Cultura & Società
Naufragio della «Paganini», una tragedia dimenticata
di Ennio Cicali
Il 28 giugno 1940, diciotto giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, la motonave «Paganini» esplode al largo di Durazzo. A bordo del piroscafo, che può trasportare 58 passeggeri, oltre alle merci, vi sono oltre novecento soldati del diciannovesimo reggimento artiglieria e una sezione dell’Istituto geografico militare, entrambe di stanza a Firenze. Partiti due giorni prima per raggiungere Bari, al tramonto del 27 giugno si imbarcano sulla «Paganini» che al tramonto parte alla volta dell’Albania insieme a una nave cisterna, la «Pagano», scortati dal cacciatorpediniere «Fabrizi». Alle cinque di mattina, un’esplosione al centro della nave: le fiamme si levano subito altissime, grida, disperazione, panico.
In un mare di fuoco, i soccorsi sono difficili e scarsi, nonostante la vicinanza con la costa albanese. Secondo le indagini esperite dal tribunale di Tirana nel luglio 1940 l’incendio, scoppiato nella stiva n. 2 della motonave, è dovuto a sabotaggio. Le perdite umane sono gravissime, molti i soldati morti o dispersi, feriti e ustionati che hanno portato per tutta la vita i segni delle mutilazioni.
Per molti giorni non si hanno notizie, poi l’11 luglio i famigliari apprendono dai giornali della sorte dei loro cari. Il ministero della guerra invia alle famiglie le solite fredde parole di circostanza. I bollettini di guerra non parleranno mai dell’accaduto.
Il naufragio della «Paganini» è passato sotto silenzio, per quasi settant’anni non si è riusciti a sapere quasi niente. Cos’è accaduto veramente? Quanti sono i morti e i dispersi? Sono molti i misteri che hanno avvolto la fine della motonave che è costata la vita a oltre 219 soldati, secondo le fonti ufficiali, secondo altri la cifra complessiva sarebbe di 340 uomini, quasi tutti provenienti da molte zone della Toscana: Arezzo, Anghiari, Sansepolcro, Firenze, Calenzano, Greve in Chianti.
Fa da sfondo alla tragedia il pressapochismo e l’impreparazione che caratterizza l’entrata in guerra dell’Italia e la vicenda della «Paganini» ne è la riprova lampante: soldati, armi, muli, paglia e fieno, macchinari sono sistemati alla rinfusa nelle stive e ammassati in coperta, mancano le scialuppe di salvataggio e le vie di fuga non sono adeguate all’abbandono veloce della nave, i giubbotti di salvataggio non sono adeguati e molti non sanno usarli.
L’imbarco avviene nella confusione più totale: non ci sono elenchi, per anni questo particolare agevolerà le illusioni di molte famiglie. Addirittura, quattro soldati di Anghiari «fanno un salto a casa» a casa per salutare le famiglie, perderanno la nave a loro destinata, saliranno sulla «Paganini», per loro significa la morte. Un altro perde la nave per andare a comprare le sigarette, prenderà il piroscafo successivo, si salverà.
Un altro mistero avvolge la fine dei naufraghi della «Paganini»: quanti furono i morti, i dispersi, i mutilati? Incertezze e carenze burocratiche hanno alimentato per anni le speranze di chi non si rassegna alla fine dei loro cari. C’è poi il mistero dei grandi invalidi: feriti straziati, privati degli arti e della vista che sarebbero stati ospitati in alcuni istituti fiorentini. Circostanza, anche questa che avrebbe alimentato la speranza di alcune madri e mogli che per anni sono state alla ricerca dei loro cari.
La storiografia ufficiale si è dimenticata della «Paganini», rimasta invece nella memoria di molti. Ogni anno nella basilica della Santissima Annunziata a Firenze è celebrata una Messa in suffragio dei caduti. L’appuntamento si ripeterà anche quest’anno alle 12 di lunedì 28 giugno.