Proiettarsi verso l’altro, mettendolo al centro, questo è il compito dell’educazione», ha concluso così il prof Giuseppe Savagnone, martedì scorso, in S. Francesco, il dibattito seguito alla sua appassionante relazione; poi, un lungo applauso ha sottolineato la gratitudine dei presenti che, davvero numerosi, hanno apprezzato la ricchezza degli spunti offerti e la concretezza delle riflessioni fatte.Giuseppe Savagnone, nato a Palermo nel 1944, per 40 anni è stato docente di Storia e Filosofia in un liceo, esperto di tematiche educative, è attualmente anche editorialista di Avvenire e Toscana Oggi. L’incontro con Savagnone era inserito all’interno dell’aggiornamento teologico del clero diocesano, tenutosi dall’11 al 14 gennaio, e contemporaneamente, nel Convegno diocesano, che quest’anno è stato rinviato per la Peregrinatio Mariae. Al mattino, per i sacerdoti in Seminario, e la sera in San Francesco per tutta la diocesi, alcuni esperti affrontano gli argomenti contenuti nel documento con gli orientamenti pastorali della Cei per il decennio 2010-2020, «Educare alla vita buona del Vangelo».Introdotto e presentato dal Vescovo Simoni, Savagnone ha iniziato la propria riflessione sottolineando che l’emergenza educativa, tema ricorrente per ogni epoca e generazione, «oggi ha una peculiarità: la crisi attraversata dagli adulti; sono, infatti, loro che non sanno più educare, perché mancano del coraggio di educare e soprattutto di ascoltare». Un coraggio fatto anche della capacità di «guardare il volto dell’altro e poi andare alla ricerca di lui».Gesù, difatti, ha aggiunto Savagnone, «non ha chiamato dei contadini, fermi sulla loro terra, ma dei pescatori, perché questi si muovono, seguono i pesci che si spostano continuamente; il pescatore – ha detto continuando la metafora – non si deve mai rassegnare, deve invece interrogarsi per capire se ha scelto il luogo adatto». Ed è «l’atteggiamento creativo del pescatore, la sua capacità di porsi domande, – ha spiegato Savagnone – che rende efficace il suo lavoro», così deve fare anche l’educatore, perché non basta avere il messaggio, è necessario anche saperlo trasmettere con un determinato stile.Per Savagnone, dunque, «educare significa insegnare all’altro a prendersi cura della propria vita, aiutandolo ad assumersi la responsabilità di se stesso». E questo educare può essere suddiviso in quattro momenti, imprescindibili ed inseparabili: i giovani vanno dunque «educati alla cura del proprio essere, della propria storia (essere da), della relazione (essere con), del senso della propria vita (essere per)». Educare l’altro a prendersi cura di sé è necessario se si pensa a ciò che fanno i giovani oggi: «privi del senso della propria identità profonda, cercano se stessi nell’esteriorità e, sommando continue esperienze diverse, poi rischiano di non saper mai scegliere».Imprescindibili quindi anche gli altri tre aspetti: i giovani devono essere aiutati a conoscere la loro storia (essere da), perché «non ci siamo fatti da soli»; i giovani devono essere consapevoli che «le nostre scelte ricadono sempre sugli altri» (essere con); infine l’«essere per». Oggi, ha detto Savagnone, «i ragazzi non sono più proiettati verso le grandi cause, pensano solo alla propria realizzazione individuale; invece dobbiamo aiutarli a chiedersi: Come posso essere utile agli altri?. Ma – ha concluso il relatore – non si può educare qualcuno, se non si pratica questo anche su di noi».Mentre andiamo in stampa si devono ancora tenere gli incontri: con mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente nazionale di Azione Cattolica, che mercoledì parla della Chiesa e del ruolo degli educatori; e quello di giovedì mattina, con la prof. M. Luisa De Natale, pro rettore dell’Università Cattolica di Milano; mentre questa sera, venerdì 14, mons. Edoardo Menichelli, vescovo di Ancona-Osimo, (nel salone vescovile all’interno della formazione per i fidanzati), chiude i lavori parlando di «Gesù maestro e la Chiesa discepola e madre».M.C.Caputi