo alle sfide che da esso provengono. Nella terza, infine, sono presentate alcune linee operative. Ci accompagna la speranza che le riflessioni e le indicazioni pastorali qui contenute aiutino le comunità ecclesiali a crescere nella fraternità e nella solidarietà, nel segno evangelizzatore della cura dei malati e della promozione della salute. 5. Fedele alla sua missione, la Chiesa fa sue «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce»[9] che caratterizzano il mondo della salute, pronta a offrire il messaggio di salvezza del suo Maestro, che alla proclamazione del Regno univa costantemente il ministero di guarigione: «Prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure» (Lc 9,11). Conquiste e difficoltà 6. La Chiesa italiana riconosce e apprezza i preziosi contributi offerti dalla ricerca scientifica per la migliore cura e per l’assistenza sanitaria delle persone e incoraggia in tal senso ogni progresso rispettoso della persona umana. Parimenti, riconosce e apprezza l’impegno profuso dai responsabili della vita politica e amministrativa nel promuovere e salvaguardare il diritto, costituzionalmente sanzionato[10], alla tutela della salute dei cittadini, e nell’assicurare al mondo sanitario il più alto livello scientifico e tecnico e le più ampie garanzie sociali. 7. È peraltro vero che le difficoltà sperimentate dal legislatore nel rispondere in maniera adeguata ai bisogni di cura e di salute dei cittadini si comprendono più facilmente, se si considera che a tali sforzi spesso si contrappongono visioni culturali e sociali inconciliabili con il perseguimento del bene comune. Un’eccessiva libertà d’iniziativa, ad esempio, rischia di emarginare i soggetti più deboli, mentre l’esasperazione dell’uguaglianza dei servizi socio-sanitari resi alla popolazione può ingenerare burocratizzazione della risposta, passività e acquiescenza dell’utente. Anche l’adozione indiscriminata del modello aziendale in ambito sanitario, seppur motivata dall’esigenza di organizzare i servizi in maniera più efficiente, si presta al rischio di privilegiare il risultato economico rispetto alla cura della persona. Per altro verso, l’aver demandato a livello regionale rilevanti competenze per la tutela della salute deve comporsi con la garanzia, assicurata in misura uguale sull’intero territorio nazionale, dei livelli essenziali delle prestazioni. Occorre rilevare, infine, che laddove non si presta sufficiente attenzione al principio di sussidiarietà, più difficile diventa anche nell’ambito sanitario l’azione dei soggetti del privato sociale e del terzo settore. Aspetti culturali 8. L’assetto attuale del mondo della salute va compreso anche alla luce di alcune tendenze della cultura contemporanea e del progresso scientifico e tecnico che hanno inciso sul modo di concepire la salute e la malattia, la vita e la morte. Nell’evidenziare alcuni tratti caratteristici di questa visione del mondo, ci limitiamo a sottolineare quelli che maggiormente costituiscono una sfida a cui la Chiesa è chiamata a rispondere. Atteggiamento “prometeico” 9. L’impiego di strumenti sempre più sofisticati consente alla medicina di migliorare la qualità dell’esistenza, di prolungare la vita, di combattere più efficacemente il dolore, intervenendo sull’organismo umano fin nel suo assetto genetico. Accanto a innegabili e provvidenziali benefici, il progresso della scienza e della tecnica non manca d’ingenerare, come ha fatto notare Giovanni Paolo II, «una sorta di atteggiamento prometeico dell’uomo che, in tal modo, si illude di potersi impadronire della vita e della morte»[11]. Tale atteggiamento porta larghi settori della scienza e della medicina a ignorare i limiti inerenti alla condizione umana, contribuendo a coltivare l’immagine di un uomo padrone assoluto dell’esistenza, arbitro insindacabile di sé, delle sue scelte e delle sue decisioni. Due sintomi molto evidenti di questa concezione sono, pur nella diversità delle motivazioni e degli esiti, da un lato l’accanimento terapeutico e dall’altro l’eutanasia. A ben vedere, tra accanimento terapeutico ed eutanasia vi è una certa continuità logica, perché in essi è sempre l’uomo a non accettare di misurarsi in maniera umana con la morte: con l’accanimento terapeutico l’uomo usa tutti i mezzi per posticipare la morte, mentre con l’eutanasia l’uomo si arroga il diritto di anticipare e determinare la morte. In ambedue i casi, egli intende esercitare un dominio assoluto sulla vita e sulla morte. «Il pericolo che l’uomo, fidandosi troppo delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e più non cerchi cose più alte»[12] alberga nella cultura contemporanea malgrado l’insorgere di nuove malattie e di minacce (quali l’inquinamento atmosferico e l’abuso di sostanze) che rendono tragicamente illusorio il sogno di un progresso assoluto, mostrando l’impotenza della persona di fronte alla finitudine umana. Il rifiuto della condizione finita dell’uomo non è privo di ripercussioni sul piano socio-psicologico e spirituale. Infatti, il dramma costituito dallo scontro tra un progresso tecnico senza fine e l’ineluttabilità della morte suscita nevrosi e disagio esistenziale e influisce negativamente sulla ricerca del senso della vita e sull’elaborazione di una scala di valori rispettosa della persona e della natura. Dalla medicina dei bisogni alla medicina dei desideri 10. Se fino a ieri l’obiettivo prioritario della medicina era quello di far vivere, oggi essa si pone anche quello di far vivere bene. Si può pertanto affermare che, accanto alla medicina dei bisogni, esiste anche una medicina dei desideri. Nella mentalità di molte persone, infatti, non è più sufficiente non ammalarsi e guarire, ma è necessario tendere verso una pienezza in cui siano soddisfatti non solo i bisogni primari ma anche quelli subordinati, sconfinando impercettibilmente nel dominio del desiderio. Tale tendenza, favorita da alcuni elementi tipici della cultura postmoderna, quali l’attenzione alle dimensioni della corporeità e della sessualità, la rivalutazione del piacere, la cura dell’ambiente e il primato delle relazioni, se da un lato è positiva, esprimendo la nostalgia di una vita buona, dall’altro non è priva di esiti potenzialmente problematici. Rimozione delle esperienze dolorose 11. Una delle conseguenze negative è identificabile con la tendenza a rimuovere gli aspetti faticosi dell’esistenza: la sofferenza è considerata scomoda compagna di cui l’uomo diventa silenzioso spettatore impotente; la malattia è vissuta come evento da cui liberarsi più che evento da liberare; il naturale processo di invecchiamento è rifiutato, dal momento che la vecchiaia viene considerata un tempo dopo la vita vera e non tempo della vita; la morte è vista come evento indicibile e inaudito; la disabilità è considerata più come ostacolo che non come provocazione, più come bisogno assistenziale che non come domanda di riconoscimento esistenziale. Logica dei fini e logica dei mezzi 12. Nell’ambito sanitario si assiste a un crescente spostamento dei temi della salute, della sofferenza e della morte dal terreno del senso e del valore a quello della tecnica. Le enormi possibilità della medicina hanno sottratto questi temi dalla sfera metafisica, morale e religiosa, trasferendoli nella sfera pratica. L’insignificanza dei vissuti esistenziali, che caratterizza il nostro tempo, depotenzia la capacità di “dare un senso” al tempo della malattia cronica e inguaribile, della decadenza di una vecchiaia sempre più prolungata, della morte. La malattia come evento clinico, infatti, è spesso presidiata dall’attesa dell’onnipotenza del sapere medico; l’evento esistenziale appare, al contrario, rimosso e censurato. Cogliere il senso della sofferenza, della malattia e della morte è reso difficile anche dal fatto che la sanità è spesso irretita nella logica dei mezzi tecnologici e finanziari, dimenticando l’orizzonte dei fini. Nasce l’interrogativo su come armonizzare, nella cura della persona e nella promozione della salute, logica tecnica e logica etica, mezzi e fini. Situazioni di fragilità[13]. L’affievolirsi del rispetto della vita è un altro aspetto che spesso caratterizza il mondo della salute. Mentre si fanno sforzi ingenti e accaniti per prolungare la vita e per produrla artificialmente, non si permette di nascere a chi è già concepito e non si risponde adeguatamente ai bisogni di quelle fasce di persone che non rispondono a canoni di efficienza e produttività. Si creano così situazioni di fragilità, cui sono esposte numerose frange della popolazione. Anche nella sanità vi sono “gli ultimi della fila”, per la loro tutela non basta la generica affermazione di diritti. Spesso avviene che, in assenza di un consenso sociale sufficientemente ampio e condiviso, anche la migliore “carta dei diritti” si rivela inefficace. Si potrebbe paradossalmente affermare che i “diritti dei deboli” si fanno, giorno dopo giorno, “diritti deboli”: sono quelli dei disabili, delle persone affette da forme gravissime di sofferenza psichica, dei lungodegenti e degli inguaribili, dei malati cronici, di quanti necessitano di riabilitazione estensiva di lungo termine. Le lodevoli iniziative promosse in questi campi (interventi per gli