Opinioni & Commenti
Niente più alibi sulla tutela dell’ambiente. Né per gli Stati né per le persone
Lo scorso 22 aprile, in occasione della Giornata Mondiale della Terra, 165 capi di Stato e di Governo hanno firmato, presso la sede delle Nazioni Unite, l’accordo sul clima raggiunto a Parigi nel dicembre scorso. Si tratta di un accordo storico, per certi versi complesso nella sua implementazione ma estremamente ambizioso che, nel ribadire l’impegno globale per la protezione dell’ambiente e la lotta al riscaldamento globale, impegna tutti gli Stati a un deciso rafforzamento delle risposte sin qui offerte, calandole nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per sradicare la povertà.
Una prospettiva, non c’è che dire, pienamente in linea con gli spunti offerti dall’enciclica sociale «Laudato Si’», nella quale Francesco ha offerto una disamina ampia ed articolata dell’intero spettro dell’azione umana, collocando la questione ambientale e dello sviluppo nell’alveo di una giusta visione della persona. In grado di orientare ed illuminare sull’esercizio della creatività e della libertà in campo economico e, più in generale, sull’uso che l’uomo può fare dell’enorme potere che discende dal progresso delle tecnoscienze.
Secondo alcuni, il punto debole dell’accordo risiederebbe nel suo fissare obiettivi e procedure senza, di fatto, imporre obblighi. In sostanza, la critica si concentra sul fatto che sebbene si sia raggiunto un consenso unanime sull’esigenza di intervenire per mitigare l’aumento della temperatura terrestre previsto nei prossimi decenni, che risulterebbe dannosissimo per la vita umana, si è ancora molto lontani dall’individuare i mezzi migliori per farlo e, soprattutto, coloro sui quali debbano ricadere tali sforzi.
Una critica che ha già il sapore dell’alibi e che, per questo, non può essere accettata. L’accordo prevede, infatti, che l’implementazione degli impegni sul fronte della limitazione dell’aumento della temperatura globale entro un grado e mezzo e della riduzione delle emissioni di gas serra avvenga «secondo equità e in modo da riflettere il principio di comuni ma differenziate responsabilità e rispettive capacità, alla luce delle diverse circostanze nazionali», attraverso «un sistema di trasparenza ampliato, con elementi di flessibilità che tengano conto delle diverse capacità».
Un approccio, dunque, non prescrittivo, incentrato sul concetto di responsabilità diffusa che investe sia i pubblici poteri che ciascuno di noi. Una vera prova di maturità ecologica.
In base all’art. 4 dell’accordo, tutti i Paesi «dovranno preparare, comunicare e mantenere» degli impegni definitivi a livello nazionale, con revisioni regolari che «rappresentino un progresso» rispetto agli impegni precedenti e «riflettano ambizioni più elevate possibile». Una sorta di implementazione incrementale rispetto alla quale, proprio in virtù dell’abbandono di ogni logica burocratico-prescrittiva, ciascun Paese sarà chiamato a dimostrare di aver compreso davvero che l’uomo, di fronte alla Terra, non si pone come dominatore assoluto ma come «amministratore responsabile» (LS, 116), perché la natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio.
L’implementazione di tale accordo richiederà dunque non il rispetto di obblighi sotto la minaccia di sanzioni, ma l’adozione di «un vero approccio ecologico», libero dai condizionamenti della tecnologia e della finanza (LS, 53), capace di diventare «sempre più un approccio sociale» e di «integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (LS, 49).
Francesco ci ha ormai svelato come nella questione ambientale e nel modello di sviluppo che caratterizza il nostro tempo ci sia una comune «radice umana» e come, di conseguenza, la risoluzione delle tematiche ambientali sia strettamente dipendente dalla capacità di ciascun individuo, da un lato, di adottare un approccio ecologico integrale e, dall’altro, di permeare dello stesso, con il suo operato, le nostre istituzioni economiche e politiche.
Sussiste, infatti, un’intima relazione tra le cose del mondo ed è in questa relazione che la libertà umana deve sapersi coniugare con la responsabilità di ogni uomo davanti al genere umano, comprese le generazioni future, e dinanzi a Dio. Di fronte a questa realtà, nessun alibi può più essere riconosciuto agli uomini e alle loro istituzioni. Quella ecologica è una responsabilità che interessa tutti, credenti e non credenti, Paesi sviluppati e in via di sviluppo, imprese e cittadini, rispetto alla quale però sui cattolici grava l’ulteriore peso dell’insegnamento evangelico che ci vuole «sale della terra» (MT 5, 13).