I politici devono prendere il toro per le corna e risolvere le cause profonde di questi ciclici episodi di violenza. Non mi stancherò di ripeterlo: le vere cause delle violenze non sono religiose, ma etniche, sociali, politiche ed economiche dice all’Agenzia Fides mons. Ignatius A. Kaigama, Arcivescovo di Jos, capitale dello Stato di Plateau. Noi leader religiosi continueremo a fare la nostra parte, predicando la non violenza e il rispetto reciproco, occorre però che anche gli amministratori e i politici facciano la loro afferma mons. Kaigama.Tra le cause profonde della crisi mons. Kaigama accenna alla distinzione tra indigeni e non indigeni, che divide le popolazioni dello Stato. Secondo diversi analisti, alla radice degli scontri nello Stato di Plateau vi è la distinzione, che risale ai tempi della colonizzazione britannica, tra chi ha lo status di indigeno e di non indigeno. Nel primo caso, si ha accesso ad una serie di diritti, in quanto abitante originario dello Stato. I non-indigeni, invece, subiscono delle discriminazioni, come ad esempio, l’esclusione da diversi posti statali, limitazioni all’accesso alle università per le quali devono pagare tasse d’iscrizione più alte, ecc In una nota inviata all’Agenzia Fides, mons. Kaigama ricostruisce così gli ultimi attacchi.A meno di due mesi dai fatti del 17 gennaio 2010 , in cui centinaia di persone hanno perso la vita, oltre un centinaio di persone sono state uccise in un raid al mattino presto, che si è verificato il 7 marzo nei villaggi dei Dogon Nahawa, Ratsat e Zot Foron, a circa 15 chilometri a sud della città di Jos, in quello che sembra essere un attacco di rappresaglia. Gli abitanti del villaggio del gruppo etnico Berom (in prevalenza cristiani) hanno affermato che gli aggressori erano pastori musulmani Fulani, che li hanno aggrediti mentre dormivano. L’attacco che è durato più di due ore circa è iniziata alle 2:30 e le vittime erano completamente impreparate ad affrontare la furia degli assalitori. L’ampio uso di armi da fuoco, spade e altre armi letali ha lasciato poche speranze alle vittime, soprattutto bambini e donne, che sono state attaccate e bruciate mentre cercavano di sfuggire al massacro. Le cifre esatte delle vittime sono normalmente difficili da verificare in tali circostanze. I media hanno dato cifre divergenti che vanno da 150 a oltre 700. Il parroco della Parrocchia St. Thomas Shen che serve le zone colpite, Fr Philip Jamang, ha detto che ha assistito di persona alla sepoltura di massa di 64 persone nel villaggio Dogon Na Hawa, di 30 persone in quello di Ratsat e di 24 in quello di Zot Foron. Un abitante del villaggio ha descritto come gli attaccanti andavano in giro iniziando a sparare in aria, al fine di far uscire le persone dalle loro case per poi colpirle a colpi di machete e di altre armi, e bruciare le loro case”.“Come nel caso della crisi del 2008 – prosegue la nota di mons. Kaimaga - l’Arcidiocesi cattolica di Jos sta organizzando una Messa di solidarietà e di suffragio per le vittime. La Santa Messa si terrà il 19 marzo presso la St. Jarlath’s Parish Church Bukuru, in un’area che è stata particolarmente colpita. Abbiamo effettuato una raccolta di denaro e di beni di prima necessità per aiutare i superstiti. Abbiamo ottenuto il sostegno di alcune diocesi della Nigeria, delle agenzie internazionali della Chiesa e di singole persone. Il nostro Dipartimento Giustizia, Pace e Caritas ha inviato prodotti alimentari, medicine e abbigliamento per le migliaia di persone sfollate (musulmani, cristiani ed altri). (Agenzia Fides)