anziani e i diversamente abili, cure palliative, ecc.) trovano rallentamenti e ostacoli causati da una visione riduttiva della persona umana e da interessi economici legati alla gestione delle strutture sanitarie. In un contesto più ampio, ma ugualmente legato al mondo della salute e al rispetto della vita, è da prendere in considerazione la problematica legata all’ecologia. Smisurati interessi economici portano all’inquinamento dell’ambiente, compromettono la qualità del territorio, impoveriscono il livello di vita dei cittadini. “Curare” e “prendersi cura” 14. Il discorso sulla carenza di umanità nel servizio reso al malato è lungi dall’essere esaurito. Si avverte un profondo bisogno di personalizzare l’approccio, di passare dal curare al prendersi cura, di considerare la persona nella totalità del suo essere. Se l’esperienza degli anni più recenti ha fatto registrare una buona crescita a livello tecnico e specialistico, ha portato anche a una cura settoriale e frammentata a scapito di un approccio olistico della persona. Si pensi, ad esempio, all’accostamento terapeutico con le persone in condizione di fragilità psichica o mentale: senza un’accoglienza e una cura totale della persona è difficile che una semplice terapia farmacologia, per quanto specializzata, possa rivelarsi davvero efficace. Nel contempo sono diminuite alcune figure professionali, indispensabili per il servizio di base al malato. Non è raro avvertire da parte di diversi operatori sanitari l’incapacità di guardare la realtà del malato al di là dell’aspetto strettamente sanitario, la paura di essere interpellati sui problemi esistenziali, la difficoltà di accogliere e accompagnare le reazioni emotive del malato e dei familiari, soprattutto nelle fasi terminali della malattia. Si tratta di un problema non esclusivamente religioso ma antropologico e professionale. Prevenzione, bioetica, formazione 15. Uno degli obiettivi che non trova ancora adeguata realizzazione è costituito dalla prevenzione, che comprende sia misure specifiche atte a contrastare i fattori di malattia nei luoghi di vita e nei luoghi di lavoro (educazione alla salute, medicina scolastica, vaccinazioni, controllo di fasce di popolazione a rischio, ecc.), sia misure preventive collegate a opzioni da attuare in altri ambiti (umanizzazione del lavoro, miglioramento della nutrizione e delle abitazioni, educazione degli stili di vita, ecc.). Se tutta la medicina si pone come scopo la salute, solo la prevenzione ha come caratteristica specifica la tutela del bene comune e impegna ciascuno a essere soggetto attivo del proprio benessere. 16. I problemi della bioetica, che sono al centro dell’odierno dibattito culturale, sono seguiti con grande attenzione dai mezzi di comunicazione sociale e dall’opinione pubblica. L’affievolirsi delle evidenze etiche e il soggettivismo delle coscienze, unitamente al pluralismo culturale, etico e religioso, portano facilmente a relativizzare i valori, e quindi al rischio di non poter più fare riferimento a un ethos condiviso, soprattutto in ordine alle grandi domande esistenziali, riferite al senso del nascere, del vivere e del morire. Spesso manca un’informazione corretta, e da ciò conseguono giudizi e opinioni avventati e scarsamente fondate. Si nota soprattutto un’insufficiente conoscenza delle posizioni sostenute della Chiesa, che sono spesso riportate in maniera impropria o sono giudicate inadeguate al tempo presente. 17. I programmi formativi, che raggiungono buoni livelli nel campo medico e infermieristico, mostrano invece spesso significative carenze in quello antropologico ed etico. Ciò, peraltro, contrasta sia con le richieste degli operatori sanitari, sia con quelle, spesso implicite, dei malati. La disattenzione a questa problematica può considerarsi come uno dei fattori all’origine del logorio psicologico e spirituale di molti operatori sanitari. 18. Crocevia dell’umanità, il mondo della salute è anche terra del Vangelo. In questo luogo dove s’intersecano cammini diversi, dove convivono generosità ed egoismo, richiami materialistici e desiderio di spiritualità, proclamazione di diritti e ingiustizie di fatto, la Chiesa è chiamata a offrire la luce e l’orientamento del Vangelo. 19. Alle numerose sfide presenti nel mondo della salute, la Chiesa risponde anzitutto con un messaggio di gioiosa speranza, fondata sulla certezza della risurrezione di Gesù Cristo e, quindi, dell’amore e della fedeltà sanante e salvatrice di Dio. Di tale speranza vuole rendere ragione (cfr 1Pt 3,15) attraverso un dialogo rispettoso, un confronto onesto e una fattiva collaborazione. Cristo il nome della nostra speranza 20. La pastorale della salute trova il fondamento nella contemplazione del volto dolente e glorioso di Gesù Cristo, in cui il credente riconosce umilmente il suo Signore[13]. La Chiesa, contemplando il mistero della sua passione, morte e risurrezione, apprezza la specifica valenza evangelizzatrice della pastorale della salute e la sua necessaria integrazione nella pastorale d’insieme della comunità cristiana. Gesù, infatti, ha annunciato il regno di Dio come dono di salute e di salvezza per tutti gli uomini soprattutto attraverso l’incontro con i poveri, i malati e i sofferenti. Egli si presenta come promotore di salute e agisce come Buon Samaritano. Manifestando l’amore misericordioso del Padre, si fa vicino e si prende cura delle persone malate e sofferenti, le guarisce, le restituisce alla speranza e al senso pieno della vita. La Chiesa “profezia di speranza” nel mondo della salute 21. Riscrivendo la parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,29-37), la Chiesa rende presente la speranza, dono della Pasqua di Cristo, attraverso l’annuncio della parola, la celebrazione dei sacramenti e la preghiera, i segni della comunione fraterna e del servizio amorevole e competente verso quanti soffrono. Del dono della speranza la Chiesa vuol rendere partecipe quanti – credenti e uomini di buona volontà – sono impegnati nella cura dei malati e nella promozione della salute. Una comunità ospitale, che si “prende cura” 22. Alla società che si impegna per garantire la tutela dei diritti dei cittadini alla salute, la Chiesa con la parola che viene da Dio e con la testimonianza propone l’ideale di una comunità che si prende cura, difendendo e promovendo la persona nella sua globalità e coinvolgendo la famiglia, gli operatori sanitari e pastorali. 23. In tale prospettiva, si può individuare nell’ospitalità la dimensione antropologica che riassume e collega le diverse forme della prevenzione, della cura e della riabilitazione. Celebrando la prossimità dell’atto curativo, l’ospitalità evoca i significati antichi, per cui al luogo della cura è stato dato il nome di “ospedale”: • è volto, voce, gesto e parola, capace di generare cura e insieme di prendersi cura, soprattutto quando la malattia si annuncia come degenerativa, cronica, irreversibile, terminale; • assume, quale criterio prioritario delle proprie scelte, la promozione della vita in tutti i suoi momenti e in tutte le sue dimensioni e la tutela della vita di ciascuno, privilegiando, all’interno dei processi formativi degli operatori sanitari, la cura della “relazione”, quale modalità di ascolto, accoglienza e riconoscimento dell’altro, inteso come prossimo e mai come estraneo, anche quando proviene da contesti sociali e da appartenenze etniche e culturali diverse; • si fa carico di accompagnare anche le malattie inguaribili nelle scansioni di un tempo, che, per quanto faticoso o doloroso, può restituire significato all’esistenza intera; • abilita all’accoglienza compiuta di tutta l’esistenza, propiziando e promuovendo condizioni di vivibilità e appartenenza a chiunque chieda assistenza, cura e riabilitazione, in quanto riconosce nella malattia un evento della vita carico di significati, messaggi e annunci, seppure non sempre immediatamente decifrabili; • sa accogliere il malato nella sua unicità e irripetibilità. 24. Compresa nei suoi più profondi significati, la categoria dell’ospitalità offre a quanti sono chiamati a elaborare le politiche sanitarie criteri validi per perseguire l’efficienza dei servizi senza nuocere ai diritti della persona, evitando o riducendo le disuguaglianze sociali nell’accesso alle risorse sanitarie, rifuggendo sia dall’eccessiva pubblicizzazione delle strutture sia dal mercantilismo sfrenato e valorizzando la sussidiarietà sia istituzionale che sociale. La Chiesa guarda con fiducia alle risorse presenti nella società – tra cui le istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana e il volontariato – nella certezza che esse possono offrire un valido contributo all’azione dello Stato nell’ambito della sanità, facendo appello al valore della solidarietà, nel rispetto del pluralismo dei valori e dei soggetti. Un servizio dal volto umano 25. È nella prospettiva dell’ospitalità che acquistano significato le iniziative finalizzate a rendere più umano il servizio al malato. Un contesto in cui vi sono tensioni, conflittualità, difficoltà di dialogo e di comunicazione tra le persone nuoce alla cura del malato e rende difficile fare del lavoro un’occasione di crescita personale. È, quindi, necessario promuovere un clima in cui la diversità dei ruoli, delle competenze, delle mentalità o culture venga vissuta come possibilità di reciproco arricchimento, di collaborazione complementare, di sincera ricerca di quel bene prezioso rappresentato dalla salute. 