Lettere in redazione
Non si può continuare a morire così sulle strade
Bene! Gli sta bene! Così imparano a stare nel mezzo di strada e a viaggiare in coppia o in gruppo». Questo è quanto sento dire da diverse persone sul fatto accaduto a Lamezia Terme e della morte di sette ciclisti: sette uomini, colpevoli solo di andare in bicicletta una domenica mattina. Invece di correre con le auto, o di fare altro, loro andavano in bicicletta.
Ma per tanta gente comunque la colpa è anche di questi ciclisti che invadono le strade e che occupano un territorio che è di «proprietà» delle auto. Mi domando: se nel nostro viaggiare in auto ci troviamo davanti un camion che procede piano, o un ape, o un ostacolo qualsiasi, che facciamo? Rallentiamo, lo schiviamo? Penso di sì. Ecco! Se si trova un ciclista, quello invece va insultato o peggio ancora verrebbe la voglia di buttarlo a terra. Qualcuno pensa alle piste ciclabili. Sono bene accolte.
Ma chi l’ha detto che la strada è un luogo per le sole auto e i ciclisti devono essere relegati in percorsi recintati magari da muri di cemento? Qualcuno conosce la realtà di altri Paesi e non solo Europei? Perché l’Italia deve dimostrare di essere sempre ultima in tutto. E già! Ma noi abbiamo il calcio che si gioca in luoghi dove gli spettatori sono recintati, lontano dai loro idoli ma dove si possono prendere a cazzotti o anche peggio, ma lì non danno fastidio alle auto! Infine, un’altra domanda: dove si pensa potessero allenarsi Bartali, Coppi, Gimondi, Adorni, Basso, Pantani, Cipolllini, Bettini…? Sulle strade del Burundi?
Mi sarei augurato che nessuno avesse detto o pensato che «gli sta bene!» vista l’estrema drammaticità dell’evento di Lamezia Terme: sette morti, una strage. Però, mi fido di lei e di quello che racconta, caro Bardelli. È vero, non c’è tolleranza nei confronti dei ciclisti, siano essi professionisti, cicloamatori o persone che usano la bici per spostarsi. Dobbiamo anche dire, per onestà, che anche loro, a volte, non fanno il possibile per farsi ben volere dagli automobilisti, soprattutto quando i cicloamatori viaggiano «in coppia o in gruppo» non favorendo la scorrevolezza del traffico, oppure quando in città chi usa la bici per spostarsi non rispetta il codice della strada (come tanti scooter, del resto) imboccando strade in controsenso, viaggiando sulla sinistra… Detto questo condivido che non abbiamo una cultura alternativa all’auto. Anzi, le dirò di più: dell’auto siamo schiavi. Basta vedere a che livello è arrivato il traffico nelle nostre città. E non solo in quelle grandi, persino nei paesi. Per di più nel dibattito sulla sicurezza stradale le biciclette sono state quasi ignorate, anche nella nostra regione, che è terra di grandi ciclisti professionisti, di decine di migliaia di cicloamatori e di appassionati di ciclismo. Fatti recentissimi, di questi giorni, lo dimostrano: un uomo in bicletta tamponato e ucciso sul colpo ad Arezzo; due cicloamatori in gravissime condizioni dopo essere stati investiti nei pressi di Pontedera da una donna che ha perso il controllo della propria auto, invadendo l’altra corsia, per leggere e rispondere a degli sms. É quindi indispensabile una maggiore educazione stradale, che è educazione civica, ma ci vuole soprattutto una diversa cultura della vita. Non si può continuare a morire così sulle strade, in bici, in moto o in auto.