Toscana
Noi e l’Africa. Un destino e una missione comune
«Eurafrica». Perché avete coniato questo neologismo?
«La parola non è un’invenzione nostra. L’ha coniata un grande presidente africano, Léopold Senghor, un poeta e anche un grande visionario».
Allora perché l’avete scelta?
«L’Europa senza l’Africa perde gran parte del suo destino, della sua missione storica di grande democrazia. E l’Africa senza l’Europa sembrerebbe oggi condannata alle sue molte guerre, alle sue molte carestie, alle sue classi dirigenti spesso in crisi o deficitarie, all’assenza di società civile e alle grandi malattie, cioè sola con i suoi 24 milioni di malati di Aids, senza medicine, senza nulla. E siccome l’Asia e le Americhe non hanno l’Africa dentro il loro immaginario, questa è una missione storica che spetta solo dell’Europa. Non è una missione fondata su considerazioni meramente economiche ma poi diventa anche un grosso vantaggio per tutti. È svuotare le sacche dell’emarginazioni e andare a ragionare in modo più serio sul tema dell’immigrazione».
Gran parte del vostro libro è dedicata proprio all’immigrazione in Italia, un tema caldo nel nostro paese…
«Oggi è un problema immenso e mondiale. Ci sono 180 milioni di persone che migrano, un abitante del pianeta su 35. L’idea di affrontare il problema in termini di frontiere aperte, frontiere chiuse appare come il bambino che vuol fermare l’acqua che esce dalla diga con il ditino messo dentro la prima crepa che si apre».
Eppure la tendenza è verso frontiere più chiuse, più controllate.
«Lavorare solo sulla frontiera è una visione miope. Nel libro dimostriamo, dati alla mano, che le frontiere chiuse significano soltanto viaggi più lunghi, e quindi anche più morti dei quali siamo corresponsabili. I muri sono sempre aggirabili».
Meglio gli accordi bilaterali?
«Vanno fatti e presto. Però bisogna che ci siano incentivi veri: chi sta in Libia per venire in Italia è uno che ha già affrontato sei mesi, due anni, tre anni di rischi di vita, è partito dal Niger o da altri posti, ha già superato prove terribili. Non sarà l’indurimento di una legge a fermare queste persone. Quindi accordi bilaterali ma non solo con l’ultimo segmento, la Libia o la Tunisia, ma con tutta la catena».
Ma voi sostenete che l’immigrazione è addirittura una chance per l’Italia.
«Certo, senza farci illusioni, perché si creano anche problemi sociali. Ma tutte le economie che camminano, sono economie dove gli immigrati hanno un ruolo fondamentale. E chi per primo riesce a favorire una rapida integrazione, trarrà il massimo dei vantaggi per la nostra società e al tempo stesso ridurrà il tasso di sfruttamento, di economia in nero, di evasione fiscale, di scontro sociale, perché si lasciano ai margini migliaia e migliaia di persone, facile preda o della delinquenza o comunque del rancore».
Perché l’Italia ha bisogno di questi immigrati?
«I dati dimostrano che l’Italia, a causa dell’invecchiamento della popolazione, non ha futuro economico senza una consistente immigrazione che vada sulle 150-250 mila unità all’anno, semplicemente per tenere lo stesso ritmo di capacità produttiva di paesi simili come la Francia e la Gran Bretagna. L’alternativa è che l’Italia si avvii nei prossimi 25 anni a diventare un paese più piccolo, e con un ruolo ridotto nell’economia e nella storia mondiale».
Per fermare le migrazioni quanto può essere utile la cooperazione allo sviluppo?
«Qualunque intervento nei paesi d’origine non dà risultati immediati, ma a medio e lungo termine. Però è augurabile che riprenda la cooperazione allo sviluppo che è sparita, in Italia e a livello mondiale. Questo consentirà a quei paesi di non impoverirsi ulteriormente, perché i migranti sono la classe più intelligente e dinamica di quei paesi, persone con disponibilità economica (costa almeno 5 mila dollari), capacità di iniziativa, famiglie alle spalle…. Una cooperazione allo sviluppo vera, che permetta alla parte più vivace di quelle società di non fuggire, alla fine diventa un investimento e permette che quelle società rifioriscano».
Però la cooperazione è in crisi.
«I paesi sviluppati si erano impegnati ad arrivare prima o poi allo 0,7 del pil. Poi si è parlato dello 0,35 come obiettivo nei prossimi anni. L’Italia in quel momento era allo 0,24 ma negli ultimi tempi siamo scesi allo 0,20. E in realtà se si va a togliere da queste cifre la cooperazione multilaterale (es. per l’Onu) scendiamo allo 0,17. Cifre irrisorie nonostante impegni pubblici presi. E l’Italia non sta pagando neanche i 100 milioni del multilaterale a cui si è impegnata per il fondo anti-Aids. E questo avrà conseguenze terribili se l’Italia entro il 30 settembre non paga questa somma, dopo essere stata uno dei paesi che più ha insistito al G8 di Genova».
Quali sono i mali dell’Africa
«Il più grande è l’afropessimismo. Quello dei giovani che non vedono speranze e scappano e quello dei paesi occidentali che pensano ormai all’Africa come a un vuoto a perdere. E poi ci sono i mali di tutti i giorni: l’essere lasciati soli insieme all’Aids e alla malaria (4 milioni di morti in Africa); più di metà della popolazione che non ha l’acqua pulita; classi dirigenti spesso corrotte; società civile che non esiste…».