26. La Chiesa ritiene che l’umanizzazione del mondo sanitario sia un compito urgente e perciò la include nell’ambito dell’azione pastorale, convinta della valenza evangelizzatrice di ogni iniziativa volta a imprimere un volto più umano all’assistenza e cura dei malati. Infatti, quando tali gesti sono informati dalla carità – tradotta in dedizione generosa, approccio caloroso, sensibilità attenta, presenza umile e gratuita – possiedono una forte carica interna che li trascende, ponendo domande di senso[14], allargando gli spazi di comprensione e d’intesa comune, costituendo una piattaforma da cui partire per ulteriori traguardi, aprendo la mente e il cuore a orizzonti nuovi, diventando proclamazione silenziosa, ma assai efficace, del Vangelo. Da ciò deriva che, mentre offre il proprio contributo all’umanizzazione del mondo della salute, il credente non solo pone le premesse per l’evangelizzazione di tale realtà, ma già realizza un’attività evangelizzatrice. I gesti che egli compie, infatti, proclamano che l’uomo, anche quando subisce il degrado del corpo o della mente, mantiene il suo valore di figlio di Dio, merita di essere trattato come persona e aiutato a riacquistare la salute nel senso integrale del termine. 27. Nel leggere il fenomeno inquietante del degrado d’umanità presente nei servizi al malato – quali il prevalere di interessi politici ed economici, l’eccessiva burocratizzazione, l’inefficienza amministrativa, il deterioramento della scala dei valori, la scarsa considerazione del malato come persona – la Chiesa invita a vedere la radice della disumanizzazione nel peccato. Da ciò deriva che alla base di ogni riforma è richiesta la conversione del cuore, prima che delle strutture. Infatti, secondo la visione cristiana, il primo obiettivo dell’umanizzazione del mondo sanitario è costituito dalla promozione di valori come la giustizia, il rispetto della persona, la fraternità e la solidarietà, necessari alla costituzione della civiltà dell’amore. Promovendo segni di riconciliazione, di reciproco rispetto, di accoglienza e di comunione, sviluppando il gusto e la qualità di una relazione fraterna e gratuita, è possibile trasformare il mondo della salute in un laboratorio di una nuova civiltà dell’amore, modello di convivenza più umana, sulle orme di Cristo che «è venuto per servire e non per essere servito» (Mt 20,28). Grandezza e limiti della ricerca e cura sanitaria 28. L’ospitalità non è solo accoglienza ma anche risposta ai bisogni delle persone ospitate. Nel mondo della salute tale risposta è stata ed è offerta da una molteplicità di soggetti impegnati nella ricerca scientifica e nella sua attuazione. La Chiesa ha sempre espresso un’alta considerazione nei confronti della scienza e dell’arte sanitaria, intendendola come cooperazione all’opera creatrice e redentrice del Signore. Chi è impegnato nella cura dei malati, infatti, si sforza di rispondere ai gemiti della creazione di cui parla san Paolo (cfr Rm 8,22), iscrivendo così la sua azione in una dimensione escatologica, alla ricerca di quei cieli nuovi e terra nuova (cfr 2Pt 3,13) che sono aspirazione di ogni individuo e dell’umanità intera. I documenti della Chiesa si rifanno frequentemente a questa visione, accogliendo con gioia e ammirazione i grandi progressi compiuti dalla scienza e dalla tecnologia medica[15]. 29. Mentre incoraggia gli uomini della scienza e dell’arte medica a riconoscere e a difendere la grandezza dell’uomo, la Chiesa li invita anche a recuperare, accettare e rispettare la debolezza creaturale della persona umana, caratteristica che non ne mortifica la dignità ontologica ma carica di misterioso significato l’impedimento corporeo, spingendo il nostro sguardo oltre l’orizzonte dell’effimero. Infatti, come affermava Pio XII, «il medico cattolico sa che il suo paziente e lui stesso sono sottomessi alla legge della coscienza e alla volontà di Dio; ma egli sa anche che tutte le risorse della natura sono state messe a sua disposizione per proteggere e difendere gli uomini dalla malattia e dall’infermità. Egli non divinizza né la natura né la medicina, non le considera come degli assoluti, ma egli vede in esse un riflesso della grandezza e della bontà di Dio e subordinate interamente al suo servizio»[16]. Accompagnare con amore e competenza 30. Proprio il riconoscimento delle conseguenze della condizione finita dell’essere umano stimola a sviluppare le risorse, umane e tecniche, necessarie per rispondere ai bisogni di quanti vivono la difficile stagione della sofferenza. «Si potrebbe dire che la sofferenza presente sotto tante forme diverse nel nostro mondo umano, vi sia presente anche per sprigionare nell’uomo l’amore, proprio quel dono disinteressato del proprio “io” in favore degli altri uomini, degli uomini sofferenti. Il mondo dell’umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell’amore umano; e quest’amore disinteressato che si desta nel suo cuore e nelle sue opere, l’uomo lo deve, in un certo senso, alla sofferenza»[17]. 31. Facendo leva su queste risorse presenti nel cuore dell’uomo, si possono accompagnare quanti soffrono nel loro difficile cammino. L’esperienza della sofferenza e di ogni altra forma di disabilità suscita domande sempre nuove, invoca un orizzonte di senso, chiede prossimità e rispettosa attenzione, richiama ai valori fondamentali del vivere. Per aiutare a rispondere ai persistenti interrogativi che sorgono dal cuore della persona inferma e che riguardano il senso del vivere e del morire, il significato del dolore, della malattia e della morte, la vita presente e futura e il loro mutuo rapporto, la comunità cristiana offre la luce della parola di Dio e il conforto della solidarietà cristiana. Per questo non solo si allea con quanti, nella società, sono impegnati nella lotta contro la sofferenza, rigettando ogni forma di dolorismo, ma anche vuole illuminare di speranza cristiana l’oscurità della sofferenza e della morte e sottolineare il valore della solidarietà, della prossimità e del servizio[18]. Per la persona umana che cerca ed è destinata alla gioia e alla vita eterna, il soffrire e il morire sono un mistero che solo la croce e la risurrezione di Cristo possono illuminare e trasformare in esperienza di salvezza. 32. Nel proporre il proprio messaggio sulla sofferenza, la Chiesa è consapevole di scontrarsi con una diffusa mentalità materialista, efficientistica ed edonista, che coltiva una concezione riduttiva della salute, rifugge il dolore, rimuove la morte, tende a idolatrare il corpo. Questi ostacoli, però, non le impediscono di proclamare la buona notizia del Signore morto e risorto, fonte di speranza per i malati e per coloro che se ne prendono cura, invitandoli a trovare nel mistero della Pasqua di cui sono partecipi la luce, la forza, la speranza, la gioia del dono e dell’amore. All’accompagnamento del malato deve abbinarsi quello dei familiari. L’intera famiglia viene infatti investita dagli eventi legati alla malattia, con ripercussioni notevoli sulle relazioni tra i suoi membri e, in generale, sull’equilibrio della struttura familiare[19]. Verso la pienezza di vita 33. Nel promuovere il prendersi cura dei malati, la Chiesa non ignora la crescente attenzione e sensibilità della società contemporanea ai problemi del benessere psico-fisico e spirituale della persona. Considerando legittima questa domanda di una vita piena, non esita a ricordare che anche Gesù, nello svolgimento della sua missione, ha avuto di mira la pienezza di vita dell’uomo. 34. Nella prospettiva evangelica, la promozione della salute psico-fisica e del benessere possono diventare segni del regno instaurato da Cristo, apertura all’accoglienza della salvezza, indicatori di una condizione che troverà la sua piena realizzazione al termine della storia. Fa quindi parte del progetto divino mettere in atto tutto ciò che è legittimo per assicurare condizioni sempre migliori di vita a tutti gli esseri umani. Questo impegno, che costituisce una precisa responsabilità per ciascuno, deve mirare alla crescita della persona a livello di tutte le sue dimensioni, aprendosi anche a quell’appello alla trascendenza insito in ogni essere umano. 35. Anche l’approccio globale nella cura del malato e nei programmi di crescita della persona umana – tema oggi di costante considerazione nel mondo della salute e nella società in generale – trova una spinta a essere più completo nell’insegnamento di Cristo. Non si tratta solo di prendere coscienza delle diverse dimensioni della persona, ma di saperle porre in relazione tra loro, ordinandole secondo quella scala di valori che trova nell’insegnamento evangelico la sua più alta espressione e che aiuta a compiere scelte e anche a fare rinunce necessarie per rispettare la vita, difendere la dignità della persona propria e altrui, mantenere viva la tensione verso il trascendente. Testimoniare l’amore e il servizio alla vita come messaggio di speranza 36. In una cultura complessa e spesso condizionata dagli strumenti di informazione non è facile comprendere e approfondire, in modo responsabile, i problemi che riguardano il senso della vita, la sua cura e la portata di interventi che ne rispettano o ne violano la dignità. Non mancano correnti di pensiero caratterizzate, più o meno consapevolmente, dalla sindrome dell’onnipotenza della scienza o dalla presunta padronanza assoluta della vita. In questo contesto, la Chiesa sente il dovere di «impegnarsi per il rispetto della vita di ciascun essere umano dal concepimento fino al suo naturale tramonto»[20]. 