Toscana

Noi e l’Africa. Un destino e una missione comune

di Claudio TurriniL’Europa ha bisogno dell’Africa. E viceversa. Parola di Mario Marazziti e di Andrea Riccardi, rispettivamente portavoce e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, autori di un libro fresco di stampa, dal titolo suggestivo di «Eurafrica». Abbiamo incontrato Marazziti a Firenze, qualche minuto prima della presentazione del suo libro alla Libreria «Martelli».

«Eurafrica». Perché avete coniato questo neologismo?

«La parola non è un’invenzione nostra. L’ha coniata un grande presidente africano, Léopold Senghor, un poeta e anche un grande visionario».

Allora perché l’avete scelta?

«L’Europa senza l’Africa perde gran parte del suo destino, della sua missione storica di grande democrazia. E l’Africa senza l’Europa sembrerebbe oggi condannata alle sue molte guerre, alle sue molte carestie, alle sue classi dirigenti spesso in crisi o deficitarie, all’assenza di società civile e alle grandi malattie, cioè sola con i suoi 24 milioni di malati di Aids, senza medicine, senza nulla. E siccome l’Asia e le Americhe non hanno l’Africa dentro il loro immaginario, questa è una missione storica che spetta solo dell’Europa. Non è una missione fondata su considerazioni meramente economiche ma poi diventa anche un grosso vantaggio per tutti. È svuotare le sacche dell’emarginazioni e andare a ragionare in modo più serio sul tema dell’immigrazione».

Gran parte del vostro libro è dedicata proprio all’immigrazione in Italia, un tema caldo nel nostro paese…

«Oggi è un problema immenso e mondiale. Ci sono 180 milioni di persone che migrano, un abitante del pianeta su 35. L’idea di affrontare il problema in termini di “frontiere aperte, frontiere chiuse” appare come il bambino che vuol fermare l’acqua che esce dalla diga con il ditino messo dentro la prima crepa che si apre».

Eppure la tendenza è verso frontiere più chiuse, più controllate.

«Lavorare solo sulla frontiera è una visione miope. Nel libro dimostriamo, dati alla mano, che le frontiere chiuse significano soltanto viaggi più lunghi, e quindi anche più morti dei quali siamo corresponsabili. I muri sono sempre aggirabili».

Meglio gli accordi bilaterali?

«Vanno fatti e presto. Però bisogna che ci siano incentivi veri: chi sta in Libia per venire in Italia è uno che ha già affrontato sei mesi, due anni, tre anni di rischi di vita, è partito dal Niger o da altri posti, ha già superato prove terribili. Non sarà l’indurimento di una legge a fermare queste persone. Quindi accordi bilaterali ma non solo con l’ultimo segmento, la Libia o la Tunisia, ma con tutta la “catena”».

Ma voi sostenete che l’immigrazione è addirittura una chance per l’Italia.

«Certo, senza farci illusioni, perché si creano anche problemi sociali. Ma tutte le economie che camminano, sono economie dove gli immigrati hanno un ruolo fondamentale. E chi per primo riesce a favorire una rapida integrazione, trarrà il massimo dei vantaggi per la nostra società e al tempo stesso ridurrà il tasso di sfruttamento, di economia in nero, di evasione fiscale, di scontro sociale, perché si lasciano ai margini migliaia e migliaia di persone, facile preda o della delinquenza o comunque del rancore».

Perché l’Italia ha bisogno di questi immigrati?

«I dati dimostrano che l’Italia, a causa dell’invecchiamento della popolazione, non ha futuro economico senza una consistente immigrazione che vada sulle 150-250 mila unità all’anno, semplicemente per tenere lo stesso ritmo di capacità produttiva di paesi simili come la Francia e la Gran Bretagna. L’alternativa è che l’Italia si avvii nei prossimi 25 anni a diventare un paese più piccolo, e con un ruolo ridotto nell’economia e nella storia mondiale».

Per fermare le migrazioni quanto può essere utile la cooperazione allo sviluppo?

