Italia
Nave Diciotti: Garante per i diritti dei detenuti, «condizioni inaccettabili, Italia a rischio sanzioni»
«E’ una situazione che mette anche l’Italia a rischio di una condanna in sede internazionale per trattamenti inumani»: così Daniela De Robert, capo delegazione della visita alla nave Diciotti del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà, racconta al Sir cosa ha visto ieri a bordo della nave della Guardia costiera con 150 migranti bloccata da quattro giorni al porto di Catania: «Dormono, mangiano, pregano, parlano, sperano e aspettano su un ponte, con due bagni per 150 persone. Non hanno un lavandino. Per farsi una doccia hanno dovuto improvvisare un sistema di tende. Per cui è una situazione di gravissimo disagio. Al di là della grandissima attenzione e dedizione e dispendio di energie del personale è una condizione oggettivamente inaccettabile».
Il Garante ha confermato «le preoccupazioni per i rischi di violazione di norme nazionali e sovranazionali» e inviato «una informativa su quanto riscontrato alle Procure di Agrigento e di Catania, che hanno aperto dei fascicoli relativamente alla vicenda Diciotti, per le loro opportune valutazioni».Per esigenze di trasparenza le lettere sono state pubblicate sul sito www.garantenpl.it .
Cosa avete visto a bordo della Diciotti?
«Abbiamo verificato e trovato quello che ci aspettavamo. Le persone vivono da nove giorni su una nave progettata per il soccorso in mare, costretta ad ospitare invece per giorni 150 persone. Persone già arrivate in condizione di fragilità fisica e psicologica, con denutrizione e disidratazione, tant’è che devono somministrare integratori. Dormono, mangiano, pregano, parlano, sperano e aspettano su un ponte, con due bagni per 150 persone. Non hanno un lavandino. Per farsi una doccia hanno dovuto improvvisare un sistema di tende. Per cui è una situazione di gravissimo disagio. Al di là della grandissima attenzione e dedizione e dispendio di energie del personale è una condizione oggettivamente inaccettabile. La sera dell’arrivo hanno chiesto candele per celebrare un culto cristiano, le hanno accese sul ponte per pregare. Cercano di andare incontro alle loro richieste ma è chiaro che una nave pensata per salvare e riportare a terra non può far vivere 150 persone a lungo sul ponte. Anche i medici e gli infermieri, che sono bravissimi, come fanno a debellare la scabbia su persone debilitate che vivono in promiscuità totale?»
Avete mandato due informative alle procure di Agrigento e Catania, che hanno già avviato indagini.
«Sì, per informarli di quello che abbiamo visto e mettere a disposizione del loro lavoro le nostre preoccupazioni, che purtroppo sono tutte confermate: abbiamo trovato persone private di fatto della libertà, senza un mandato dell’autorità giudiziaria, e questo non è ammesso né dalle leggi italiane, né dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E’ una situazione che mette anche l’Italia a rischio di una condanna in sede internazionale per trattamenti inumani. Al di là della grandissima disponibilità del comandante, dell’equipaggio, delle Ong, degli sforzi fatti, le persone cercano di ripararsi dal sole con un telone ma non basta. Ieri erano tranquilli ma non capivano perché sono in Italia e non possono scendere. Hanno ragione. Sono persone che vengono da storie devastanti. Un ragazzo aveva una mano ferita da un’arma da fuoco ma curata male, una ragazza di 20 anni è stata sei mesi in un campo libico. La maggioranza vengono da Paesi per cui possono chiedere protezione internazionale – Eritrea, Siria, Somalia – e non viene consentito loro di esercitare questo diritto. Il paradosso è che sono in Italia, non sono in mare».
Pensate ci siano gli estremi per un’azione penale?
Quindi ribadite il vostro appello a farli scendere con urgenza e a non usare forme di ricatto con l’Europa?
«Noi ribadiamo che non si possono mai usare le persone, anche per richieste legittime e sacrosante. Le persone sono dei fini e non dei mezzi. Bisogna che l’Europa qualcosa faccia, assuma i suoi impegni e li rispetti. Qui il problema non è decidere un caso, ma una politica di accoglienza comune. Decidere e portarla avanti. E una cosa del genere non si può fare sotto ricatto. Non c’è un motivo accettabile per tenerli a bordo. Facciamoli scendere, identifichiamoli, chi vuole potrà fare la procedura prevista, poi si deciderà chi può rimanere e chi no. L’Europa dovrà farsi carico di un problema che non è solo italiano, greco, spagnolo ma coinvolge tutti i Paesi, non può essere scaricato solo sulle frontiere europee. Non possiamo rimpallarci responsabilità solo tra Malta, Spagna, Grecia e Italia».
Quali saranno i vostri prossimi passi?
«Abbiamo ritenuto di rendere pubblici i nostri comunicati. Certo oggi i termini sembrano inasprirsi, piuttosto che andare verso una soluzione. E non serve una contrapposizione. Anche per ottenere la cosa più lecita non si possono mai usare le persone, devono essere sempre rispettate».