Opinioni & Commenti
Non lasciamo solo ai magistrati il peso della lotta alla corruzione
L’ondata di vicende giudiziarie che ha investito nelle stesse ore Roma e Milano, pur nell’estrema diversità delle situazioni, si è abbattuta sulle amministrazioni locali proprio mentre un rapporto della Fondazione Res di Palermo dimostrava, con dati rigorosi, che Regioni e Comuni erano gli ambiti in cui la corruzione aveva trovato più spazio negli ultimi anni. L’impatto inevitabile delle cronache forse ha portato ad archiviare troppo in fretta questa ricerca che pure metteva in luce un risultato sconfortante: dopo il periodo 1995-2004 in cui si era registrata una certa flessione, tra il 2005 e il 2015 la corruzione politica aveva ripreso a crescere in misura tale da superare i livelli pre-Tangentopoli.
I 541 casi su cui ha lavorato Rocco Sciarrone, che insegna sociologia della criminalità organizzata all’università di Torino, sono relativi a sentenze della Cassazione, quindi definitive. Del resto, bisogna pur avere il coraggio di ricordare, anche nei momenti in cui la legittima indignazione raggiunge i livelli massimi, che fino a prova a contraria l’Italia è uno Stato di diritto e tutti hanno diritto alla presunzione d’innocenza fino alla condanna definitiva. Il risultato della ricerca, dunque, essendo basato sulle sentenze della Suprema Corte, è un esito al netto della confusione mediatica e dell’uso strumentale che spesso si fa dei diversi passaggi di un procedimento giudiziario. Quindi tanto più grave.
Non è necessario cedere alle suggestioni della demagogia per affermare che la corruzione è il cancro della vita civile. Perché la svuota dal di dentro, ne mina le fondamenta, spezza quel legame di solidarietà che al di là delle specifiche forme istituzionali costituisce il nucleo generativo di uno Stato. E non esiste una quota minima di corruzione tollerabile.
Riflettere con realismo sulla situazione di fatto per cercare di individuare delle piste d’intervento, com’è doveroso fare se si vuole provare almeno ad arginare il fenomeno e a invertire la tendenza, non può implicare il riconoscimento di una sorta di modica quantità di corruzione per uso personale. Certo, mettere sullo stesso piano un piccolo favoritismo personale e una complessa struttura criminosa in grado di alterare sistematicamente l’assegnazione degli appalti pubblici, sarebbe non solo irragionevole, ma anche indirettamente connivente con chi compie gli illeciti più gravi. Tutti colpevoli, nessun colpevole, come si suol dire. Eppure c’è un filo sottile che collega in qualche modo in due estremi ed è quella mentalità corruttiva che costituisce l’humus in cui la corruzione praticata ai diversi livelli trova alimento.