Ma qualche segnale di speranza c’è. Per esempio la diffusione di internet in diversi paesi africani…
«Il male dell’Africa è l’assenza di istruzione che è alla base dello sviluppo. Oggi, paradossalmente, il digital divide potrebbe trasformarsi anche nel contrario. È inimmaginabile pensare di creare decine di migliaia di biblioteche, eppure con un investimento contro il digital divide all’improvviso gran parte dell’Africa potrebbe anche avere accesso all’istruzione».
L’Africa è il continente verso cui si rivolge la maggior parte degli operatori. Dall’analisi dei risultati emersi in sette province (mancano ancora i dati relativi a Lucca, Grosseto, Firenze, Siena) l’Africa risulta beneficiaria degli interventi maggiori con una percentuale del 38% (che sale al 45% se si considera anche i paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo). Circa 200 degli 800 enti toscani, censiti fino ad oggi, cooperano prevalentemente con l’Africa; inoltre ci sono i 136 soggetti aderenti al Tavolo regionale Africa.
Gli interventi destinati al continente africano si concentrano prevalentemente in tre settori: sociale (30%), educazione (22%), salute e alimentazione (21%). I paesi coinvolti nei progetti di cooperazione sono: Mozambico, Repubblica del Congo, Burkina Faso, Senegal, Tunisia, Ciad, Marocco, Tanzania, Somalia, Zambia, Etiopia, Eritrea, Benin, Sierra Leone, Algeria, Malawi, Repubblica Centroafricana. Il maggior numero di progetti si concentra in tre aree specifiche: Senegal (17%), Sahara Occidentale ( 15%), Burkina Faso (12%). Pisa, Livorno e Prato sono le province con più forti legami con l’Africa, mentre le province di Arezzo e Pistoia hanno come interlocutori privilegiati i paesi della America Latina.
Firenze, Galleria di Via Larga, via Cavour, 7R, fino al 30 settembre (ore 11-13 e 14-18.30), mostre «I Tuareg del Mali», «Immagini dall’Africa», «Madagascar… al di à dell’Africa».
Firenze, Sala degli Specchi, via Ghibellina, venerdì 17 settembre, ore 18, «Repubblica Democratica del Congo: la guerra dimenticata», a cura dei Beati Costruttori di Pace, con Lisa Clark, Abbé Apollinaire Muholongu, Sylvestre Somo Mwaka.
Firenze, Palazzo Panciatichi, fino al 30 settembre, «L’Africa in Toscana». Il mondo della solidarietà toscana in Africa si presenta.
Firenze, Area Pettini-Burresi, via Faentina 145, sabato 18 settembre, ore 17,30, «Fiabe e musica dell’Africa» (Nigeria e Costa d’Avorio), racconti e suoni tipici della cultura africana, rivolto ai ragazzi.
Firenze, Cinema Alfieri Atelier, via dell’Ulivo, 6, lunedì 20, martedì 21 e mercoledì 22 settembre, ore 21,30, «Immaginando parole: cinema e letteratura d’Africa», festival di cinema africano.
Firenze, Palazzo Panciatichi, Sala degli Affreschi, mercoledì 22 settembre, ore 17,30, «L’Africa a scuola», progetto Cesvot-Cnv, con Paolo Benesperi, Lucia Franchini, Maria Eletta Martini, Luca Menesini, Antonio Nanni e insegnanti e studenti coinvolti nel progetto.
Firenze, Sala del Quartiere 3, via del Paradiso, 5, venerdì 24 settembre, ore 21, «Dateci credito!», a cura di Ricorboli Solidale onlus, con Irene Gatti.
Firenze, Palazzo Panciatichi, Auditorium, sabato 25 settembre, incontro con i poeti dello Yemen e voci della poesia toscana e africana.
Firenze, Spazio multiculturale, Giardini del Lungarno Pecori Girali, sabato 25 settembre, ore 17,30, «Dj Karima», selezione di musica araba.
Fiesole, Biblioteca comunale, sabato 18 settembre, ore 10,30, proiezione del film d’animazione «Kiriku e la strega Karabà».
Sesto Fiorentino, Istituto d’arte, via Giusti, 21, mostra fotografica «Il popolo Saharawi», di Enrico Gallina.
Livorno, Teatro dei Quattro Mori, via Tacca, giovedì 30 settembre, ore 21, incontro con padre Alex Zanotelli: «Dai popoli poveri una speranza per il mondo occidentale».
Capannori, Circolo «Il Mattaccio», Tassignano, venerdì 24 settembre, ore 18, «Donne di pace» con Lucia Baroni, Lisa Clark, Irene Gatti. Ore 21, cena e musica africana.
Pontedera, Centro Shalom, via Montanara, 52, martedì 21 settembre, ore 21, presentazione del libro «Grazie Burkina» di Silvano Granchi (Emi 2004), con l’autore e don Andrea Cristiani, fondatore di Shalom.
«Il Sud Africa, nazione leader nella campagna per ottenere la concessione della produzione dei farmaci a basso costo per combattere l’Aids ci racconta Paola non è ancora riuscito ad ottenere quei risultati che attendeva; i farmaci di cui può disporre sono talmente insufficienti (e costosi) che a stento si riesce a garantire le terapie per i bambini prima della nascita. Così l’Aids non risparmia nessuno: dai neonati agli anziani, il contagio si estende per il degrado dei valori e la perdita delle antiche tradizioni, per l’ignoranza dei pericoli e anche per la mancanza di semplici norme igieniche. Il fratello di V., la figlia di E., il fratello di S. …Una madre ha già perso due figlie giovani e il nipotino di pochi mesi. Ogni famiglia, si potrebbe azzardare a dire, ha almeno due decessi e qualcuno è già malato».