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Nell’inferno di Gaza dimenticato da tutti

Don (abuna in arabo) Mario Cornioli è vice parroco di una parrocchia di Montevarchi in Diocesi di Fiesole e anche missionario «fidei donum» in Terra Santa. Ci ha inviato questa testimonianza all’indomani dell’attacco alla «Freedom Flotilla».

Perché Dio ci ha dimenticati?». È con questa domanda che mi saluta Samer all’uscita della Messa domenica scorsa nella nostra Parrocchia di Gaza. Il parroco George e la piccola comunità di Gaza ci deve aspettare una trentina di minuti per iniziare la festa della Santissima Trinità perché il permesso di entrare tarda ad arrivare e poi il tragitto a piedi per arrivare alla macchina della parrocchia che ci sta aspettando è abbastanza lungo…Appena dentro la grande prigione di Gaza ci dà però il benvenuto non il parroco ma una smitragliata dell’esercito israeliano: sentiamo partire dalla torretta dietro le nostre spalle diversi colpi di arma da fuoco. Questa volta mi ero portato dietro una coppia di amici che si impauriscono notevolmente ed anche io nonostante mi fossi già trovato in simili situazioni nel passato. Questa volta sentendo i colpi sopra la testa e dietro le spalle non riesco a rimanere molto sereno anche se già so che questo «saluto» viene dato spesso a chi entra nella Striscia.

Era tanto che la piccola comunità cristiana di Gaza non riceveva visite e così la nostra, particolarmente breve, è stata molto gradita anche per quello che voleva essere: un momento di preghiera insieme ed un momento di testimonianza che Dio non li ha dimenticati. Credo che sia stata la nostra presenza e il nostro essere insieme a loro, la risposta alla domanda iniziale. Dio non ha dimenticato Gaza… sono gli uomini e i governi del mondo che l’hanno dimenticata!

Dispiace che siano stati i pesanti bombardamenti del gennaio 2009 a far ricordare per qualche mese al mondo del disastro umanitario che si stava consumando nella Striscia di Gaza… Qualche mese e poi Gaza è sparita di nuovo dall’attenzione generale mentre l’embargo e la chiusura continuavano e continuano a fare vittime innocenti soprattutto tra i bambini.

Dispiace che siano i tanti morti dell’assalto alle navi che trasportavano viveri e materiale umanitario a far ricordare Gaza al mondo intero in questi giorni.

Dispiace soprattutto che, come al solito, passerà qualche mese e Gaza sarà dimenticata di nuovo e sarà lasciata sola alla sua disperazione allo stato puro e i bambini continueranno a morire per la mancanza di medicine, per la mancanza di cibo, per la mancanza di acqua potabile.

È mai possibile che il mondo abbia bisogno di fiumi di sangue per ricordarsi della sofferenza e della tragedia che si sta consumando in quello che è forse il campo di concentramento più grande del mondo? Oggi Gaza è proprio questo: un grande campo di concentramento. Domenica scorsa siamo entrati dal valico di Eretz ed abbiamo visto il muro e tutto il sistema di sicurezza israeliano compreso i tre km di devastazione totale all’ingresso della Striscia che è stata giustificata con il classico ritornello: motivi di sicurezza.

Siamo stati a visitare Rafah e il confine con l’Egitto: un altro muro insieme a filo spinato e barriere metalliche. Non ci sono vie normali di entrata né di uscita soprattutto per le merci, per il cibo, per ogni tipo di bene necessario alla sopravvivenza… Abbiamo visto i famosi tunnel: tanti buchi nella sabbia da cui abbiamo visto uscire ballini di cemento, ferro per costruzioni e pecore. Sì abbiamo visto anche questo spettacolo incredibile. Perché dai tunnel passerà sicuramente qualche arma, ma passa anche l’ultima speranza di sopravvivere per un milione e mezzo di disperati!

Oggi Gaza è questo: è un popolo disperato! «Non dovete perdere la speranza» ho provato a dire ai nostri parrocchiani al termine della Messa e la risposta di Yousef mi ha lasciato profondamente smarrito: «Non possiamo perdere una cosa che non abbiamo!». Speranza che oramai è scomparsa dagli occhi dei bambini che abbiamo incontrato numerosissimi in qualunque posto andassimo.