«Qualunque intervento nei paesi d’origine non dà risultati immediati, ma a medio e lungo termine. Però è augurabile che riprenda la cooperazione allo sviluppo che è sparita, in Italia e a livello mondiale. Questo consentirà a quei paesi di non impoverirsi ulteriormente, perché i migranti sono la classe più intelligente e dinamica di quei paesi, persone con disponibilità economica (costa almeno 5 mila dollari), capacità di iniziativa, famiglie alle spalle…. Una cooperazione allo sviluppo vera, che permetta alla parte più vivace di quelle società di non fuggire, alla fine diventa un investimento e permette che quelle società rifioriscano».

Però la cooperazione è in crisi.

«I paesi sviluppati si erano impegnati ad arrivare prima o poi allo 0,7 del pil. Poi si è parlato dello 0,35 come obiettivo nei prossimi anni. L’Italia in quel momento era allo 0,24 ma negli ultimi tempi siamo scesi allo 0,20. E in realtà se si va a togliere da queste cifre la cooperazione multilaterale (es. per l’Onu) scendiamo allo 0,17. Cifre irrisorie nonostante impegni pubblici presi. E l’Italia non sta pagando neanche i 100 milioni del multilaterale a cui si è impegnata per il fondo anti-Aids. E questo avrà conseguenze terribili se l’Italia entro il 30 settembre non paga questa somma, dopo essere stata uno dei paesi che più ha insistito al G8 di Genova».

Quali sono i mali dell’Africa

«Il più grande è l’afropessimismo. Quello dei giovani che non vedono speranze e scappano e quello dei paesi occidentali che pensano ormai all’Africa come a un vuoto a perdere. E poi ci sono i mali di tutti i giorni: l’essere lasciati soli insieme all’Aids e alla malaria (4 milioni di morti in Africa); più di metà della popolazione che non ha l’acqua pulita; classi dirigenti spesso corrotte; società civile che non esiste…».

Ma qualche segnale di speranza c’è. Per esempio la diffusione di internet in diversi paesi africani…

«Il male dell’Africa è l’assenza di istruzione che è alla base dello sviluppo. Oggi, paradossalmente, il digital divide potrebbe trasformarsi anche nel contrario. È inimmaginabile pensare di creare decine di migliaia di biblioteche, eppure con un investimento contro il digital divide all’improvviso gran parte dell’Africa potrebbe anche avere accesso all’istruzione».

