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Non promette nulla di buono l’ennesimo scontro sulla giustizia
Si aggiungono ora, con effetto dirompente, le dichiarazioni spontanee del Presidente del Consiglio al processo Sme che lo vede imputato; si chiamano in causa, o per lo meno si portano alla ribalta, altre personalità pubbliche, a cominciare da Giuliano Amato e dall’allora presidente dell’Iri, Romano Prodi. Si allude a tangenti ad una corrente Dc e implicitamente si accusa la magistratura inquirente di non aver voluto seguire la pista giusta e di perseguire la persona sbagliata.
E così sale ancora di tono lo scontro, in una contrapposizione tre le forze politiche che non conosce alcun distinguo. Ognuno grida la sua «verità» che appare piuttosto una semplificazione di comodo che impedisce ogni serena e coraggiosa analisi di una stagione politico-giudiziaria complessa che ha visto la magistratura evidenziare e giustamente perseguire l’intreccio perverso tra politica e affari, ma proprio nel perseguire non sono mancate zone d’ombra mai del tutto chiarite. Per la verità nei due schieramenti emergono anche posizioni più articolate e sagge, ma il clima infuocato non consente soluzioni condivise né l’avvio di quelle riforme organiche cosa ben diversa da provvedimenti singoli che sono sempre più necessarie per risolvere o almeno avviare a soluzione questa anomalia tutta italiana.
Per ora prevalgono i «signori della clava» che sembrano non curarsi delle conseguenze e la più grave è l’affievolirsi nel comune sentire della fiducia nelle Istituzioni, coinvolte tutte a cominciare dall’amministrazione delle giustizia in un diffuso sospetto. Lo stesso semestre di presidenza italiana in Europa rischia di essere compromesso nella sua necessaria credibilità. Gli inviti del Presidente Ciampi alla moderazione e alla ricerca di un dialogo costruttivo restano inascoltati, mentre è forte la preoccupazione per uno scontro che può portare verso il baratro.