Lettere in redazione
Non boicottiamo le olimpiadi di Pechino
Nel sondaggio proposto sul sito www.toscanaoggi.it ho votato per un netto rifiuto al boicottaggio della Olimpiade di Pechino. Sì, bisogna partire propria da qui: queste non sono e non devono essere le olimpiadi della Cina, di una nazione, ma sono e devono essere quelle di una splendida, civile e bellissima città, Pechino. Tutto questo mi ricorda quanto propugnava Giorgio La Pira quando indiceva a Firenze la riunione mondiale dei sindaci: le città sono qualcosa di diverso dai governi degli Stati. Furono in guerra l’Italia e l’Inghilterra ma fra tanti fiorentini e tanti londinesi rimasero amicizie immutate e solidali. Sì è vero, anche La Pira fu boicottato ma chi lo fece non comprendeva il messaggio del sindaco o era in malafede
Le origini dei giochi olimpici furono religiose anche se pagane. Ma subito furono un momento di pace, di astensione da ogni guerra e da ogni lotta nella nazione greca. Ancora oggi si usa dire: «celebriamo» l’Olimpiade. Non sorprenda se in quel rito pagano si possa scoprire, come spesso accade, anche qualcosa che anticipava messaggi cristiani: mettere in risalto la potenza e la bellezza del corpo umano si opponeva a certe forme di eccessivo assoluto spiritualismo e di disprezzo per la persona umana che continuano ad avere ancora tanti perniciosi effetti. Anche San Paolo fu uno sportivo, stando alle citazioni dello sport nelle sue Lettere. Ma ricordo benissimo gli entusiastici abbracci di un grande papa, Pio XII, agli sportivi di tutto il mondo e il valore che allo sport si dava allora nella Chiesa sull’esempio di San Giovanni Bosco. Erano gli anni del dopo guerra e due eventi furono avvertiti da tutti come segni che la tragedia della guerra era finita. Uno fu il grande Giubileo del 1950 e l’altro, di poco precedente, furono le olimpiadi del 1948 a Londra. Dieci anni dopo, nel 1960, si celebrò a Roma quella che fino ad oggi è stata l’olimpiade più bella dei tempi moderni. L’etiope Bikila, scalzo, passò per primo sotto l’Arco di Costantino nella maratona. Quanta storia sotto i nostri occhi! A chiusura della festa olimpica vennero i brividi o addirittura le lacrime quando atleti di tutto il mondo, entrarono insieme nello stadio olimpico abbracciati, senza più divisioni di nazione o di maglie, di colore, di razza, senza bandiere nazionali, e in risposta la folla accese migliaia di fiaccole improvvisate, in una coreografia che nessun regista aveva previsto.
Lo so: oggi le olimpiadi subiscono gli affronti di essere sponsorizzate da aziende, hanno il veleno del doping, le frodi. Ma i giochi olimpici restano una immagine, una sorta di attesa di uguaglianza, un modello di pace che esalta quel minuscolo fiammento e specchio dell’Universo che è il corpo umano. Ecco perché il Dalai Lama raccomanda e supplica di non boicottare le olimpiadi di Pechino. L’Olimpiade è qualcosa da restaurare, non da distruggere.
Sono d’accordo con l’amico Nereo: boicottare le Olimpiadi di Pechino sarebbe un errore, così come lo fu il boicottaggio di Mosca e di Los Angeles. Si può discutere se il Cio abbia fatto bene ad assegnarle a quel paese, ma adesso non resta altro che «celebrarle». E ai tanti motivi esposti nella lettera, che trovo convincenti, ne aggiungo un altro. Sarebbe davvero ipocrita che si fermassero i giochi olimpici mentre si continua indisturbati con il commercio e le transazioni finanziarie con la Cina. È su questo fronte che la comunità internazionale può far pressioni per il rispetto dei diritti umani. Non trovo però accettabile che il Cio metta il «bavaglio» agli atleti, in ossequio ai diktat del governo cinese. Giusto non trasformare un avvenimento sportivo in una manifestazione politica. Ma gli atleti che andranno a Pechino non possono essere privati dei loro diritti inalienabili, come manifestare il proprio pensiero o la propria fede.
Claudio Turrini