Pisa

Nessuno tocchi Caino. Né Abele

di Giovanni Paolo Benotto

“Dio abbia pietà di noi e ci benedica”! E’ l’invocazione che abbiamo ripetuto nel salmo responsoriale; ed è l’invocazione che più si addice alla celebrazione con la quale concludiamo l’anno civile che sta volgendo al termine. Dio, abbia pietà: manifesti su di noi l’abbondanza della sua misericordia; si manifesti a noi come Padre buono e ricco di grazia; faccia splendere su di noi la luce del suo volto e tutta la terra possa comprendere l’immensità del suo amore per ogni uomo.Il salmista ci ha ricordato come la vita di ognuno e la storia stessa dell’umanità sono incomprensibili senza riferimento al Signore: è Lui che giudica i popoli con rettitudine; è Lui che governa le nazioni sulla terra. Giudizio di luce e di misericordia; di bontà e di verità insieme; giudizio in cui ciò che è retto e giusto non è mai in contrasto con il necessario discernimento tra il vero e il falso, tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male.Ed è proprio a questo giudizio che vogliamo guardare in questa fine di anno, con gli occhi del cuore rischiarati dalla luce dello Spirito di Dio e con la mente aperta alla speranza che non inganna.Permettete dunque che alla luce della fede e in ascolto della Parola che salva ripercorra l’anno che sta per finire, non tanto per tentare un bilancio, quanto per cogliere motivi per ringraziare il Signore e farli diventare, insieme al pane e al vino che deporremo sull’altare, materia per la nostra Eucaristia, e inno di lode all’Altissimo nel canto del “Te Deum” di ringraziamento.Il 2008, per la nostra Chiesa pisana, è stato l’anno che ha visto l’avvicendamento del suo arcivescovo. Dopo quasi 22 anni di guida pastorale l’Arcivescovo Mons. Plotti ha consegnato il pastorale, il segno del compito di guida affidato al pastore della Chiesa particolare, a me che egli stesso, cinque anni prima, aveva consacrato vescovo della Chiesa di Tivoli e che la benevolenza del Santo Padre ha voluto come suo successore sulla cattedra pisana. Ogni avvicendamento porta con sé novità e attese. Per quanto mi riguarda non ero ignoto alla Chiesa pisana e l’avvicendamento si è compiuto nel segno della continuità dell’unica paternità, quella di Dio, che, rappresentata dai vescovi che si succedono, con caratteristiche diverse, ma fra loro complementari, viene ad arricchire l’esperienza del cammino ecclesiale.In questi primi mesi di servizio episcopale, non solo ho potuto toccare con mano le attese dei sacerdoti e dei fedeli, ma soprattutto ho visto quanto grandi siano le potenzialità e le ricchezze spirituali del popolo cristiano, che nella comunione dei cuori e degli intenti potranno certamente svilupparsi con rinnovato vigore ed esprimere quei frutti di santità che il Signore si attende dalla nostra Chiesa. E di queste splendide energie ringrazio il Signore.In questo periodo abbiamo proceduto al rinnovo degli organismi di partecipazione alla vita della diocesi. E’ stato ricostituito il Consiglio presbiterale che ha già cominciato il suo prezioso lavoro di discernimento in aiuto all’arcivescovo; è stata rivitalizzata la Consulta per le Aggregazioni Laicali; è in fase di ricostituzione il Consiglio Pastorale diocesano che nel prossimo mese di gennaio inizierà il suo lavoro. Si tratta di tappe che hanno come prima meta la formulazione di un Piano pastorale diocesano che guidi l’attività delle nostre comunità parrocchiali e dell’intera diocesi per i prossimi cinque anni. In questa fase assai laboriosa ho potuto verificare la disponibilità generosa di tante persone, sacerdoti e laici; il loro servizio disinteressato; la loro fatica unita a fiduciosa speranza: di tutto questo ringrazio il Signore.Soprattutto ho toccato con mano quante e quanto generose siano le migliaia di persone che svolgono il loro servizio ecclesiale nelle nostre parrocchie come catechisti, animatori delle varie attività parrocchiali, collaborando con i parroci