Il libroSi intitola «Eurafrica. Quello che non si dice sull’immigrazione. Quello che si potrebbe dire sull’Europa» il volume di Mario Marazziti e Andrea Riccardi, edito da Leonardo International (128 pp., 13 euro). Il volume parte dalla storia di due ragazzi della Guinea, morti assiderati nel vano carrello di un aereo che li portava verso il Belgio. In tasca avevano una lettera alle «Loro Eccellenze i signori membri e responsabili dell’Europa»… Il summit di FirenzeCirca 150 rappresentanti delle Regioni dell’Unione Europea e delle Autorità sub-statali di 33 paesi dell’Africa (con la presenza di ben 4 ministri da Ciad, Rwanda, Sudan e Uganda) si incontrano a Firenze, venerdì e sabato 17 e 18 settembre 2004, per gettare le basi di un modello di decentramento politico, amministrativo e fiscale, che permetta ai diversi enti territoriali di collaborare per la creazione di una cooperazione «dal basso». Per la prima volta, assieme ai responsabili delle diverse Agenzie delle Nazioni Unite, si riuniranno (nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio) sia i vertici delle Regioni dei 25 paesi dell’Unione Europea con quelli di circa 60 realtà amministrative sub-statali di una trentina di paesi africani, sia esponenti governativi, intellettuali, studiosi e rappresentanti della società civile africana impegnati nei progetti concreti di cooperazione legata al decentramento politico-amministrativo. All’incontro, promosso da Calre (Conferenza delle Assemblee legislative delle regioni europee), Agenzia Desa (responsabile del settore per le Nazioni Unite) e Consiglio regionale della Toscana, partecipano anche Guido Bertucci (direttore della Divisione di pubblica amministrazione e gestione dello sviluppo locale dell’Onu), Paul Smoke e Kadmiel Wekwete. Palazzo apertoSabato 18 e domenica 19 settembre (ore 10-20) le sedi del Consiglio regionale (Palazzo Panciatichi e Palazzo Covoni, via Cavour 2 e 3, a Firenze) si aprono ai cittadini per incontri, mostre (ben cinque), musica e gastronomia sul tema dell’Africa. Nella Sala Affreschi, dalle 10,30, sarà possibile degustare prodotti tipici toscani e del commercio equo e solidale. Sabato 18, alle 10,30 e alle 17 (sala Gigli), laboratorio di costruzione giocattoli con materiale riciclato; alle 16 (Sala Gonfalone), spettacolo teatrale; alle 18 (cortile, via Cavour 4) «Poesia e musica»; alle 18,30, buffet di piatti tipici africani. Domenica 19, alle 17 (Sala Gonfalone), presentazione-spettacolo del libro «Imbarazzismi» e alle 18,30 (Cortile via Cavour 4), concerto di «Musica dal mondo». Per informazioni numero verde 800401298.La ricercaVerso il continente nero quasi la metà dei progetti toscani di cooperazioneLa Toscana coopera ad oggi con 68 nazioni in via di sviluppo. Tra questi 21 paesi si trovano in Africa, 16 in America Latina, 11 nell’Europa centro-orientale, 9 in Asia, 6 nell’Europa sud-orientale e 5 tra il Mediterraneo e il Medio-Oriente. Nel 2003 sono stati investiti circa 5 milioni di euro finalizzati al completamento di interventi già avviati nel 2002 e al finanziamento di circa 60 nuovi progetti. È quanto emerge da una ricerca condotta dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

L’Africa è il continente verso cui si rivolge la maggior parte degli operatori. Dall’analisi dei risultati emersi in sette province (mancano ancora i dati relativi a Lucca, Grosseto, Firenze, Siena) l’Africa risulta beneficiaria degli interventi maggiori con una percentuale del 38% (che sale al 45% se si considera anche i paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo). Circa 200 degli 800 enti toscani, censiti fino ad oggi, cooperano prevalentemente con l’Africa; inoltre ci sono i 136 soggetti aderenti al Tavolo regionale Africa.

Gli interventi destinati al continente africano si concentrano prevalentemente in tre settori: sociale (30%), educazione (22%), salute e alimentazione (21%). I paesi coinvolti nei progetti di cooperazione sono: Mozambico, Repubblica del Congo, Burkina Faso, Senegal, Tunisia, Ciad, Marocco, Tanzania, Somalia, Zambia, Etiopia, Eritrea, Benin, Sierra Leone, Algeria, Malawi, Repubblica Centroafricana. Il maggior numero di progetti si concentra in tre aree specifiche: Senegal (17%), Sahara Occidentale ( 15%), Burkina Faso (12%). Pisa, Livorno e Prato sono le province con più forti legami con l’Africa, mentre le province di Arezzo e Pistoia hanno come interlocutori privilegiati i paesi della America Latina.

Sentieri di PaceSono oltre cinquanta le iniziative sull’Africa promosse nel mese di settembre in tutta la Toscana, sotto il titolo «Percorsi di pace», in collaborazione con il Cesvot. Eccone alcune in programma a partire dal 17 settembre. Per l’elenco completo consultate il sito del Consiglio regionale della Toscana www.consiglio.regione.toscana.it Provincia di Arezzo• Bucine, Palazzo municipale, via Vitelli, 2, fino al 23 settembre, mostra «I volti e il deserto», mostra fotografica sul Saharawi, organizzata dalla Caritas diocesana e dal Comune di Bucine (tel. 0575-22932). Provincia di Firenze• Firenze, Parterre, piazza della Libertà, fino al 22 settembre (ore 17-22), «Reportage dall’Eritrea: click d’autore. Quattro stagioni in due ore», mostra fotografica.

