Mondo
Nel caos di Baghdad
«Sono state necessarie sette ore per fare gli ultimi cento chilometri, ai posti di blocco americani c'erano soste e difficoltà racconta Gino Strada da Baghdad e adesso, qui, in città, sembra di essere in un film, un po' come 1997 fuga da New York'. E' una situazione allucinante». Partiti nel pomeriggio di mercoledì da Amman, i due camion di Emergency hanno attraversato la frontiera tra Giordania e Iraq all'alba di venerdì. Una volta giunti nella capitale, agli occhi del team di Emergency si è presentato uno spettacolo da bolgia dantesca. «Non ho mai visto niente del genere. La città è in preda alla anarchia totale». dice Strada che pure è avvezzo a ogni genere di scenari e situazioni difficili.
«Sono state necessarie sette ore per fare gli ultimi cento chilometri, ai posti di blocco americani c’erano soste e difficoltà racconta Gino Strada da Baghdad e adesso, qui, in città, sembra di essere in un film, un po’ come 1997 fuga da New York’. E’ una situazione allucinante». Partiti nel pomeriggio di mercoledì da Amman, i due camion di Emergency hanno attraversato la frontiera tra Giordania e Iraq all’alba di venerdì.
Il primo checkpoint mobile viene incontrato circa 150 chilometri dopo. «Otto jeep con le mitragliatrici montate e una trentina di soldati americani e inglesi- racconta Vauro – con loro in uniforme e kufia rossa, armato di Kalashnikov, un iracheno kurdo, peshmerga di Barzani, altri militari portano sul braccio della tuta mimetica una bandiera verde, bianca e nera con al centro un sole stilizzato; sono kurdi iracheni e quella, ci dicono, è la nuova bandiera dell’Iraq».
A 120 chilometri da Baghdad, nella zona di al-Ramadi «incrociamo una lunga colonna di automezzi militari americani in assetto di guerra ancora centinaia di chilometri di deserto, solo sabbia e sassi.; un paesaggio che sembra capace di inghiottire tutto anche la guerra e i suoi orrori». Per evitare i combattimenti di al-Ramadi, i camion sono costretti a fare una lunga deviazione in direzione sud-est verso Kerbala, con notevole ritardo sulla sperata tabella di marcia resa ancora più difficile da uno dei due mezzi in avaria. Da Kerbala stamattina restavano solo 100 chilometri ma sono stati i più difficili e hanno richiesto una marcia forzata di sette ore.
Perché sette ore per meno di cento chilometri? A rispondere è lo stesso Strada: «E’ stato un viaggio massacrante, con frequentissimi posti di blocco militari, strade chiuse da auto in fiamme o da filo spinato. Ogni volta ci si doveva fermare a trecento metri dai posti di blocco. E mi toccava scendere e avvicinarmi a piedi con le mani bene alzate, in vista, in una atmosfera di tensione impressionante, sotto il tiro delle armi spianate dai soldati loro stessi in preda alla paura».
Una volta giunti nella capitale, agli occhi del team di Emergency si è presentato uno spettacolo da bolgia dantesca. «Non ho mai visto niente del genere. La città è in preda alla anarchia totale». dice Strada che pure è avvezzo a ogni genere di scenari e situazioni difficili. La sua descrizione della capitale è al tempo stessa lucida ed emozionata. «Le porte dei palazzi vengono sfondate dai carri armati e poi tutto viene abbandonato a se stesso. La città è così preda di migliaia di sciacalli che compiono razzie, che predano ogni cosa assolutamente indisturbati: ospedali, palazzi presidenziali ma anche case private, ambasciate, uffici, negozi, mentre la popolazione rimane rintanata in casa, terrorizzata, senza acqua né luce. Le strade sono invase dal fumo che sale dai palazzi colpiti dalle bombe. E, per le strade, solo sciacalli. Sciacalli e cadaveri, tanti sciacalli e purtroppo tanti cadaveri. I militari entrati in città non pensano minimamente alla sicurezza o alla sopravvivenza della popolazione, ma solo alla loro».
Nessuna immagine televisiva è ancora riuscita a rendere così appieno lo stato della capitale. «Gli ospedali sono stati, come tutto, saccheggiati e non sono in grado di funzionare» precisa ancora Gino Strada, spiegando la fretta sua e dei suoi collaboratori per la distribuzione dei materiali e l’organizzazione di altre attività d’emergenza.
