Prato

Nigeria e Pakistan, cristiani senza pace

Nel giorno del suo saluto alla diocesi, domenica 11 novembre, quando il vescovo Simoni ha chiamato la «preghiera dei fedeli», una donna si è alzata dall’assemblea ed è quasi corsa all’ambone. Era nigeriana e in italiano, con la voce rotta dall’emozione, ha chiesto di pregare per il suo Paese e per i troppi cristiani uccisi a causa della loro fede. In tre anni, da quando il gruppo di fondamentalisti islamici Boko Haram ha iniziato a perseguitare i cristiani della Nigeria, sono morte oltre 3 mila persone. Autobombe, raffiche di mitra, incendi e violenze di ogni sorta stanno rendendo un inferno la zona nord del Paese africano. Per quelle vittime cristiane possiamo parlare di martirio. «C’è tanta preoccupazione anche qui a Prato per la sorte dei nostri fratelli» dice <+nerob>padre Damian Nwankwo<+tondob>, nigeriano parroco di Galcetello appartenente alla Comunità Vincenziana. Con lui ci sono altri due confratelli, anch’essi della Nigeria, padre Emanuele e padre Longenus. Il religioso è in diocesi dal 2007 e segue anche la comunità cattolica nigeriana presente a Prato. Ogni domenica mattina sono quasi trecento gli africani che si ritrovano nell’oratorio di San Sebastiano in piazza San Domenico per la celebrazione della messa.«Da anni ci stiamo domandando: perché accade tutto questo? Prima non avvenivano simili violenze, i nigeriani amano la vita», dice con amarezza padre Damian. Risale allo scorso settembre l’ultima volta che il parroco è tornato a casa sua in Africa, lui è originario del sud, dove la situazione è più tranquilla. «Al nord invece sono molti quelli che stanno abbandonando le loro case per paura di nuovi attentati, ormai quasi all’ordine del giorno – racconta padre Damian -, ringrazio don Santino per la vicinanza che ci ha espresso a nome della Diocesi». Cosa fare? «Qui non resta che pregare – aggiunge il sacerdote – ho invitato i miei connazionali a chiedere al Signore di dar forza ai cristiani della Nigeria e anche a digiunare per loro. La nostra idea è di organizzare una veglia di preghiera per pregare per tutte le vittime e anche per i persecutori. So che è difficile da far capire ai parenti e agli amici delle persone uccise, ma occorre trovare un dialogo con i fondamentalisti altrimenti non ne usciamo», conclude padre Damian.Sanno cosa significa morire a causa della propria fede anche i pakistani cristiani che vivono a Prato. Sono circa 10 famiglie, riunite nell’Asian Christian Community, una associazione esistente anche a livello nazionale. Il presidente della sezione pratese è <+nerob>Sabir Chaudry<+tondob> che vive a Montemurlo da circa 20 anni. «Noi cattolici pakistani purtroppo subiamo persecuzione da parte dei nostri connazionali musulmani non solo in patria, ma anche qui in Italia – racconta Sabir -, per fortuna non qui a Prato». Sabir parla di un amico connazionale, anch’esso cristiano, che vive a Bologna, picchiato da pakistani musulmani, «solo per aver parlato di Gesù in loro presenza», aggiunge il presidente. «Si è rivolto a noi di Prato perché là è l’unico cristiano e aveva bisogno del nostro aiuto». Anche la comunità pratese (che si ritrova ogni due mesi nella basilica di Santa Caterina per la messa celebrata da don Giuseppe Riaz, vice parroco a Mezzana) prega costantemente perché questa drammatica situazione finisca. Basti pensare al caso della giovane cristiana Asia Bibi, condannata dal tribunale pakistano a morte per il reato di blasfemia. Per la sua scarcerazione, dal 2009 vive reclusa in attesa della sentenza definitiva. Il quotidiano Avvenire ha avviato una campagna di sensibilizzazione invitando a inviare una mail al presidente del Pakistan Asif Ali Zardari nella quale si chiede di liberare la donna.