• Firenze, Galleria di Via Larga, via Cavour, 7R, fino al 30 settembre (ore 11-13 e 14-18.30), mostre «I Tuareg del Mali», «Immagini dall’Africa», «Madagascar… al di à dell’Africa».

• Firenze, Sala degli Specchi, via Ghibellina, venerdì 17 settembre, ore 18, «Repubblica Democratica del Congo: la guerra dimenticata», a cura dei Beati Costruttori di Pace, con Lisa Clark, Abbé Apollinaire Muholongu, Sylvestre Somo Mwaka.

• Firenze, Palazzo Panciatichi, fino al 30 settembre, «L’Africa in Toscana». Il mondo della solidarietà toscana in Africa si presenta.

• Firenze, Area Pettini-Burresi, via Faentina 145, sabato 18 settembre, ore 17,30, «Fiabe e musica dell’Africa» (Nigeria e Costa d’Avorio), racconti e suoni tipici della cultura africana, rivolto ai ragazzi.

• Firenze, Cinema Alfieri Atelier, via dell’Ulivo, 6, lunedì 20, martedì 21 e mercoledì 22 settembre, ore 21,30, «Immaginando parole: cinema e letteratura d’Africa», festival di cinema africano.

• Firenze, Palazzo Panciatichi, Sala degli Affreschi, mercoledì 22 settembre, ore 17,30, «L’Africa a scuola», progetto Cesvot-Cnv, con Paolo Benesperi, Lucia Franchini, Maria Eletta Martini, Luca Menesini, Antonio Nanni e insegnanti e studenti coinvolti nel progetto.

• Firenze, Sala del Quartiere 3, via del Paradiso, 5, venerdì 24 settembre, ore 21, «Dateci credito!», a cura di Ricorboli Solidale onlus, con Irene Gatti.

• Firenze, Palazzo Panciatichi, Auditorium, sabato 25 settembre, incontro con i poeti dello Yemen e voci della poesia toscana e africana.

• Firenze, Spazio multiculturale, Giardini del Lungarno Pecori Girali, sabato 25 settembre, ore 17,30, «Dj Karima», selezione di musica araba.

• Fiesole, Biblioteca comunale, sabato 18 settembre, ore 10,30, proiezione del film d’animazione «Kiriku e la strega Karabà».

• Sesto Fiorentino, Istituto d’arte, via Giusti, 21, mostra fotografica «Il popolo Saharawi», di Enrico Gallina.

Provincia di Livorno• Livorno, chiostro della Madonna, via della Madonna, 24, lunedì 20 settembre, ore 21,15, incontro con due rappresentanti della regione di Dodoma (Tanzania), a cura del Centro Mondialità e Sviluppo reciproco.

• Livorno, Teatro dei Quattro Mori, via Tacca, giovedì 30 settembre, ore 21, incontro con padre Alex Zanotelli: «Dai popoli poveri una speranza per il mondo occidentale».

Provincia di Lucca• Lucca, piazza San Francesco, sabato 18 settembre, dalle 18, Festa di Equinozio, la bottega del commercio equo e solidale di Lucca.

• Capannori, Circolo «Il Mattaccio», Tassignano, venerdì 24 settembre, ore 18, «Donne di pace» con Lucia Baroni, Lisa Clark, Irene Gatti. Ore 21, cena e musica africana.

Provincia di Pisa• Pisa, Circolo Agorà, via Bovio, 48, mostra «L’Africa, il continente di troppo». Mercoledì 22 settembre, ore 17,30, conferenza di manlio Dinucci «Africa – L’attualità di un continente abbandonato»; ore 21,15, proiezione del documentario «Il vertice di Johannesburg». Domenica 25 settembre, dalle 20, serata di musica e cultura africana con cena.

• Pontedera, Centro Shalom, via Montanara, 52, martedì 21 settembre, ore 21, presentazione del libro «Grazie Burkina» di Silvano Granchi (Emi 2004), con l’autore e don Andrea Cristiani, fondatore di Shalom.