37. Tale impegno deve essere costantemente accompagnato dallo sforzo di far comprendere le motivazioni che lo sorreggono: si tratta di argomenti mai ideologici, ma d’intensa umanità, di amore e vicinanza a ogni persona nella sua concreta situazione esistenziale, di difesa dei valori fondamentali iscritti nella natura della persona umana e della relazione sociale. Per quanto necessario, il solo pronunciamento dei princìpi non sembra oggi sufficiente per far comprendere la necessità di rispettare la vita in ogni situazione. Nel mondo della salute, la Chiesa deve manifestarsi e agire come “madre e maestra” di vita, laboratorio di esperienze dove fede e scienza si coniugano a servizio della cura integrale e permanente della persona umana. Allora la carità vissuta e testimoniata nel servizio dei malati e dei sofferenti, diventerà «necessariamente servizio alla cultura, alla politica, all’economia, alla famiglia, perché dappertutto vengano rispettati i principi fondamentali dai quali dipende il destino dell’essere umano e il futuro della civiltà»[21]. Le istituzioni sanitarie cattoliche 38. Una modalità specifica per testimoniare la speranza cristiana nel mondo della salute è data dalla presenza delle istituzioni sanitarie cattoliche[22]. Esse mantengono la loro ragione di essere all’interno di un orizzonte sanitario sempre più complesso e attraversato da numerosi problemi. Presenze ecclesiali, luoghi in cui si è chiamati a lodare Dio servendo il malato, le istituzioni sanitarie cattoliche costituiscono l’attuazione storica di quell’“albergo” a cui il Buon Samaritano della parabola evangelica affida, perché venga debitamente curata, la persona ferita, raccolta sulla strada di Gerico, simbolo della strada percorsa da ogni uomo, anzitutto dal più povero, superando ogni divisione di popoli. 39. Le istituzioni sanitarie cattoliche possono offrire, in un clima di dialogo e di collaborazione, un significativo contributo al mondo della sanità per una cura più umana della persona. Esse, infatti, non sono da considerarsi “sanità di parte”, bensì componente integrante nella programmazione del sistema sanitario nazionale, per cui è giusto che godano degli stessi diritti e abbiano gli stessi doveri delle altre istituzioni sanitarie. 40. Sono molti gli interrogativi che vengono rivolti a tali istituzioni nel momento storico presente: come essere fedeli al mandato di Gesù e alla grande tradizione dell’hospitalis, nata nella Chiesa quale espressione del suo amore per l’uomo? Come tradurre in termini moderni i carismi delle diverse famiglie religiose, senza rinunciare a qualificarsi come centri tecnologici polispecialistici, come richiesto dal Servizio sanitario nazionale? Come coniugare ricerca scientifica e opzione di fede, efficienza economica e cura etica, puntando a una sanità di eccellenza, autenticamente umana? 41. La risposta a tali domande esige che le istituzioni sanitarie cattoliche si qualifichino per le prestazioni mediche e gestionali; si impegnino a rispondere con iniziative concrete alle sfide della bioetica; pongano in risalto il primato dell’ammalato, la cura integrale della persona e la testimonianza della carità come criteri adeguati di intervento; siano scuole di comunione e luoghi dove l’ammalato possa aprirsi alla speranza; sappiano «ritagliare spazi per attività solidaristiche in favore di categorie di malati trascurate dal settore pubblico»[23]. 42. Affinché la presenza delle istituzioni sanitarie cattoliche possa esercitare un influsso positivo sulla comunità ecclesiale e sulla società, occorre che vengano compiuti alcuni passi. Il primo porta le istituzioni a superare l’isolamento, rendendole sempre più visibili nella comunità ecclesiale. La popolazione del territorio deve poter riconoscere in esse un punto di riferimento, uno strumento di sensibilizzazione ai problemi della salute, della morte, della vecchiaia e della disabilità. Ciò costituisce il compito carismatico dei religiosi che le gestiscono: la missione loro affidata di servire i malati e di promuovere la salute appartiene a tutta la Chiesa. A loro incombe il dovere di aiutare la comunità ecclesiale a diventarne maggiormente consapevole. 43. Vi è poi un passo che spetta alla comunità ecclesiale territoriale, chiamata a sentire come proprio l’ospedale, la residenza di anziani o la casa di accoglienza presenti nel proprio territorio. Spetta anzitutto ai Vescovi e ai parroci animare, incoraggiare e coinvolgere i cristiani nei programmi assistenziali. 44. Un terzo passo deve essere realizzato nel confronto tra le varie istituzioni sanitarie cattoliche. Un prezioso coordinamento è offerto al riguardo dall’ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari). Una più efficace collaborazione tra le diverse istituzioni rende possibile la condivisione di esperienze, il sostegno reciproco soprattutto nei momenti di difficoltà economico-amministrativa, la messa in comune di risorse tecniche e personali, collaborazione in progetti a livello zonale o regionale, lo scambio di modelli gestionali e di operatori, interventi comuni per regolare i rapporti con le autorità politiche e amministrative. 45. Un ultimo passo, infine, consiste in un maggiore coinvolgimento dei laici all’interno delle istituzioni sanitarie cattoliche. A questo fine i religiosi devono offrire ai laici opportune possibilità di condividere la spiritualità dei fondatori degli istituti, rendendoli anche più partecipi della responsabilità dell’istituzione. Da parte loro i laici sono chiamati a superare le barriere costituite da una lunga tradizione di passività, assumendo il ruolo che loro compete nell’ambito della comunità ecclesiale. 46. Per tutti coloro che operano nell’ambito del servizio ai malati e ai sofferenti è valido quanto il Santo Padre Benedetto XVI afferma nell’enciclica Deus caritas est, in particolare là dove, dopo aver sottolineato come la Chiesa offra al mondo di oggi ancora una volta come modello l’immagine del Buon Samaritano, esorta tutte le istituzioni che agiscono in nome della Chiesa a «fare il possibile, affinché siano disponibili i relativi mezzi e soprattutto gli uomini e le donne che assumano tali compiti. Per quanto riguarda il servizio che le persone svolgono per i sofferenti, occorre innanzitutto la competenza professionale: i soccorritori devono essere formati in modo da saper fare la cosa giusta nel modo giusto, assumendo poi l’impegno del proseguimento della cura. La competenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore. Quanti operano nelle istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la “formazione del cuore”: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore (cfr Gal 5,6)» [24]. Educare alla “speranza che non delude” 47. La speranza cristiana non è un semplice atteggiamento ottimista. Non consiste nella fuga dalle difficoltà del presente proiettandosi in un avvenire migliore, bensì nella capacità di rendere presente quell’avvenire di cui la fede in Cristo risorto ci dà la certezza e di viverlo nell’adesso della storia. Così compresa, la speranza è sorgente d’iniziativa, perché spinge colui che spera ad attuare qui e ora, anche se parzialmente, quei valori che troveranno la loro piena realizzazione nell’era escatologica. In una realtà in cui la speranza è spesso messa in crisi, la Chiesa è chiamata ad aprire ed educare a quella speranza umana fatta propria da Cristo e impiantata dallo Spirito nel profondo dei cuori, cioè all’unica speranza che non delude (cfr Rm 5,5), perché risposta piena e definitiva di ogni attesa di salute e di pienezza di vita. È la speranza che nutre la creazione intera e la stessa condizione di sofferenza e di limite umano, nella certezza che «le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18), senza dimenticare che essa è sorretta dalla fede e dalla carità, e a sua volta le nutre[25]. 