nelle nostre comunità cristiane, senza clamori e con umile semplicità e sempre per amore del Signore Gesù e della sua Chiesa. Non posso dimenticare gli oltre duemila fra catechisti e collaboratori parrocchiali ai quali, nello scorso mese di settembre-ottobre, insieme a tutti i sacerdoti, ho affidato il mandato negli incontri che si sono svolti nei dieci vicariati della Diocesi: per loro e con loro ringrazio il Signore.Così come esprimo con grande riconoscenza il mio grazie a Dio per i giovani che hanno partecipato ai vari incontri promossi dal Servizio di pastorale giovanile della diocesi. Si tratta di centinaia e di centinaia di giovani che hanno potuto sperimentare la bellezza dell’essere Chiesa e la gioia di poter quasi toccare con mano che cosa significa seguire Gesù sulla via del Vangelo. Momenti che hanno bisogno di crescere, coinvolgendo sempre di più i giovani delle nostre comunità cristiane e soprattutto quei giovani che pur interiormente disponibili, non si identificano con esse. ma che, ritrovandosi insieme e in tanti, potrebbero rendersi conto che la Chiesa è viva, è giovane ed ha in deposito un tesoro meraviglioso da trasmettere a tutti, senza l’esclusione di alcuno. E soprattutto, che “insieme è più bello” e che nella comunione con Gesù, le differenze e le diversità si compongono in unità e diventano ricchezza condivisa e capacità di uno sguardo d’amore capace di raggiungere tutti, perché chiunque, nella Chiesa, possa sentirsi a casa propria.Nelle visite e negli incontri che mi hanno portato in gran parte delle nostre comunità parrocchiali, in associazioni, gruppi e movimenti, mi sono reso conto di quanto grande sia il bisogno di una vera e autentica “spiritualità”; di quanto sia avvertita la necessità di unità non solo tra credenti in Cristo, ma tra persone, qualunque sia l’appartenenza ideale o l’estrazione sociale; di quanto sia cercata la felicità che non passa e che sempre è gioia che nasce dalla comunione con Dio e con i fratelli. Necessità sempre più marcate ed espressamente manifestate proprio per l’opprimente pesantezza dell’individualismo e dell’egoismo che rischiano di disperdere le più belle energie della nostra gente e di spengere la gioia.  Bisogni e necessità a cui la nostra Chiesa non può non dare risposta. Bisogni e necessità che interpellano la nostra fede, prima di tutto, e quindi il nostro personale rapporto con Gesù e poi la nostra capacità di tradurre con linguaggio e modalità accessibili al sentire del nostro tempo, il lieto messaggio che non muta, il Vangelo della salvezza, di cui tutti i battezzati, pastori e fedeli, sono costituiti annunciatori e testimoni.Tutto questo si colloca all’interno di un quadro culturale e sociale che manifesta sempre più i propri limiti e soprattutto la propria incapacità strutturale di autorigenerarsi.  Infatti non è capace di autorigenerazione una società che crede di potersi fondare sul consenso costruito più o meno artificialmente attraverso le attuali forme di comunicazione che solleticano il soggettivismo più esasperato, senza il necessario radicamento in valori oggettivi che non mutano al passar delle mode e che attingono a quella che è la natura stessa della persona umana.Infatti non ha e non può avere alcun futuro una cultura e un vivere sociale che non riconosce più una base comune a tutti gli esseri umani, a qualunque razza, religione o identità appartengano, e che consiste in quella legge morale naturale che è scritta in maniera indelebile nel cuore di ogni persona umana e che si sintetizza nel “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te; fa’ agli altri ciò che tu vuoi che gli altri facciano a te”, che è poi anche massima evangelica. Non c’è futuro per una cultura e per un vivere sociale che scambia il bene con il male, il vero con il falso, il giusto con l’ingiusto. In un mondo senza verità, non esiste più alcuna certezza; in un mondo di soggettivismo esasperato dove tutto diventa “opinione”, finiscono