Provincia di Prato• Prato, Palazzo Novellucci, via Cairoli, venerdì 17 settembre, ore 10, la Provincia di Prato e il Centro di solidarietà di Prato presentano il progetto «Tavolo provinciale Africa». Giornata di studio: Provinciae Comuni protagonisti di sviluppoAvere uno sguardo a 360° su quello che succede in tutto il mondo è fondamentale, come basilare è porre in primo piano i temi della giustizia e dello sviluppo, soprattutto in un momento come quello che stiamo attraversando. Questo è uno dei motivi per cui mercoledì 15 settembre 2004 presso la sala Luca Giordano in Palazzo Medici Riccardi si è tenuto il meeting «Africa terra degli uomini». Simbolo di questa importante manifestazione il giglio di Firenze unito con la sagoma del continente africano. Un confronto a tutto campo, per rilanciare la cooperazione internazionale e per fare il punto della situazione sui temi delle disuguaglianze tra Nord e Sud del Mondo. Una tavola rotonda a cui hanno partecipato Savino Pezzotta, segretario generale della Cisl, Aureliano Benedetti, Presidente di Carifirenze, Alessandro Azzi, Presidente di Federcasse, Marco Bertolotto, Presidente della Provincia di Savona; Riccardo Bonacina, direttore del Settimanale «Vita»; Leonardo Becchetti, economista, professore presso l’Università di Tor Vergata. Una giornata divisa in due momenti. La prima parte del pomeriggio è stata dedicata al tema «Africa terra degli uomini. Quale responsabilità per l’Europa e l’Occidente di fronte al dolore ed al silenzio?». Invece, dopo un breve intervallo il secondo momento è stato rappresentato dai «Progetti di cooperazione internazionale nella provincia di Firenze. Il ruolo degli enti locali», tema introdotto dal vice presidente del Consiglio provinciale Pietro Rosselli, il quale ha sottolineato come ormai non è più possibile chiudere gli occhi di fronte al dramma umano che si consuma nel continente africano ed è l’ora di coinvolgere tutti gli enti locali nei progetti di cooperazione. Per questo motivo durante il meeting è stato assegnato un premio al miglior progetto di cooperazione e di aiuto in Africa. «Un modo per rilanciare il ruolo della provincia nella cooperazione internazionale – spiega il neo presidente della provincia Matteo Renzi – ma anche quello di tutti quegli enti locali che da molti anni progettano e realizzano interventi di aiuto in Africa».Rebecca Romoli Primo meeting delle comunità africanePer la prima volta, le comunità africane presenti in Toscana si sono messe intorno a un tavolo per conoscersi, confrontarsi e presentarsi alle istituzioni e ai cittadini. L’incontro, organizzato dalla Federazione africana Toscana (Fat), che riunisce una trentina fra rappresentanti e associazioni di cittadini africani che vivono in Toscana, e dal consiglio regionale toscano, si è tenuto il 15 settembre scorso a Palazzo Panciatichi, sede del Consiglio regionale. «Le stime dicono che in Toscana vivono circa 22 mila africani regolari – ha spiegato Derres Araia, responsabile politico della Fat – e questo appuntamento è un’occasione per confrontarci e per avvicinare il popolo toscano a quello africano». «L’Africa – ha proseguito Araia – non chiede tanto aiuti umanitari quanto un impegno a far rispettare dai nostri governi la legalità internazionale e i diritti umani, presupposti indispensabili per il nostro sviluppo». L’Africa e i media, nasce un osservatorioQuanto è presente l’Africa sui nostri organi di informazione? Quanto influisce la comunicazione delle organizzazioni non governative nell’attività di informazione sull’Africa promossa dai media? Quale immagine dell’Africa restituiscono i media e le organizzazioni umanitarie? Per rispondere a queste domande nasce un progetto a cura di Amref, la Fondazione africana per la medicina e la ricerca, con un obiettivo ambizioso: creare in collaborazione con l’Università di Siena un osservatorio che fornisca un quadro attendibile della presenza dell’Africa sui principali media italiani. Il flagello dell’Aids: «Quei bambini senza futuro che non riesco a salutare»Mentre l’aereo decolla, mi tornano alla mente i volti di quei bambini che non ho potuto salutare per la morsa che mi stringeva la gola. Occhi ridenti e pensosi. Avrei voluto dire loro bana, re tla banana! (arrivederci, bambini), ma molti di loro non ci saranno più la prossima volta». Paola Calcina (nella foto), della Comunità di Gesù, non nasconde la profonda impressione che le hanno fatto quei bambini senza futuro incontrati in Sudafrica dove nel mese di agosto ha fatto visita a Giuliana e Maetsane, le due missionarie, come lei, della Comunità di Gesù, che lavorano a Brits.

