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«Noi, dalla Valtiberina in Cina come apostoli di pace al volante di un’auto a metano».

Dalla Valtiberina a Pechino e ritorno con una Fiat Marea a metano. Questa la missione portata a termine nei giorni scorsi da tre amici tiberini. Un’avventura davvero da raccontare che è stata quasi un’impresa da primato destinata ad entrare negli annali della vallata. «È difficile – spiega Guido Guerrini, uno degli ideatori della traversata transcontinentale – descrivere quello che sia io sia Andrea Gnaldi Coleschi sia Nicola Dini abbiamo provato in questo viaggio. Abbiamo attraversato paesi che non sono usuali mete turistiche, tranne qualche rara città, e li abbiamo raggiunti in macchina chilometro dopo chilometro, paesino dopo paesino. Questo ci ha permesso di avere una visuale differente, più capillare della società locale, rispetto a quella che si presenta ad un normale turista che viaggia in aereo».Durante il vostro itinerario avete incontrato anche tante persone impegnate in servizi di aiuti umanitari. Come operano?«Ci siamo imbattuti in tre realtà di volontariato e aiuto cattolico: una in Russia, una in Mongolia e una in Kazakistan. Sono state tre esperienze completamente diverse ma tutte e tre fortissime e intense. Le persone che ne fanno parte sono in buoni rapporti con le autorità locali e con le comunità presenti sia cattoliche che non. Devo ammettere che mi ha particolarmente colpito quella che ho saggiato in Mongolia, dove sono registrati circa cinquecento battesimi. La comunità in cui ci siamo imbattuti raccoglieva tre suore e tre preti che vi lavorano. Quella è una terra dove si è deciso di concentrarsi sulla costruzione di centri di formazione per il lavoro, di orientamento e di prestito che possano permettere all’economia locale di risollevarsi. La Messa domenicale si tiene all’interno di una tenda che la gente del luogo ha particolarmente apprezzato in quanto non si tratta di una struttura che manifesta un forte impatto a livello ambientale, al contrario di quanto avviene con le moschee erette dagli islamici nelle zone limitrofe con i minareti che raggiungono i cinquanta metri di altezza».Qual è stato il momento più difficile che avete dovuto affrontare nel viaggio?«Si può dire che in realtà abbiamo dovuto affrontare all’incirca tre momenti difficili. In particolare, è stato complicato il passaggio dell’Iran dal punto di vista burocratico dove abbiamo incontrato problemi per munirci dei visti e degli altri permessi. Poi, in Uzbekistan, abbiamo avuto diversi problemi di salute: uno di noi ha addirittura dovuto sopportare la febbre che gli è salita ad oltre i quaranta gradi. Infine abbiamo incontrato diversi ostacoli in Mongolia dove non ci sono strade asfaltate e attraversarla in auto è un’impresa quasi improponibile; non a caso insabbiamenti e cose di questo genere si sono ripetute spesso».Quali erano i messaggi che intendevate lanciare con questa iniziativa?«Il messaggio ecologico era uno dei tre obiettivi che ci eravamo prefissati di lanciare in Paesi dove c’è una viabilità pessima per via dello smog, come in Cina. Per questo motivo abbiamo deciso di affrontare l’intero viaggio con l’impiego del solo Gpl, a dimostrazione del fatto che le strutture ci sono e che è possibile fare rifornimento anche in Paesi come questi. C’è necessità di creare una coscienza collettiva che porti a favorire l’uso di questo e di altri combustibili alternativi nel rispetto e nella salvaguardia dell’ambiente. C’è poi anche il messaggio sportivo: la nostra è stata la prima macchina “normale” ad avere affrontato questo viaggio dall’Italia a Pechino e ritorno, perché altri lo avevano fatto dall’Europa alla Cina o viceversa, ma senza ritorno. Il terzo, infine, è quello più importante: cercare di trasmettere un messaggio di pace unendo due nazioni che hanno ospitato le olimpiadi: l’Italia con l’evento di Torino del 2006 e la Cina, dove la bandiera con i cinque cerchi è stata appena ammainata».Samuele Foni