tragicamente per prevalere solo le “opinioni” del più forte, del prepotente, di chi ha mezzi economici e che per i propri fini, spesso inconfessabili, è pronto a calpestare la dignità altrui che spesso ha come voce solo il silenzio.Ed oggi è veramente il “silenzio” degli innocenti, dei poveri, dei disprezzati, di quelli che non contano niente nei grandi circuiti economici, politici e culturali, che grida con tutta la sua forza la necessità di guardare nuovamente con attenzione e disponibilità a quelli che sono gli unici veri fondamenti del vivere personale e sociale, a quelle norme che se per un credente hanno la loro codificazione nel decalogo della Bibbia, in realtà hanno da sempre il loro radicamento più solido e indistruttibile nella stessa natura dell’uomo.Ed è per questo che desidero ringraziare il Signore per tutti coloro che generosamente e senza “interessi” di parte si spendono per la vita, per la vita di tutti e per tutta la vita dal suo primo sorgere al suo tramonto naturale e che non si rassegnano a lasciare che abbia a prevalere l’egoismo e l’autereferenzialità di chi pensa di affrontare le tante e inedite problematiche che riguardano la vita dell’essere umano senza tener conto che non soltanto “nessuno deve toccare Caino”, ma che tanto meno “nessuno deve toccare Abele”. E Abele è il povero, è lo straniero, è il concepito che non si vuol far nascere; è l’ammalato inguaribile di cui, spesso in nome di una falsa pietà, si vuole affrettare la morte.C’è davvero da ringraziare il Signore per quelle tante persone e numerose associazioni che laicamente in nome della comune umanità, e ancor più in forza delle proprie convinzioni di fede si pongono accanto a chi soffre con spirito d’amore, riconoscendo in ciascuno il Cristo che chiede un aiuto e offrono in se stesse a quanti vengono avvicinati nell’amore che viene da Dio, la possibilità di riconoscere il volto stesso di Gesù, buon Samaritano, che si china sulle sofferenze dell’umanità. Desidero ancora ringraziare il Signore per tutto il bene che cresce e fiorisce nelle persone e nelle realtà più impensabili, in persone credenti e in persone che pur in ricerca di ciò che vale e rimane non riescono ancora a fare quel salto di fiducioso abbandono nelle braccia di Dio che spalancherebbe loro la possibilità di “vedere l’invisibile”, e di rendersi conto che in realtà, non sono lontane dal Regno di Dio, ma anzi, che il regno di Dio è già in mezzo a noi.Ed infine voglio ringraziare il Signore per tutti coloro che nonostante la cattiveria che avvelena il mondo e che si esprime con la guerra, con le violenze e le sopraffazioni di ogni genere, continuano a credere e a lavorare per la pace, la giustizia e la solidarietà vera tra gli uomini. L’anno si chiude con uno scenario davvero preoccupante: guerre non dichiarate insanguinano praticamente ogni continente. Una fra tutte quella che si sta consumando con violenza terribile nella Terra di Gesù. Mentre invochiamo il dono della pace e chiediamo che tutti, indistintamente, abbandonino la forza delle armi e adoperino nella giustizia la forza del diritto che riconosca a tutti la necessaria sicurezza e il rispetto della vera e autentica dignità di ciascuno, non possiamo non dire grazie al Signore perché c’è anche chi, contro corrente, ha il coraggio di mettere a repentaglio la propria vita pur di promuovere con tutte le proprie energie la fraternità e la pace.Il nostro piccolo grazie si affida e si unisce al grande ringraziamento che Cristo offre al Padre nella celebrazione dell’Eucaristia. Siamo sicuri che contemporaneamente si compie per noi la benedizione di Dio. Sì, davvero qui e ora il Signore ci benedice e ci custodisce. Fa risplendere per noi il suo volto e ci fa grazia; rivolge a noi il suo volto e ci concede pace. E’ la nostra certezza. E’ l’augurio con cui chiudiamo l’anno che finisce e con il quale ci apprestiamo ad iniziare il nuovo anno con il suo primo giorno dedicato alla pace.