«Il Sud Africa, nazione leader nella campagna per ottenere la concessione della produzione dei farmaci a basso costo per combattere l’Aids – ci racconta Paola – non è ancora riuscito ad ottenere quei risultati che attendeva; i farmaci di cui può disporre sono talmente insufficienti (e costosi) che a stento si riesce a garantire le terapie per i bambini prima della nascita. Così l’Aids non risparmia nessuno: dai neonati agli anziani, il contagio si estende per il degrado dei valori e la perdita delle antiche tradizioni, per l’ignoranza dei pericoli e anche per la mancanza di semplici norme igieniche. Il fratello di V., la figlia di E., il fratello di S. …Una madre ha già perso due figlie giovani e il nipotino di pochi mesi. Ogni famiglia, si potrebbe azzardare a dire, ha almeno due decessi e qualcuno è già malato».

Quei bambini, che Paola non riesce neanche a salutare, stanno morendo perché non sono disponibili le medicine, che pure l’Occidente aveva promesso.In questo paese, come in quasi tutta l’Africa, la famiglia era una delle istituzioni più solide. Oggi, grazie al flagello dell’Aids, emerge «un fenomeno che era stato completamente estraneo alla cultura nera e che sta dilagando in misura che si propaga la malattia: gli orfani. Tanti, tanti bambini senza genitori, o con un genitore malato, nell’impossibilità di essere integrati in altre situazioni familiari perché, a loro volta, già compromesse».«Nel raggio di circa cento chilometri da Brits sono sorti tre centri di accoglienza: Khabalatsane, Madidi, Hebron – racconta ancora Paola –. La nostra comunità è presente in questo progetto fornendo un sostegno economico. Khabalatsane sorge su un piccolo pezzo di savana arida, arrivarci non è facile, la strada è tutta buche e grosse spine di acacia insidiano i copertoni, di lontano si scorge la città nera di Ga Rankwa. Una rete circonda il terreno. Ad un fil di ferro sono appesi pochi panni ad asciugare, taglia 2/4 anni. Qualche grosso tubo colorato per entrarci dentro, uno scivolo di plastica ormai da buttare, un vecchio copertone che funge da altalena sono i giochi dei dieci bambini ospitati. Ci accoglie una suora del Buon Pastore che vive con loro, è festosa e grata per la nostra visita. Ci mostra con orgoglio i modesti ambienti dove si svolge il quotidiano: una stanza con i letti, un bagno, un ingresso-soggiorno, da una parte sono ancora imballati un frigorifero, una lavatrice, altri piccoli elettrodomestici che sono stati donati; ma non c’è corrente e i servizi non efficienti. “Questa dovrà diventare presto l’infermeria”, dice la suora. Accanto sorge un’altra costruzione da ultimare – somiglia ad una baita alpina – dove verranno alloggiati i bambini possibilmente con il genitore rimasto, perché possano avere l’effetto e l’assistenza dei loro cari finché sarà loro possibile. Peter, quasi cinque anni, perde già i capelli ancora morbidi. Vivrà forse altri due anni. Al centro non ci sono attività di tipo scolastico, occorrerebbero insegnanti specializzati, mancano persone per l’assistenza sanitaria, mancano le strutture; per qualcuno di questi bambini cominciano già a manifestarsi le prime difficoltà di apprendimento e forse con interventi specifici… E da un villaggio vicino ci sono altri quarantatré bambini in attesa».

E la società civile prese il posto degli Stati

Uganda, un popolo diviso da tribalismo e fedi religiose