Il Signore mi concede la grazia e la gioia di celebrare ancora una volta, l’ultima, questa santa Messa Crismale con voi e per voi». È la mattina del Giovedì Santo quando monsignor Alessandro Plotti si rivolge nell’omelia ai «suoi» preti. È un momento – confessa – carico di emozioni e di ricordi. A Roma, dice, «avrò molteplici occasioni di esercitare il mio episcopato, ma sarà un’altra cosa, un’altra dimensione ecclesiale». L’emozione lascia però spazio al suo «ruolo» di pastore, esercitato fino all’ultimo. Nell’omelia Plotti tocca alcuni aspetti. Il primo: la vita e il futuro del nostro presbiterio. «In questi venti anni – dice – abbiamo perso una cinquantina di preti. Ora siamo in servizio in 141 di cui 58 hanno già compiuto 70 anni. Quali prospettive a fronte di un seminario con 11 giovani?». Per Plotti «urge pensare una modalità nuova per esercitare il ministero presbiterale». Oggi – osserva – non sono più pensabili presbiteri che si preoccupano soltanto della propria porzione di popolo: tutti devono sentirsi chiamati anche a «lavorare» per i tanti bisogni «trasversali» alla diocesi: offrendo assistenza e dando un’anima agli ambienti dove sono curati gli ammalati, alla scuola, allo sport e alla ricreazione, al lavoro, alle associazioni diocesane. La questione delle vocazioni al presbiterio – osserva Plotti – interessa tutti: «ad esempio, quanti nostri catechisti, che preparano gli adolescenti alla Cresima, fanno balenare agli occhi di questi giovani, quasi tutti autoreferenziali, la meravigliosa avventura di una esistenza giocata per fare della Chiesa un lievito e una profezia per il mondo attuale?. Di più. Quanti parroci si pongono in ricerca di germi vocazionali nei giovani delle loro parrocchie, in un atteggiamento di ricettività dei doni dello Spirito che soffia certamente là dove forse noi non immaginiamo?». Annuisce monsignor Roberto Filippini, rettore del seminario diocesano.Infine, la famiglia. «Tutti siamo convinti che la famiglia va difesa, promossa ed accompagnata, come scelta primaria della nostra pastorale. Non possiamo più accontentarci di sporadici incontri per fidanzati, per i genitori che chiedono il battesimo e l’iniziazione cristiana dei figli: è troppo poco. Quante volte ci siamo detti che occorre trasformare i corsi in percorsi, affinché le famiglie sperimentino che la vita autenticamente cristiana non si improvvisa, ma ha bisogno di un lungo e faticoso apprendistato». Il finale: «Ho la netta coscienza che, nonostante i quasi 22 anni trascorsi con voi e per voi, tanti problemi sono rimasti sul tappeto, causa anche la nostra pigrizia e le nostre inadempienze, almeno certamente le mie. Ma è fisiologico nella vita della Chiesa che non si arrivi mai a soluzioni definitive, perché il regno di Dio è sempre in divenire. Ora non posso far altro che affidare il vostro ministero alla forza travolgente dello Spirito e augurarvi ogni bene nel Signore.