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Nigeria, don Bature: “Santo Stefano ci insegna a rispondere a Boko Haram con il bene”
Nel giorno di Santo Stefano, protomartire, dalla Nigeria arriva la testimonianza di don Joseph Bature Fidelis della diocesi di Maiduguri, la capitale dello stato federale di Borno (nord-est del Paese). Qui si dice sia ‘nato’ il gruppo jihadista Boko Haram, affiliato allo Stato Islamico che minaccia la vita delle comunità cristiane locali
Le ultime esecuzioni risalgono al 24 dicembre, vigilia di Natale: i jihadisti di Boko Haram hanno ucciso almeno sette persone in un assalto a Pemi, villaggio a maggioranza cristiana nello stato del Borno. Incendiate case e saccheggiate scorte di cibo che dovevano essere distribuite ai residenti per celebrare il Natale. Nei giorni scorsi le agenzie di sicurezza avevano avvertito di un aumento del rischio di attacchi durante il Natale. “Una tragedia che provoca enorme tristezza davanti alla quale non possiamo fare altro che pregare”: da Maiduguri, nel nord del Paese, il sacerdote nigeriano don Joseph Bature Fidelis esprime dolore e preoccupazione per la persecuzione dei cristiani in Nigeria. Esattamente un anno fa (26 dicembre 2019) dieci cristiani furono brutalmente uccisi – e il video dell’esecuzione diffuso on line – dai terroristi della cosiddetta provincia dell’Africa Occidentale dello Stato islamico. Il 26 dicembre è il giorno in cui la Chiesa ricorda Santo Stefano, il suo primo martire, lapidato a Gerusalemme.
“Santo Stefano – dichiara don Joseph – è un modello di vita cristiana, un esempio di come rispondere al male con il bene, con la giustizia e la verità, professando la propria fede in Cristo Gesù. Il suo esempio ci incoraggia a fare lo stesso e noi chiediamo la sua intercessione perché nessuno rinneghi la fede in Cristo Gesù”.
La Nigeria, secondo la Fondazione di diritto pontificio, Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), è uno dei luoghi dove i cristiani vengono maggiormente perseguitati. Si stima che nel Paese africano, dal 2015, siano oltre 6.000 i cristiani uccisi, più di 600 solo nei primi mesi del 2020. Il sequestro di cristiani rappresenta, inoltre, un fenomeno diffuso con oltre 220 rapimenti ogni anno.
Al fianco dei fedeli. Don Joseph Bature Fidelis vive a Maiduguri, la capitale dello stato federale di Borno (nord-est del Paese). Qui si dice sia ‘nato’ il gruppo jihadista Boko Haram che nel 2014 lanciò una offensiva terroristica per trasformare il nord della Nigeria in Califfato. In quegli anni la diocesi era circondata al punto che i vescovi nigeriani chiesero ai sacerdoti delle zone più a rischio di lasciare le proprie diocesi. Padre Joseph scelse di restare con i propri fedeli nonostante, racconta, “fossi stato minacciato per ben due volte e avessi visto persone uccise e tagliate a pezzi”. Il sacerdote oggi è sempre più convinto della bontà della sua scelta perché “credo che questi attacchi contro la comunità cristiana non cancelleranno la fede del nostro popolo”. Pur dichiarato “tecnicamente sconfitto” dal presidente nigeriano Muhammadu Buhari, Boko Haram oggi controlla ancora ampie zone intorno a Maiduguri.
“Pochi giorni fa – rivela il sacerdote – un nostro giovane ministrante è stato ucciso dai terroristi islamici. Vivere in queste aree per un cristiano è molto duro. Le strade non sono sicure, specie in questo tempo di Natale. Uscire è molto pericoloso. Sono trappole e noi qui in città siamo intrappolati. Terroristi e banditi prendono di mira i cristiani e le minoranze. I rapimenti sono all’ordine del giorno”. La sorte dei rapiti don Joseph la descrive così:
“Le giovani donne sono costrette a convertirsi all’Islam, diventano schiave sessuali dei terroristi, vengono date in sposa a miliziani, i ragazzi invece arruolati e addestrati a uccidere, razziare e incendiare spesso anche i loro villaggi e a perpetrare violenze contro i loro stessi parenti. Qualche ragazzo viene rilasciato dietro il pagamento di riscatto”.
La forza della preghiera. “La tensione ci accompagna sempre così come la paura di essere uccisi o rapiti in ogni momento. Ma sono più di dieci anni che viviamo sotto questa persecuzione e abbiamo deciso di restare e di vivere con coraggio, rispondendo con le armi del bene al male e alla violenza di Boko Haram. Armati solo della preghiera spesso elevata per la conversione dei nostri persecutori.
La preghiera ci tiene uniti e saldi nella fede. In questo ambito cerchiamo anche di organizzare iniziative pastorali utili a tenere impegnata la comunità ecclesiale. Una testimonianza che non passa inosservata: tanti militari che presidiano le strade e i luoghi pubblici quando vedono i cristiani chiedono di avere una copia della Bibbia, una corona del Rosario. Molti di questi soldati non sono cattolici”. “Abbiamo scelto di restare – aggiunge don Joseph – perché questo è il nostro Paese, la nostra città.
Non cerchiamo il martirio, ma il male va guardato negli occhi e al male bisogna resistere con la fede e il bene e dire: basta.
Fuggire non serve – ribadisce il sacerdote -. Coloro che hanno dato la propria vita per la fede erano uomini e donne come noi. Se andiamo via che testimonianza daremo? Restare qui ci ha aiutato a rafforzare la nostra fede. Ed è ciò che vedo nei volti di tanta gente che viene in chiesa. Più siamo perseguitati più la nostra fede si rinvigorisce”.