Cultura & Società
Non è vero… ma ci credo
In particolare sopravvivono credenze legate a determinati luoghi. Senza distinzione di sesso o di età, quasi tutti i turisti gettano il soldino nella Fontana di Trevi a Roma o toccano il naso del Porcellino, il cinghiale bronzeo del Tacca, a Firenze, sotto le Logge del Mercato Nuovo. La categoria più sensibile alla scaramanzia sotto i cieli della Toscana è quella degli studenti e le città universitarie sono ricche di siti particolari, da frequentare o da evitare durante gli anni degli studi.
Prendiamo la più celebre e antica: Pisa. Se andate al Campo dei Miracoli, una formella attrarrà la vostra attenzione sul portale della cattedrale. Vi spicca, lucidissima, una lucertola (nella foto), il simbolo della saggezza. Ebbene, l’hanno levigata le mani di generazioni e generazioni di universitari che, prima di ogni esame, non hanno resistito alla tentazione di toccarla. È fra le prime «regole» di vita pisana che gli anziani trasmettono alle matricole; magari di nascosto; di sera, in modo furtivo, anche chi condanna pubblicamente la «medievale usanza» poi cede alla tentazione.
I Normalisti, invece, il porta-fortuna ce l’hanno sotto casa, in Piazza de’ Cavalieri, di fronte al Palazzo della Carovana. È la fontanella del «Gobbo», una povera creatura ricurva che sputa acqua, né particolarmente fresca, né particolarmente buona, ai piedi della scala di accesso al celebre Istituto. Una carezza veloce al personaggio, magari una sorsata alla fonte e seminari ed esami diventano «passeggiate». Non so se adesso la tradizione resista: io, ai miei tempi, confesso di averlo fatto, in particolare prima delle temutissime relazioni da perfezionanda con il latinista La Penna, quando ti giocavi il futuro e la reputazione.
Sempre a Pisa, era sconsigliato un tempo salire sulla Torre Pendente, per motivi di sicurezza molto particolare: era provato che lo studente sarebbe andato tanti anni fuori corso quanti erano i giri da fare per arrivare sulla cima del celebre monumento. Fra gli iscritti dell’Università di Firenze si teme la salita alla Cupola del Brunelleschi perché, «se si va lassù, un ci si laurea più». Lo stesso dicasi per la Torre del Mangia. Si ha tuttavia l’impressione che siano trasposizioni recenti dell’originale pisano.
Sempre nella città del Palio e la fonte è autorevole, perché si tratta di una docente della Facoltà di Lettere a raccontarlo, Valeria Novembri gli iscritti alle varie Facoltà stanno bene attenti a come entrano in Piazza del Campo. Devono evitare di passare in mezzo ai colonnini, per accedere allo splendido spazio teatro del Palio, altrimenti addio laurea. La stessa signora ricorda come a Montepulciano l’ex Liceo Classico nella Fortezza Medicea avesse una fontana secca, diventata luogo magico per gli alunni di quella scuola. Bisognava, per entrare nell’Istituto, costeggiarla sul lato sinistro più lungo e non su quello destro più breve perché le cose a scuola andassero bene. A giudicare dai risultati, la mia interlocutrice deve aver fatto il solco a mano manca.
Chissà quanto altri luoghi in Toscana hanno questi «poteri». Certo l’esempio più famoso è legato ad un problema che, forse, oggi, non è più tale: trovare marito. San Vivaldo è la celebre riproposta di Gerusalemme sulle colline della Valdelsa. Qui da tempo immemorabile la leggenda vuole che se una ragazza getta un sasso nella prigione di Barabba si sposa entro l’anno. Non si capisce quale sia il nesso fra il malfattore evangelico e le nozze: fatto sta che la tradizione era radicatissima, almeno finché la statua di Barabba è rimasta al suo posto nell’angusta prigione. La continua pia sassaiola ha poi imposto opportuni restauri.
Altrettanto radicata era la credenza che due fidanzati non si sarebbero mai lasciati se il lunedì di Pasqua avessero fatto il giro della Cappella di S. Michele (la «Cupola di San Donnino») sul Colle di Semifonte, come scrive nel suo «Toscana dei miracoli» Giorgio Batini. Per usanze che si perdono, altre resistono. Tantissimi sono i »pozzi dei desideri» sparsi nella campagna toscana, dal Casentino al Grossetano, ma il caso più clamoroso pare essere quello di Pienza: me lo suggerisce ancora Valeria Novembri. Nella fascinosa città voluta da Papa Piccolomini, basta percorrere le vie del centro storico con fiducia e soprattutto con l’animo aperto alla speranza. Si chiamano via dell’Amore, via della Fortuna, via del Bacio. Pare che questi tre beni non possano tardare; se è così Pio II: abbiamo un motivo in più per festeggiarti.