Strada forse non lo sa, ma oggi è stata una giornata buona anche per Medici senza Frontiere (Msf) che, pur essendo riusciti a sdoganare solo l’altro ieri il secondo camion di 10 tonnellate di medicinali giunto a Baghdad la settimana scorsa, erano in qualche modo bloccati nella loro attività dopo la scomparsa di due volontari, il capo-missione francese Francois Calas di 44 anni e il logistico sudanese Ibrahim Younis di 31. I due, di cui non si avevano notizie dal 2 aprile, sono stati liberati dopo alcuni giorni di detenzione da parte, a quanto pare, di servizi di sicurezza iracheni. Dopo aver parlato con le sedi francese e belga della loro organizzazione, Calas e Younis, che appaiono in buone condizioni di salute, contano di rimettersi presto al lavoro con gli altri quattro volontari con cui già da diverse settimane lavoravano, per coprire turni chirurgici di 24 ore, all’ospedale al-Kindi nella zona nord-est di questa città che, con un’estensione di 50 chilometri, ha bisogno di tutti i volontari e gli aiuti possibili, dalla Croce Rossa Internazionale al «Ponte per Baghdad» all’Organizzazione Mondiale della Sanità alla Caritas e a chiunque altro è rimasto a operare o riesce a raggiungerla.
Altre 13 tonnellate di di medicinali e materiali sanitari sono giunti a Baghdad con un camion dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) partito martedì da Amman ma giunto a destinazione soltanto quando in città c’era già il caos. Il personale dell’Oms è quindi ora impegnato, come il gruppo di Emergency, a garantire che le forniture siano protette e al sicuro e possano essere distribuite agli ospedali che più ne hanno bisogno, compatibilmente con l’evoilversi della situazione. Altri rifornimenti dovrebbero seguire presto.
Secondo l’Oms, non solo nella capitale ma anche a Bassora, Zubair, Kirkuk e Mossul, dal punto di vista del soccorso medico e umanitario, la situazione si presenta «estremamente allarmante» e le «forze militari con le rimanenti autorità civili vengono invitate a restaurare l’ordine e a garantire sicurezza agli ospedali e al loro personale». Nell’ospedale al-Kindi, in cui lavoravano anche i volontari di Medici senza Frontiere, secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa, sarebbero stati rubati perfino i letti e sarebbe impossibile qualsiasi ulteriore attività.
A causa delle comunicazioni dirette praticamente impossibili non si hanno notizie recenti sull’attività dei 14 Centri di Caritas Iraq, sparsi intorno alle quattro principali città, dal nord al sud del Paese, né degli 8 piccoli ospedali dotati di attrezzature sanitarie, ossigeno, medicinali e beni di pronto consumo. Un team di emergenza era comunque da giorni pronto per entrare nel Paese ma la sede della Caritas di Amman non è stata raggiungibile al telefono in queste ultime ore per i relativi aggiornamenti.
Nonostante il grande impegno di organismi umanitari internazionali e di organizzazioni non governative, è molto difficile tracciare una mappa precisa ed esauriente di tutte le iniziative in corso anche perché non sempre riescono purtroppo a raggiungere l’obiettivo. Particolarmente significativo appare l’ultimo comunicato dell’organizzazione umanitaria Intersos che si era mossa con notevole anticipo ma che è stata costretta a scrivere: «E’ ormai impossibile far giungere a Baghdad qualsiasi convoglio recante soccorsi umanitari di primissima necessità, persino attraverso la Siria, da dove Intersos, insieme alla Mezza Luna Rossa siriana, aveva avviato martedì 8 una colonna di veicoli recante medicinali e materiali sanitari destinati all’Ospedale Pediatrico al-Mansour di Baghdad. Giunto alla frontiera con l’Iraq, dopo Abu Kamal, il convoglio è stato bloccato dalle autorità di frontiera irachene E’ del tutto chiaro, ormai, che solo le truppe statunitensi potrebbero definire e garantire dei corridoi umanitari che, dai vari Paesi limitrofi, consentano alle organizzazioni intergovernative (Onu e Unione Europea) e a quelle non governative di avviare e portare a buon fine i soccorsi che pure sono pronti e sono sempre più indispensabili. Per questo Intersos, insieme alle organizzazioni umanitarie di tutto il mondo, chiede che i comandi militari statunitensi assicurino immediatamente e senza alcun indugio tali corridoi, in modo da consentire agli operatori umanitari di alleviare quanto prima le sofferenze del popolo iracheno».