48. La presenza e l’azione della Chiesa nel mondo della salute trovano la loro realizzazione concreta nelle comunità particolari in cui si articola la sua presenza. È al loro interno che i fedeli sono chiamati a porre attenzione alle situazioni di sofferenza presenti nel territorio e a conoscere le molteplici strutture che, in esso, promuovono la salute e attuano la cura dei malati[26]. La panoramica attuale delle strutture sanitarie sul territorio italiano è costituita dall’Azienda sanitaria locale, articolata in Distretti socio-sanitari, Aziende ospedaliere, Case di cura, Istituti di riabilitazione, Servizi socio-sanitari, Istituti di ricovero e cura di carattere scientifico. Visita al mondo della salute 49. La prima attenzione della cura pastorale nelle comunità cristiane è la visita al mondo della salute. Si tratta in primo luogo di conoscere la reale situazione della sanità del proprio ambito territoriale, consolidando e intensificando le attività che già si attuano mediante la visita ai malati nelle strutture sanitarie o a domicilio da parte dei sacerdoti e dei religiosi, l’attività dei ministri straordinari della Comunione, l’azione dei volontari delle associazioni, il conforto e il sostegno ai familiari dei malati. Nel suo significato globale, la visita implica anche la presa di coscienza di tutti i problemi connessi con la salute e la malattia, come la prevenzione, il valore della vita, l’educazione sanitaria, la partecipazione alle iniziative promosse dalle istituzioni civili. Orientamenti pastorali 50. Dalla visita al mondo della salute, sull’esempio di Gesù e nella tradizione della Chiesa, derivano alcuni importanti orientamenti per un’efficace azione pastorale. Comunità sananti 51. Il primo progetto da realizzare è la costruzione di una comunità guarita e sanante. Gesù, infatti, non solo ha curato e guarito i malati, ma è stato anche instancabile promotore della salute. Il suo contributo in quest’area del vivere umano si è rivelato attraverso la sua persona, il suo insegnamento e le sue azioni. Il suo agire, infatti, è teso non solo a colmare l’indigenza dell’uomo, vittima dei propri limiti, ma anche a sostenere la sua tensione verso la pienezza di vita: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Ne deriva che nella trasmissione della fede – insegnamento, catechesi, incontri di studio, ritiri e esercizi spirituali, ecc. – non va solo instillata l’attenzione a tutte le categorie di malati, ma va anche compiuta un’azione preventiva, aiutando i giovani a un sano sviluppo umano e spirituale, accompagnando gli adulti nel superare con equilibrio le crisi della loro età, offrendo agli anziani risorse che li aiutino a vivere serenamente la vecchiaia. Si tratta d’introdurre all’arte della vita interiore, stimolando la capacità di gestire la propria sessualità, affettività ed emotività, educando al discernimento del bene e male, al controllo delle situazioni, all’apprendimento della misura dei propri limiti, allo sviluppo di modalità comunicative e relazionali significative. Tale attività educativa di prevenzione libera dal mito dell’onnipotenza, difende dalla depressione, induce a trovare un senso alla vita e favorisce lo stabilirsi di rapporti interpersonali caratterizzati da collaborazione e fraternità. La promozione della salute intesa nella sua integralità apre alla comprensione dei valori della vita, esperienza da amare e rispettare in tutte le situazioni e i momenti, anche in quelli della vulnerabilità e della morte. Il malato, lavoratore nella vigna del Signore 52. È, poi, compito importante della comunità ecclesiale la promozione della persona sofferente. Si tratta di rendere operativa l’affermazione di Giovanni Paolo II, secondo cui l’uomo sofferente è «soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza»[27]. Tale affermazione implica il riconoscimento del carisma dei sofferenti, dei valori che essi richiamano, del loro apporto creativo alla Chiesa e al mondo: «anche gli infermi sono inviati [dal Signore] come lavoratori nella sua vigna»[28]. A nessuno sfugge quanto sia importante passare da una concezione che intende il malato come oggetto di cura a una che lo rende soggetto responsabile della promozione del regno. Tale cambiamento di prospettiva è realizzata anche dalla nuova sensibilità sociale e civile che ha trovato un’espressione significativa nelle diverse “carte dei diritti dei malati”. Uno degli aspetti maggiormente considerati in tali documenti è costituito dal diritto del malato a essere coinvolto nella propria terapia, assumendo così un ruolo di responsabilità nel processo di cura che concerne la sua persona. Questo cambiamento di accento nella considerazione dell’infermo «diventa credibile allorquando non risuona semplicemente sulle labbra, ma passa attraverso la testimonianza della vita, sia di tutti coloro che curano con amore i malati, gli handicappati e i sofferenti, sia di questi stessi, resi sempre più coscienti e responsabili del loro posto e del loro compito nella Chiesa e per la Chiesa»[29]. La valorizzazione della presenza dei malati, della loro testimonianza nella Chiesa e dell’apporto specifico che essi possono dare alla salvezza del mondo, richiede un lavoro di educazione amorosa da realizzarsi non solo nelle istituzioni sanitarie attraverso un accompagnamento appropriato, ma anche e in modo tutto speciale nelle comunità parrocchiali. Una comunità che accoglie e celebra 53. Per questo la comunità parrocchiale deve aprirsi all’accoglienza, impegnandosi a far sì che il sofferente non sia solo nella prova: gli è vicino Cristo che perdona, santifica e salva, unitamente alla Chiesa che, con i gesti della “presenza”, partecipa alla sua situazione di debolezza e prega con lui. Sono segni della misericordia divina il conforto di una fraterna presenza, la qualità di una comunicazione sincera, la proposta della parola di Dio, la preghiera, la grazia dei sacramenti, l’aiuto materiale. Particolare significato e valore acquista la celebrazione del sacramento dell’Unzione degli infermi, istituito da Cristo «medico del corpo e dello spirito»[30]. L’apostolo Giacomo scrive: «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15). «Il sacramento dell’Unzione è il segno che gli infermi non sono soli nella prova, ma che ad essi è vicino Gesù, che conosce il soffrire, per dar loro forza ed aiutarli a conservare la fiducia in Dio Padre e ad aver pazienza verso il loro fragile corpo, destinato alla risurrezione»[31]. Frutto del sacramento, per l’azione dello Spirito, è per il malato il sentirsi sollevato e rinvigorito, e insieme aiutato a dare significato e a vivere con più serenità la propria condizione. In questa prospettiva, la comunità cristiana è chiamata a promuovere la presa di coscienza di questo dono e a collocare la celebrazione del sacramento all’interno di una proposta pastorale articolata e integrata. Una sofferenza redenta ed educatrice 54. Di grande importanza è il ricorso a un’autentica teologia della sofferenza che, evitando di cadere nel dolorismo, sappia comunicare che anche «gli eventi negativi della vita – non esclusa la malattia, l’handicap, la morte – sono “realtà redenta” dal Cristo e da lui assunta come “strumento di redenzione”» [32]. «Il cristiano, infatti, mediante la viva partecipazione al mistero pasquale di Cristo può trasformare la sua condizione di sofferente in un momento di grazia per sé e per gli altri fino a trovare nell’infermità una vocazione ad amare di più, una chiamata a partecipare all’infinito amore di Dio verso l’umanità»[33]. Alle numerose e lodevoli iniziative che già esistono a questo riguardo – come le diverse associazioni di malati – è opportuno che ne vengano aggiunte altre, come, ad esempio, l’inserzione di malati negli organismi ecclesiali di partecipazione. Non si tratta tanto di “programmare” una nuova pastorale, ma di chiedere il dono di un cuore ricco di Dio e di umanità e di vivere la dinamica del “dare e ricevere”: dare (tempo, cura, assistenza, ecc.) da parte dei sani ai malati, e ricevere dai malati quanto sono in grado di donarci. Una sofferenza condivisa può diventare una forza trasformatrice della società. La malattia è “pedagogia” per tutti: fa imparare la riconoscenza a Dio per i tanti doni ricevuti; spinge a pregare per chi è nella prova, ad apprezzare il bene nascosto, a ridimensionare i propri problemi; fa ritrovare semplicità e umiltà e spinge a una maggiore disponibilità verso gli altri; invita ad approfondire la domanda sul senso della vita. Frequentando le persone sofferenti si impara ad ascoltare di più, a incoraggiare, a compiere anche i servizi più umili per aiutare l’altro, a non fuggire dalla realtà quotidiana. Comunione e collaborazione 55. La pastorale della salute esige che si realizzi comunione e collaborazione tra le varie categorie degli operatori presenti nella comunità. Ciò è affermato dall’ecclesiologia del concilio Vaticano II e ulteriormente sviluppato nella riflessione teologica post-conciliare. Secondo tale prospettiva, la comunione è intesa come una realtà organica, cioè nella diversità e complementarità dei ruoli: «La comunione ecclesiale si configura, più precisamente, come comunione organica, analoga a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata dalla compresenza, dalla diversità e dalla complementarità delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità»[34]. Grazie a questa diversità e complementarità ogni membro si trova in relazione con tutto il corpo e a esso offre il proprio contributo. 