Prato

«Nessuno deve essere sfruttato». La Chiesa di Prato difende il lavoro degno

È da settimane che a Prato si sta assistendo a una lotta di lavoratori pachistani, dipendenti di un’impresa cinese, per vedersi riconosciuto il diritto a un lavoro degno, non sfruttato e soprattutto umano.Non è ammissibile far lavorare i dipendenti, chiunque essi siano, 12 ore al giorno. È inammissibile non rispettare le paghe contrattuali, frutti di accordi tra sindacati e imprenditori che sono costati sacrifici a tutti e che stabiliscono delle regole comuni di convivenza. Non è concepibile nella Prato moderna uno sfruttamento ottocentesco che si è superato con tanti sacrifici da parte dei nostri padri.Le differenze culturali che possono esistere e che possono produrre modelli di organizzazione dell’impresa e del lavoro non possono prescindere dal rispetto dei contratti, della legalità come sentimento comune per vivere in armonia nel nostro territorio.Le differenze culturali non possono giustificare la cultura dell’illegalità che spesso tollera e sostiene la corruzione e l’evasione delle norme, a partire da quelle del contratto di lavoro. Non combattere l’illegalità e non affermare la legalità significa tollerarla o peggio giustificarla, rendendoci corresponsabili di quanto avviene nella nostra città. Quando l’illegalità, definita da papa Francesco nella sua visita pratese «un cancro», prende il sopravvento nel mondo del lavoro si afferma il lavoro come scarto della società e non come un valore generativo di relazioni sociali che producono un bene comune. Togliere il lavoro alla gente o sfruttarla con lavoro indegno o malpagato o come sia, è anticostituzionale.I nostri padri attraverso il lavoro hanno costruito a Prato un benessere pacificato per tutti quelli che ci vivevano e per tutti quelli che arrivavano. Questo valore non può essere messo in discussione per egoismo di qualche imprenditore che vuole approfittare delle difficoltà del momento per arricchirsi indegnamente e a scapito di chi ha solo e soltanto la propria professionalità da mettere a disposizione. L’imprenditore ha una funzione sociale cui non può rinunciare: quella di creare «buon lavoro», quella di pagare il giusto salario, quella di organizzare il lavoro perché si possa lavorare in sicurezza, quella di contribuire allo sviluppo della città. L’imprenditore non è quello che si arricchisce alle spalle dei più deboli, sarebbe troppo facile, questo è uno «speculatore», come dice papa Francesco.Il buon imprenditore è prima di tutto un lavoratore. Se non ha questa esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore. Condivide le fatiche dei lavoratori e le gioie del lavoro, di risolvere insieme problemi, di creare qualcosa insieme. Nessun buon imprenditore ama licenziare la propria gente; chi pensa di risolvere il problema della propria impresa licenziando o pagando male i lavoratori, non è un buon imprenditore, è un commerciante, oggi vende la propria gente, domani la propria e l’altrui dignità.L’imprenditore che sfrutta, che licenzia, che tratta i lavoratori come un oggetto è come quel padrone descritto nel Vangelo che pensando di aver sistemato tutte le sue cose non pensò alla giustizia divina.A Prato bisogna prendere esempio dai tanti imprenditori che sono amici della gente, della comunità locale, dei lavoratori. La Pastorale sociale e del lavoro, la Chiesa pratese non può che schierarsi con il sofferente, con l’umiliato, con il povero e oggi questi si manifesta nei lavoratori pachistani che stanno scioperando per la loro dignità.La Pastorale sociale e del lavoro, la Chiesa denuncia l’ingiustizia che si sta perpetrando verso i lavoratori pachistani che è simile al povero «venduto per un paio di sandali» (Amos 2,6).La Pastorale sociale e del lavoro, la Chiesa invita e sostiene i sindacati per dare voce a chi non ce l’ha, a smascherare i potenti che calpestano i diritti dei lavoratori più fragili, a difendere la causa dello straniero, degli ultimi, degli «scarti».La Pastorale sociale e del lavoro, la Chiesa valuta l’urgenza di arrivare a un contratto che definisca i diritti e i doveri dell’imprenditore e dei lavoratori affinché si cooperi per evitare chiusure culturali, etniche e per affermare la dignità del lavoro che passa attraverso il riconoscimento del giusto salario, del giusto orario di lavoro, del giusto riposo. Che questi lavoratori e questi imprenditori, oggi coinvolti in questa vicenda, siano lo spunto per riprendere quanto ci diceva di fare papa Francesco: fare patti di prossimità. Un nuovo patto sociale umano e interculturale, un nuovo patto sociale per il lavoro nel territorio pratese, che metta al centro i diritti del lavoro su cui fondare una convivenza basata sulla reciprocità, sulla legalità, sul rispetto, come previsto dalla nostra Costituzione.La chiesa di Prato invita tutta la comunità e tutte le religioni affinché tra imprenditori e lavoratori si stabiliscano relazioni di rispetto reciproco e perché la lampada del lavoro, la sua fiamma oggi torni a essere più urgente e più viva. Che sia riaccesa e ricaricata con olio santo, fatto di speranze, gioie, dolori, sofferenze delle persone che oggi sono senza lavoro e che si vedono negata la propria dignità.

Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Prato