Oggi Gaza è questo: è l’inferno e dentro questo inferno dove la disoccupazione raggiunge livelli altissimi, c’è una sola grande fabbrica che sta aumentando i suoi lavoratori: è la fabbrica dei fondamentalisti, dei kamikaze, di coloro che pur di far pagare qualcosa a chi li ha ridotti a vivere così, non ha nulla da perdere nel sacrificare la propria disperata vita!

Dopo alcune ore siamo ritornati al di là del muro. Ci siamo fermati a prendere un caffé a due km dal valico di Eretz ed è stato interessantissimo vedere come la vita si svolgesse in modo normalissimo, come se non esistesse quell’inferno a poche centinaia di metri… ma forse il muro serve anche a questo: a rimuovere e nascondere la realtà!

Siamo tornati a Betlemme con la morte nel cuore e ci siamo quasi consolati nel rientrare dentro la piccolo prigione di Betlemme anche se nei Territori Occupati la vita sta diventando sempre più impossibile come a Gaza: gli insediamenti crescono a ritmo vertiginoso (nonostante Israele dichiari di aver congelato le colonie; venite a vedere quante gru ci sono in giro: è impressionante!), le leggi dell’esercito militare contro la presenza della popolazione palestinese si moltiplicano, la demolizione delle case a Gerusalemme prosegue… Tutto questo fa sì che la pace si allontani sempre di più.

Concludo con un interessante dialogo al check point di Betlemme di questa sera mentre rientravamo da Gerusalemme :

Mi spieghi perché Betlemme è l’unico check point in cui dobbiamo essere controllati per rientrare dentro la prigione?

Soldato: Non posso dirlo.

– Lo dico io: motivi di Sicurezza.

Soldato: Hai indovinato, è per motivi di sicurezza.

– Ma tu sei proprio sicura che la tua presenza qui sia per motivi di sicurezza?

Soldato: Questo è il servizio militare e questo è Israele.

– Non posso credere che questo è Israele. Un paese civile non può comportarsi in questo modo e non posso nemmeno credere che Israele è quello che oggi ha ammazzato decine di civili, non voglio credere che Israele sia questo!

Soldato: Anche io non voglio credere che Israele sia questo! (dispiaciuta per la tragedia delle navi…)

– E allora come fare ad aiutare Israele?

Soldato (allargando le braccia e con espressione rattristata…): Non lo so!

– Dio ti benedica e si ricordi non solo di Gaza ma anche di Israele! (guardando con affetto quella giovanissima ragazza che è costretta dal sistema ad essere lì, ma che avrebbe sicuramente preferito essere a godersi il sole di Tel Aviv insieme a qualche coetaneo.)

E siamo rientrati dentro Betlemme da dove vi scrivo con tanta amarezza nel cuore e tanto preoccupazione per il futuro sempre più buio ma anche con la certezza che una risposta a quel «non lo so» ci potrebbe essere.

Noi siamo sicuri che per aiutare Israele qualcuno deve avere il coraggio di dirgli che la strada intrapresa porterà soltanto ulteriore odio e ulteriore violenza e ulteriore insicurezza. Qualcuno deve trovare il coraggio di dire ad Israele che avrà la sua sicurezza nel momento in cui darà la possibilità di vivere una vita dignitosa a quei milioni di disperati dei Palestinesi. I veri amici di Israele non possono continare a tacere o a coprire tutte le malefatte in modo acritico, non si può continuare a ripetere il solito ritornello: «motivi di sicurezza». Perché per la maggioranza delle situazioni non è vero (per esempio i 500 check point dentro i Territori Occupati, che dividono case da case o villaggi da villaggi non hanno nessun motive di essere lì perché non c’é da garantire la sicurezza di nessun ebreo).

E allora chi ama davvero Israele deve parlare, deve aiutare Israele a ritrovare le radici della sua umanità, di una umanità che sembra completamente scomparsa da questo paese. Ed Israele non può essere questo paese dis-umano come pultroppo la realtà attuale ci sta dimostrando. Noi non lo vogliamo credere anche per quei tanti amici ebrei che condividono con noi la sofferenza nel vedere il loro stato compiere quotidianamente ingiustizie su ingiustizie.

Non ci dimenticate!

Abuna MarioIl blitz di Israele un fatto gravissimo per chi vanta di essere paladino dei diritti umani (di ROMANELLO CANTINI)