È risuonata forte e chiara la voce di Galileo Galilei nella Cattedrale di Pisa, dove, nei giorni scorsi, monsignor Gianfranco Ravasi e il professor Ugo Amaldi hanno tenuto una conversazione sul rapporto tra fede e scienza. Ravasi ed Amaldi sono stati salutati dall’arcivescovo di Pisa, che ha parlato di scienza e fede come di due strumenti utilissimi alla ricerca e e alla contemplazione della verità. Quindi una partecipata lettura della lettera di Galileo a padre Benedetto Castelli, ha catapultato l’uditorio nel cuore del problema: fede e scienza sono contrapposte, o possono convivere serenamente?Il professor Ugo Amaldi, docente di fisica medica all’università di Milano «Bicocca» e presidente della Fondazione «Tera», ha ricordato come, nel tempo, gli scienziati prima abbiano aderito alla teoria dell’eliocentrismo, poi a quella del cosmocentrismo. Fu «Galileo per primo a guardare la volta stellata senza preconcetti». Ed è esattamente questo che deve fare la scienza: osservare, studiare senza nulla escludere. Certamente in una concezione cosmocentrica – ha osservato Amaldi – l’uomo risulta essere estremamente piccolo e marginale, «scalzato» dal centro del mondo: questo non significa, però, che non possa essere oggetto dell’amore di Dio, quel Dio di provvidenza delle Sacre Scritture, il «Dio con noi» della Torah.Proprio dalla «marginalità» dell’uomo ha preso spunto monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: essa sembrerebbe contraddetta dalla concezione biblica dell’uomo come centro della creazione. Ed invece non è così: la Bibbia non nega la «fragilità» dell’uomo, ma questa sua fragilità non impedisce a Dio di «guardare» ad esso come una madre guarda al suo piccolo appena nato, fragile, certo, ma fondamentale.«Per l’incontro pisano – ha osservato Ravasi – vorrei adottare una frase che Arno Allan Penzias, premio Nobel per la fisica nel 1978, ha pronunciato in un dialogo col giornalista Riccardo Chiaberge: Fede e scienza sono complementari e non opposte e incompatibili». Per far questo, però, occorre che lo scienziato lasci cadere «l’orgogliosa autosufficienza e il teologo, da parte sua, lasci cadere la tentazione di perimetrare i campi della ricerca scientifica o di finalizzarne i risultati a sostegno delle sue tesi». Scienziato e teologo, infatti, come scriveva Schelling, devono «custodire castamente le loro frontiere». Tesi questa – ha sottolineato monsignor Ravasi – che è stata fortemente sostenuta da Papa Giovanni Paolo II il quale, nel discorso conclusivo della Commissione del Caso Galilei aveva affermato: «La distinzione tra i due campi del sapere (scienza e fede) non dev’essere intesa come un’opposizione. I due settori non sono estranei uno all’altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono i mettere in evidenza aspetti diversi della realtà». Rifacendosi a Pascal, monsignor Ravasi ha infine ricordato che è solo il pensiero che fa grande l’uomo, ma anche che: «l’uomo è sempre più grande di ciò che l’uccide, perché l’uomo sa di morire, l’universo non sa niente»; insomma, l’uomo è tanto più grande, quanto più ha consapevolezza della sua miseria. Alla fine del suo discorso monsignor Ravasi ha voluto fare un omaggio al professor Amaldi e alla scienza che egli così degnamente rappresenta ricordando che «lo scienziato non è l’uomo che fornisce vere risposte, è invece colui che pone le vere domande». E non c’è compito più nobile.