56. La comunione converge nella realizzazione dell’obiettivo comune a tutto il popolo di Dio: l’evangelizzazione[35]: «Le sfide della missione, infatti, sono tali da non poter essere efficacemente affrontate senza la collaborazione, sia nel discernimento che nell’azione, di tutti i membri della Chiesa. Difficilmente i singoli possiedono la risposta risolutiva: questa invece può scaturire dal confronto e dal dialogo. In particolare, la comunione operativa tra i vari carismi non mancherà di assicurare, oltre che un arricchimento reciproco, una più incisiva efficacia nella missione»[36]. È forte il richiamo a educarsi alla comunione e alla collaborazione, mettendo in questione il proprio modo di vivere e di lavorare per la promozione del regno di Dio nel mondo della salute. Coinvolgimento di tutte le categorie del popolo di Dio 57. È compito dei sacerdoti, sia di quelli che operano nelle istituzioni sanitarie in qualità di cappellani sia dei parroci e dei loro vicari, coinvolgere nella pastorale della salute i diaconi, i consacrati e le consacrate, i fedeli laici. Come già nella Chiesa delle origini gli apostoli scelsero i diaconi per svolgere un «servizio sociale… assolutamente concreto, ma al contempo… anche un servizio spirituale… che realizza un compito essenziale della Chiesa, quello dell’amore ben ordinato del prossimo»[37], così anche oggi i diaconi sono chiamati a realizzare un ministero di carità rivolto in modo particolare ai bisognosi, ai malati e ai sofferenti. Preziosa, poi, è la partecipazione dei consacrati e delle consacrate alla pastorale della salute. Lungo la storia, essi hanno costituito la principale forma di presenza concreta della Chiesa nell’assistenza agli infermi: «Molte istituzioni religiose sono sorte con la specifica finalità di promuovere, organizzare, migliorare ed estendere l’assistenza agli infermi»[38]. Irrinunciabile, infine, è il contributo che i fedeli laici possono offrire alla pastorale della salute sia attraverso l’esercizio della loro professione negli ospedali e nel territorio, sia collaborando ai compiti propri dei ministri ordinati. [39] Nell’esercizio delle attività verso gli infermi che competono alla comunità ecclesiale, lo spazio dei laici è rilevante: possono visitare i malati a nome della comunità, portare loro la Santa Comunione, guidare momenti di preghiera, partecipare attivamente alle celebrazioni liturgiche. Il ruolo della donna 58. Una partecipazione più attiva e corresponsabile della donna – consacrata e laica – alla missione della Chiesa nel mondo sanitario non solo è auspicabile ma raccomandabile. La sua presenza negli organismi operanti nelle istituzioni sanitarie e nelle parrocchie offre una risorsa importante, portando a cambiamenti significativi nel modo di porsi in relazione con le persone e i problemi del mondo della salute. L’azione pastorale della Chiesa può essere arricchita dall’integrazione di quelle caratteristiche che sono tipiche della personalità femminile: la ricettività, la disponibilità, l’accoglienza, la capacità di ascolto, l’abilità nel cogliere le situazioni, l’attitudine a farsi carico dei problemi degli altri, l’inclinazione a offrire il proprio aiuto. Come ha scritto Giovanni Paolo II: «Nella nostra epoca i successi della scienza e della tecnica permettono di raggiungere in maniera ancora sconosciuta un benessere materiale che, favorendo alcuni, conduce altri all’emarginazione. Questo progresso materiale può comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità dell’uomo, verso ciò che è essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto il nostro tempo aspetta la manifestazione del genio della donna che assicuri la sensibilità verso l’uomo in ogni circostanza: per il semplice fatto che è uomo!» [40]. Progettualità 59. La comunione e la collaborazione non potranno essere efficacemente promosse senza il passaggio dall’agire improvvisato alla progettualità e senza un coordinamento intelligente delle risorse presenti nella comunità: i ministri straordinari della Comunione, gli operatori pastorali e sanitari, i volontari delle diverse associazioni, i familiari dei malati, i malati stessi. La programmazione non può restare a livello di alcune decisioni prese in base alla buona volontà, ma va vista come l’occasione per realizzare un processo dinamico che unisce riflessione, discernimento e operatività. Per questo sono necessari luoghi e momenti di confronto e verifica. Ciò si rende tanto più necessario se si considera che il sistema sanitario esce progressivamente dagli ambiti delle sole strutture ospedaliere per radicarsi su tutto il territorio, con la conseguenza che un numero sempre più consistente di malati si trova nelle famiglie, soprattutto nella fase dell’assistenza e della riabilitazione. L’organizzazione a diversi livelli 60. Per un coinvolgimento creativo di tutta la comunità ecclesiale nella pastorale della salute si richiede la presenza di strutture di comunione operanti a livello nazionale, regionale, diocesano, parrocchiale e ospedaliero. Alcune di esse sono in funzione da tempo, altre sono sorte in questi ultimi anni. A livello nazionale 61. Due sono le strutture di riferimento istituite dalla Conferenza Episcopale Italiana: l’Ufficio Nazionale e la Consulta Nazionale per la pastorale della sanità. L’Ufficio Nazionale è la struttura che anima la pastorale della salute su tutto il territorio nazionale. Suoi compiti specifici sono: • promuovere in tutte le diocesi la costituzione di un ufficio analogo, così da programmare un’adeguata pastorale nei suoi compiti fondamentali (evangelizzazione, celebrazione dei sacramenti, servizio della carità); • favorire la collaborazione delle diverse realtà sanitarie di ispirazione cristiana (associazioni professionali, organismi di volontariato, istituzioni sanitarie cattoliche, ecc.) presenti sul territorio nazionale; • seguire l’evoluzione della legislazione sanitaria per elaborare orientamenti pastorali adeguati; • promuovere lo studio e l’approfondimento dei problemi inerenti la pastorale della salute, con particolare attenzione a quelli etici. La Consulta Nazionale, composta dai rappresentanti delle principali realtà cristiane operanti, a livello nazionale, nell’ambito della sanità, ha come compito specifico la promozione di una pastorale d’insieme e l’offerta di un contributo di riflessione sugli orientamenti generali della pastorale della salute in Italia[41]. 62. Accanto a queste due strutture, si è costituito il Tavolo nazionale delle istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana, le cui finalità sono: • stabilire un collegamento permanente tra i soggetti aderenti per il confronto, la ricerca e l’attuazione di comuni indirizzi etico-antropologici, anche per favorire l’effettivo perseguimento delle finalità evangeliche per cui le istituzioni sono sorte;• elaborare proposte di orientamenti pastorali, di iniziative e di interventi rivolti ai diversi soggetti ecclesiali che operano nell’ambito sanitario; • promuovere iniziative di formazione mirate all’efficienza, all’efficacia e all’appropriatezza dei servizi e delle presidi sanitari, assumendo in via prioritaria l’umanizzazione degli interventi. È auspicabile che gradualmente vengano costituiti con le stesse finalità Tavoli delle istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana a livello regionale o interregionale. A livello regionale 63. La sanità sta assumendo particolare importanza e rilevanza autonoma nelle singole regioni, per cui s’impone la necessità di istituzione o potenziare la Consulta regionale per la pastorale della salute, diretta da un responsabile designato dalla Conferenza Episcopale Regionale. Spetta anche alla Conferenza Episcopale Regionale designare al proprio interno un vescovo con l’incarico di seguire la pastorale sanitaria. I compiti specifici della Consulta regionale riguardano in particolare la promozione di iniziative a carattere formativo, il coordinamento degli uffici diocesani, l’attenzione agli interventi legislativi, la sensibilizzazione della popolazione ai problemi sanitari[42]. A livello diocesano 64. Una pastorale organica nell’ambito diocesano trova il suo punto di riferimento nella persona del vescovo che esercita il ministero di governo nella Chiesa particolare mediante organismi e uffici pastorali. Particolare rilievo per la promozione di una pastorale sanitaria organica assume l’Ufficio diocesano, cui è bene sia aggiunta una Consulta diocesana, composta, oltre che dal responsabile dell’Ufficio, da soggetti attivi nell’azione pastorale: parroci, cappellani, rappresentanti di associazioni ecclesiali, di associazioni professionali cristiane e del volontariato. L’Ufficio diocesano per la pastorale della salute ha il compito di studiare le linee pastorali diocesane nel campo della sanità, di sensibilizzare le comunità cristiane a tali problemi, di coordinare le iniziative riguardanti la formazione e l’aggiornamento delle persone che operano nel settore, di seguire i vari progetti locali in materia sanitaria. Le principali attività della Consulta diocesana sono: • la sensibilizzazione delle comunità ecclesiali, mettendo in rilievo il fatto che esse costituiscono il soggetto primario della pastorale sanitaria; • la formazione degli operatori sanitari, con particolare attenzione ai cappellani, ai medici, agli infermieri e ai volontari. L’attività formativa può avvenire attraverso l’apporto e la collaborazione delle associazioni professionali e di volontariato. Pur lasciando a ogni associazione la realizzazione dei propri specifici programmi, è opportuno fissare alcune iniziative annuali da svolgere insieme; • la promozione di iniziative finalizzate a migliorare l’assistenza ai malati, con particolare