Opinioni & Commenti
Nord Africa e Medio Oriente, in gioco gli equilibri mondiali del futuro
di Riccardo Moro
Stiamo partecipando ad un passaggio in tutta evidenza storico. I paesi arabi del Nord Africa e del Medio Oriente stanno vivendo una trasformazione il cui futuro non è ancora completamente noto ma che certamente peserà sugli equilibri geopolitici del futuro. Un mondo di 15 nazioni e quasi 250 milioni di persone non può naturalmente essere considerato come un’entità unica, ma non v’è dubbio che grazie alla rete, a quella che di fatto è una unità linguistica e ad una storia e una cultura che le popolazioni di questa grande area percepiscono come in buona parte comune, le dinamiche avviate in Tunisia si stiano rapidamente allargando a macchia d’olio in tutta la regione.
Dopo la fuga di Ben Ali gli egiziani hanno preso fiducia e avuto successo. La caduta di Mubarak ha alimentato la protesta nello Yemen dove la polizia è arrivata a sparare, senza peraltro riuscire ad interrompere le manifestazioni che in questo momento si diffondono anche fuori da Sana’a, la capitale.
In Bahrein la popolazione è scesa in piazza il 14 febbraio, anniversario della Costituzione del 2002 solo parzialmente applicata. Qui gioca anche la divisione tra una popolazione povera in prevalenza sciita e la ricchissima famiglia reale sunnita. Il re ha promesso maggiore libertà alla stampa e 2000 euro ad ogni famiglia, ma la popolazione non sembra più disponibile a farsi comprare così facilmente e nessuno è in grado di prevedere che cosa accadrà.
La tensione ha raggiunto la Libia dove è stata convocata per il 17 febbraio una giornata nazionale di mobilitazione. Il 18 sarà la volta dell’Algeria, dove i contestatori intendono continuare la protesta, nonostante la polizia abbia usato le armi contro di loro nei giorni scorsi.
In Palestina il premier Salam Fayyad ha rassegnato le dimissioni, ricevendo dal Presidente Abu Mazen l’incarico di costituire un nuovo governo tecnico per convocare il 9 luglio le elezioni amministrative ed entro settembre quelle politiche.
Il passaggio rappresenta un’accelerazione importante. Il movimento Hamas maggioritario a Gaza, infatti, non riconosce più gli organismi dell’Autorità Palestinese basati a Ramallah in Cisgiordania e per due anni ha rifiutato un’intesa sulla nuove elezioni. La scelta di Abu Mazen e Fayyad oggi non era più rinviabile, tanto più alla luce degli eventi in Tunisia ed Egitto. Ma la posizione di Hamas, che per ora non intende partecipare alle elezioni, potrebbe anche portare ad una definitiva divisione tra Cisgiordania e Striscia di Gaza, con la creazione di due entità nazionali separata, complicando ancora di più il rompicapo israelo-palestinese.
Gli echi di queste vicende arrivano anche altri due Paesi particolarmente importanti. Il primo è l’Arabia Saudita, che negli scorsi giorni aveva offerto aiuto finanziario a Mubarak per sostituire l’eventuale sospensione degli aiuti Usa. Con questo gesto la famiglia reale saudita, divisa da forti rivalità al proprio interno, confessava il timore che un cambiamento in Egitto modificasse gli equilibri regionali e che la conseguente domanda di democrazia potesse «infettare» anche il proprio paese. Ora l’offerta è stata superata dagli eventi e i sauditi rimangono in silenzio, ma dovranno fare i conti con quanto sta accadendo ai loro confini.
Il secondo è l’Iran. Non si tratta di un paese arabo, ma il governo iraniano ha cercato proprio nel mondo arabo confinante di influire, imponendo il proprio fondamentalismo con la forza del petrolio. I moti di questi giorni potrebbero dare nuova energia alla rivoluzione verde del popolo iraniano contro gli ayatollah. Non per nulla da lunedì mattina l’abitazione del leader dell’opposizione Moussavi è stata circondata dalla polizia e all’uomo politico è stato impedito di muoversi, mentre i blog iraniani, da tutto il mondo, riprendono a infiammarsi.
In questo quadro aumenta l’imprevedibilità, aumentano i rischi di instabilità e di vulnerabilità ai fondamentalismi, ma contemporaneamente crescono le speranze per la democrazia. La determinazione della gente, gli spazi di libertà dati dai nuovi mezzi di comunicazione, l’irrobustimento delle istituzioni multilaterali regionali che riducono gli spazi alle dittature solitarie fanno sperare che l’esito dei movimenti di oggi sia nella direzione della democrazia e della pace. Una considerazione fa sperare. Alcuni commentatori hanno descritto gli Usa completamente spiazzati dagli eventi, costretti ad aggiornare le loro alleanze. In realtà Obama durante il suo mandato ha dato vita ad un’iniziativa politico-culturale mai vista verso il mondo arabo e il mondo musulmano. Rileggendo ora il suo discorso all’Università del Cairo del 4 giugno 2009 si riconoscono molti dei temi declinati da piazza Tahrir in questi giorni.
Forse i giudizi sulle ingenuità di Obama vanno davvero rivisti. Il presidente Usa ha indicato con chiarezza le sue priorità e ha agito con coraggio con i mezzi della politica. Ha rischiato. Oggi forse sta iniziando a raccogliere frutti preziosi per tutti.