attenzione alle persone sole, emarginate, con patologie che richiedono cure particolari, come i malati oncologici, gli anziani non autosufficienti, le persone affette da AIDS e i malati psichiatrici. A livello parrocchiale 65. La continua evoluzione della sanità, sempre più articolata sul territorio, interpella le comunità parrocchiali, chiamate a farsi carico della cura e assistenza dei malati, dell’educazione dei fedeli ai valori cristiani della vita e della loro sensibilizzazione ai problemi della salute, della sofferenza e della morte[43]. È compito soprattutto del parroco promuovere nel tessuto vitale della comunità lo spirito della diaconia evangelica verso i sofferenti e l’impegno per la promozione della salute. Nelle catechesi – soprattutto nei tempi forti dell’anno liturgico o in occasioni particolari, come la Giornata mondiale del malato – devono essere trattate le tematiche relative alla sofferenza e alla salute, al vivere e al morire. È importante, infatti, che i fedeli siano sensibilizzati su questi grandi temi prima ancora di farne esperienza diretta nel periodo della malattia o nella vicinanza della morte. Attraverso i sacramenti di guarigione – celebrati individualmente e comunitariamente – egli rende presente l’azione del Signore verso coloro che soffrono. Strettamente legato alla celebrazione dell’Eucaristia è il servizio dei ministri straordinari della Comunione. Si tratta di una ministerialità da promuovere e da valorizzare come segno di una comunità che si fa vicina al malato e lo ha presente nel cuore della celebrazione eucaristica, come membro del corpo di Cristo, a cui va offerta la cura più grande. In questa luce, è significativo che i ministri nel giorno del Signore vengano inviati a portare la Comunione ai malati dall’assemblea stessa radunata per la celebrazione. Prezioso è il dono che si può offrire ai malati e ai loro familiari attraverso la visita sia a domicilio che nelle strutture ospedaliere presenti nell’ambito della parrocchia. La visita ai malati e ai familiari, fatta a nome della comunità, è sorgente di fraternità e di gioia, li fa sentire membri attivi della comunità ed è segno della vicinanza e dell’accoglienza di Dio. I visitatori possono farsi carico in maniera efficace delle sofferenze dei malati e dei loro congiunti, identificarne i bisogni più immediati, mediarne le esigenze. L’azione in favore dei malati trae grande giovamento dalla presenza di adeguati collegamenti tra la cappellania ospedaliera, il consiglio pastorale ospedaliero e la parrocchia. Un contributo efficace all’assistenza dei malati è offerta dal volontariato, che va promosso, sostenuto e formato[44]. A livello ospedaliero e di presidi socio-sanitari 66. L’ospedale rimane ancora luogo privilegiato di evangelizzazione che favorisce l’incontro dell’uomo malato con Dio. Figura centrale dell’animazione pastorale nelle istituzioni sanitarie è il cappellano, chiamato a «farsi centro e propulsore di un’azione tesa a risvegliare e sintonizzare tutte le forze cristiane presenti nell’ospedale, anche quelle potenziali e latenti»[45]. L’azione del cappellano o assistente spirituale trova sostegno nella cappellania e nel consiglio pastorale ospedaliero[46], organismi necessari per una partecipazione attiva di tutta la comunità ospedaliera ai progetti pastorali. La cappellania permette di valorizzare la partecipazione e la collaborazione di diaconi, consacrati e consacrati e laici, accanto alla figura irrinunciabile del sacerdote. Questa varietà di presenze e di carismi contribuisce a favorire uno svolgimento più articolato dei diversi compiti pastorali, dando spazio non solo alla celebrazione dei sacramenti ma anche ad altre attività di evangelizzazione e servizio. Alcune attenzioni particolari 67. Nella programmazione della pastorale sanitaria, è bene che le comunità cristiane abbiano presenti alcune priorità: a. Far riscoprire ai fedeli la loro vocazione missionaria, attraverso la presa di coscienza del Battesimo come partecipazione all’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo. Il ministero di cura, di accompagnamento e di compassione verso i malati è una conseguenza di tale vocazione costitutiva. b. Promuovere una formazione adeguata degli operatori pastorali. Per essere lievito e fermento nel mondo della salute, i cristiani vanno resi idonei a svolgere con amore e competenza il loro apostolato, utilizzando le risorse formative offerte dagli istituti di pastorale sanitaria[47]. La formazione non può limitarsi a rimediare all’ignoranza cognitiva, ma deve puntare a far maturare atteggiamenti che tocchino tutte le dimensioni della persona. L’operatore pastorale, infatti, è chiamato a crescere non solo a livello del sapere, ma anche a quelli del saper essere e del saper fare. Ne deriva che, nel processo formativo, spiritualità e professionalità vanno perseguiti con uguale attenzione e intensità. All’azione dell’operatore pastorale può essere applicato quanto affermato da Paolo VI a proposito dell’evangelizzazione: «L’evangelizzazione non sarà mai possibile senza l’azione dello Spirito Santo… Le tecniche dell’evangelizzazione sono buone, ma neppure le più perfette tra di esse potrebbero sostituire l’azione discreta dello Spirito. Anche la preparazione più raffinata dell’evangelizzatore non opera senza di lui. Senza di lui la dialettica più convincente è impotente sullo spirito degli uomini. Senza di lui i più elevati schemi a base sociologica e psicologica si rivelano vuoti e privi di valore. Si può dire che lo Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione»[48]. c. Promuovere un coordinamento efficace delle associazioni che operano nel settore sanitario e socio-sanitario, presenti sul territorio. Si tratterà di cercare nuovi modi di esprimere la comunione ecclesiale, lasciandosi guidare dal comandamento evangelico dell’amore e crescendo nell’esperienza e nella testimonianza della solidarietà e della condivisione. È importante che nelle associazioni maturi la consapevolezza che ogni iniziativa a favore dei malati e dei sofferenti, come pure ogni presenza nella società, è fatta non a titolo personale o di gruppo, ma a nome dell’intera comunità cristiana. d. Valorizzare la Giornata mondiale del malato, come occasione formativa della comunità. Le finalità della giornata sono molteplici[49]: esse vanno conosciute, approfondite e attualizzate con progressività e con perseveranza, avvalendosi delle tematiche annuali proposte dall’Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità. Tale Giornata deve fare un salto di qualità, sviluppando, oltre che la dimensione cultuale, già diffusa e sentita nelle parrocchie, anche quella culturale. Ciò comporta che accanto alle celebrazioni liturgiche siano promosse iniziative (quali convegni o conferenze) in ambito parrocchiale, vicariale, zonale e diocesano, con lo scopo di far riflettere sul valore della salute, sul senso della sofferenza, sull’impegno della cura dei malati, su problematiche etiche, sanitarie e organizzative, coinvolgendo anche le autorità civili. e. Favorire il sorgere o potenziare, se già esistono, microstrutture o concrete iniziative che mirino a realizzare luoghi di assistenza e accoglienza per gli anziani, i malati in fase terminale, i disabili, i bisognosi di cura, e a offrire ospitalità ai familiari dei malati ricoverati. 68. Il cammino percorso in Italia dalla pastorale della salute dopo il concilio Vaticano II è stato notevole. È cresciuta la sensibilità ecclesiale verso i problemi della sanità, portando a un coinvolgimento più efficace di tutti i membri della comunità nel servizio a chi soffre e nelle iniziative volte alla promozione della salute. La letteratura in questo settore ha conosciuto un significativo sviluppo e si sono moltiplicati i centri per la formazione degli operatori pastorali. Più aperto e costruttivo è divenuto il dialogo con gli organismi e le istituzioni che a livello sociale e politico si occupano della cura dei malati e della promozione della salute. Le mete raggiunte costituiscono uno stimolo a mantenere costante la volontà di compiere ulteriori passi, rinvigorendo lo slancio spirituale e apostolico e affinando metodi e strategie pastorali, tenendo sempre fisso lo sguardo su Gesù Cristo, Buon Samaritano, nella consapevolezza che l’impegno nella promozione della salute e nella cura amorevole dei malati contribuisce efficacemente alla realizzazione del regno di Dio. 69. Nell’affrontare le sfide poste dal mondo sanitario, la comunità cristiana, impegnata nel servizio a chi soffre, guarda alla Vergine Maria, salute degli infermi, come a un modello da imitare. Dichiarandosi serva del Signore, Maria ha compreso e dimostrato che la resa incondizionata alla sovranità di Dio può fornire all’uomo l’alfabeto primordiale per intendere e realizzare ogni altro servizio umano. La vita divina, presente in pienezza in lei, ha permeato tutto il suo essere e il suo operare. Partecipe della condizione dei poveri, esperta nella sofferenza, Maria è icona dell’attenzione vigile e della compassione verso chi soffre. Subito dopo essersi dichiarata serva del Signore, è corsa con fretta premurosa a farsi ancella di Elisabetta. Con sguardo attento ha colto il disagio degli sposi in Cana di Galilea. Nel suo atteggiamento si esprime l’amore di Dio, la cui misericordia non conosce limiti (cfr Lc 1,50). Il servizio della Vergine Maria trova la manifestazione massima nella partecipazione alla sofferenza e alla morte del Figlio. «Assunta alla gloria del cielo, accompagna con materno amore la Chiesa e la protegge nel cammino verso la patria, fino al giorno glorioso del Signore»[50]. «Ora risplende sul nostro cammino, segno di consolazione e di sicura speranza»[51]. Alla sua intercessione affidiamo l’impegno delle nostre Chiese nel testimoniare quella speranza che, sola, può confortare ogni uomo e ogni donna provati dalla sofferenza e dalla malattia. BENEDETTO XVI, Messaggio per la XIV Giornata mondiale del malato, 8 dicembre 2005. BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2005. GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 50: AAS 93 (2001), 303. BENEDETTO XVI, Messaggio per la XIV Giornata mondiale del malato. CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 30 marzo 1989: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 94-116. Ibid., 2: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 97. GIOVANNI PAOLO II, motu proprio Dolentium hominum, 11 febbraio 1985, 1: AAS 77 (1985), 457. Tra i numerosi passi evangelici che descrivono l’attenzione di Gesù e degli apostoli nei confronti dei malati, ricordiamo Mt 10,1; Mc 6,3; Lc 9,1-6; 10,9; At 2,42; 3,6; 5,12; 6,8; 8,5-6; 9,34.40; 1Cor 12,9; 12,28-30; Gc 5,13-14. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, 1: AAS 58 (1966), 1025. «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» (Costituzione della Repubblica italiana, art. 32). GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, 15: AAS 87 (1995), 417. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 57: AAS 58 (1966), 1078. Cfr GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Novo millennio ineunte, 24-29: AAS 93 (2001), 281-286. Cfr PAOLO VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, 21: AAS 68 (1976), 19-20. Nell’introduzione al Rito dell’Unzione degli infermi si legge: «La Chiesa incoraggia e benedice ogni ricerca e ogni iniziativa intrapresa per vincere le infermità, perché vede in questo una collaborazione degli uomini all’azione divina di lotta e di vittoria sul male» (n. 134). PIO XII, Radiomessaggio al VII Congresso internazionale dei medici cattolici (11 settembre 1956), in Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVIII (1956-57), p. 425. GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Salvifici doloris, 11 febbraio 1984, 29: AAS 76 (1984), 245. Cfr Ibid., 25-27: AAS 76 (1984), 235-242; 28-30: AAS 76 (1984), 242-248. Cfr CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 32-37: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 105-106. GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Novo millennio ineunte, 51: AAS 93 (2001), 304. Ibid., 51 AAS 93 (2001), 304. Cfr UFFICIO NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, Le istituzioni sanitarie cattoliche in Italia, 7 luglio 2000: Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana 6, 1541-1580. Ibid., n. 18: Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana 6, 1558. Nello stesso paragrafo si afferma: «Diventa realmente profetico lo specifico impegno nel realizzare apposite opere di sostegno ai più poveri, non solo a motivo della loro condizione economica ma anche per le specifiche tipologie patologiche o esistenziali». BENEDETTO XVI, lettera enciclica Deus caritas est, 25 dicembre 2005, 31: “L’Osservatore Romano” 26 gennaio 2006. Cfr Ibid., 39. Cfr CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 23-24: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 102-103. GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Christifideles laici, 30 dicembre 1988, 54: AAS 81 (1989), 501. Ibid., 53: AAS 81 (1989), 499. Ibid., 54: AAS 81 (1989), 501. In termini simili si esprime la nota pastorale La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria: «Difficilmente il malato potrà svolgere il suo ruolo di soggetto attivo nella comunità ecclesiale se non sarà prima “termine dell’amore e del servizio della Chiesa” (Christifideles laici, 54), trovando in essa appoggio umano, spirituale e morale» (n. 27): “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 104. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, costituzione Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, 5: AAS 56 (1964), 99. La medesima costituzione conciliare, collocando l’Unzione degli infermi nella prospettiva di un rito continuato dopo la Penitenza e prima del Viatico (cfr Sacrosanctum Concilium, 73-75: AAS 56 (1964), 118-119), contribuisce a evidenziarne il carattere specifico di sacramento dei malati. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Documento pastorale dell’Episcopato italiano Evangelizzazione e sacramenti della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, 142: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1974, 159. CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 26: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 103. Ibid., 26: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 103.. GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Christifideles laici, 20: AAS 81 (1989), 425. «Operai della vigna sono tutti i membri del popolo di Dio: i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i fedeli laici, tutti a un tempo oggetto e soggetto della missione di salvezza. Tutti e ciascuno lavoriamo nell’unica vigna del Signore con carismi e con ministeri diversi e complementari» (Ibid., 55: AAS 81 [1989], 502). GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Vita consecrata, 25 marzo 1996, 74a: AAS 88 (1996), 449-450. BENEDETTO XVI, lettera enciclica Deus caritas est, 21: “L’Osservatore Romano”, 26 gennaio 2006. GIOVANNI PAOLO II, motu proprio Dolentium hominum, 1: AAS 77 (1985), 457. Cfr CONGREGAZIONE PER IL CLERO E ALTRE, Istruzione su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti (15 agosto 1997): «Entro questa vasta area di concorde operosità, sia specificamente spirituale o religiosa, sia nella consecratio mundi, esiste un campo speciale, quello che riguarda il sacro ministero del clero, nell’esercizio del quale possono essere chiamati a coadiuvare i fedeli laici, uomini e donne, e, naturalmente, anche i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica. A tale ambito si riferisce il Concilio Ecumenico Vaticano II, laddove insegna: “Infine la gerarchia affida ai laici alcuni compiti, che sono più intimamente collegati con i doveri dei pastori, come nell’esposizione della dottrina cristiana, in alcuni atti liturgici, nella cura delle anime” (Apostolicam actuositatem, 24)» (Premessa): AAS 89 (1997), 854. GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris dignitatem, 15 agosto 1988, 30: AAS 80 (1988), 1726. Cfr CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 66 -70: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 112. Cfr Ibid., 74: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 112-113. «Nell’attenzione ai problemi del mondo della salute e nella cura ammirevole verso i malati, la comunità ecclesiale è coinvolta in tutte le sue componenti» (CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 23: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 103). «L’assistenza amorevole agli ammalati raggiungerà più efficacemente il suo scopo, se si eviteranno facili deleghe a pochi individui o gruppi e se si organizzeranno sapientemente interventi della comunità» (Ibid., 24: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 103). Cfr CONSULTA NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 59-64: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 110-111. Ibid., 41: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 106. Ibid., 79-81: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 113-114. Tra i Centri di formazione pastorale ricordiamo l’Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria “Camillianum” di Roma, che offre programmi accademici. PAOLO VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 75: AAS 68 (1976), 64-66. Cfr Lettera di Giovanni Paolo II al Card. F. Angelini del 13 maggio 1992. In tale testo si afferma che la Giornata mondiale del malato ha «lo scopo manifesto di sensibilizzare il popolo di Dio e, di conseguenza, le molteplici istituzioni sanitarie cattoliche e la stessa società civile, alla necessità di assicurare la migliore assistenza agli infermi; di aiutare chi è ammalato a valorizzare sul piano umano e soprattutto su quello soprannaturale, la sofferenza; a coinvolgersi in maniera particolare le diocesi, le comunità cristiane, le Famiglie religiose nella pastorale sanitaria; a favorire l’impegno sempre più prezioso del volontariato; a richiamare l’importanza della formazione spirituale e morale degli operatori sanitari e, infine, a far meglio comprendere l’importanza dell’assistenza religiosa agli infermi da parte dei sacerdoti diocesani e regolari, nonché di quanti vivono ed operano accanto a chi soffre». Messale Romano, Prefazio III della Beata Vergine Maria. Messale Romano, Prefazio IV della Beata Vergine Maria.