Vita Chiesa
Natale, vescovo Ciattini (Massa Marittima-Piombino): “Dobbiamo ripartire da Betlemme”
Ecco il testo integrale del messaggio
Carissimi fratelli e sorelle, mettiamoci in ascolto di un annunzio bello, santo ed eterno che reca consolazione e dona vigore ai viandanti sulle vie della storia, una storia fatta di gioie e speranze, tristezze e angosce. È l’annunzio dell’angelo ai pastori: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,10-12). È il segno del re della pace; è chiamata ad accogliere questo bambino nella nostra vita, a lasciarci illuminare dalla luce di Betlemme, se non addirittura a farci guarire da quella luce. Una luce che diviene collirio per poter vedere i falsi bagliori di un mondo che spesso inganna con i suoi lustrini e le sue false luci, le sue false promesse, i suoi tanti Mangiafuoco, le migliaia di poveri burattini, novelli Pinocchio, che hanno venduto quell’abbecedario che un Padre buono aveva loro donato, perché non fossero più analfabeti della vita. «E subito», continua l’evangelista Luca, «apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”» (2,13-14).
I nostri giorni hanno bisogno di pace, e solo quel Bambino adagiato in una mangiatoia può donarcela. Dobbiamo ripartire da Betlemme e passo dopo passo seguire il dipanarsi di una storia, che per noi cristiani è storia di salvezza. Spesso non capiamo, pensiamo sia tutto assurdo, ma avvertiamo che è ancora più assurdo illuderci di capire. La fatica generosa, spesso gratuita, di andare all’altro ogni giorno, di capirlo, di volergli bene ci permette di entrare nel mistero, di essere riscaldati e consolati, mentre ci allontaniamo dal nostro essere autosufficienti, dal nostro fare a meno dell’Altro e degli altri. E così troviamo la vera pace. Perché pacifici, e non per nessun’altra ragione o a nessun altro titolo, possederemo la terra, la custodiremo, mentre l’uomo che ci sta accanto ci sarà restituito non come avversario, ma come fratello. Come sono eloquenti le parole del drammaturgo inglese Thomas Stearns Eliot, che leggiamo nel suo lavoro Assassinio nella cattedrale: «Perché ogni volta che una messa vien detta noi facciamo rivivere la Passione e Morte di Nostro Signore; e in questo giorno di Natale […] noi celebriamo insieme la Nascita di Nostro Signore e la sua Passione e Morte sulla croce. […] Cristiani misteri che noi possiamo rattristarci e rallegrarci insieme, e per la stessa ragione. Ora pensate per un momento al significato della parola pace. […] Riflettete come parlò di pace il nostro Signore. Lui disse ai suoi discepoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Egli voleva dire pace come noi la intendiamo? Il regno di Inghilterra in pace con i suoi vicini, i baroni in pace con il re, e il capofamiglia che conta i suoi pacifici guadagni? […] Quegli uomini (i discepoli) partirono per viaggi lontani, per soffrire sulla terra e sul mare, per conoscere la tortura, la prigionia, la disillusione, per soffrire la morte con il martirio. […] Perciò Egli diede la pace ai suoi discepoli, ma non la pace come la dà il mondo» (T.S. Eliot, Assassinio nella cattedrale, Bur, Milano 2003, pp. 75-76).
Pace che nasce dall’esperienza della salvezza operata da Cristo sulla croce e che raggiunge ogni cristiano e ogni uomo a cui possiamo ripetere con le parole di Eliot: viaggiare lontano, soffrire sulla terra e sul mare, conoscere la tortura, la prigionia, la disillusione, addirittura di soffrire la morte col martirio. Carissimi, spesso il Divin Bambino è adagiato su un giaciglio fatto a forma di croce, altre volte è posto su un sarcofago, quasi ad esorcizzare una falsa gioia, a raccontarci la gioia vera, donata dall’alto seppur raccolta dalla terra. Quella terra che è Maria, la Dignitas terrae, come scrive sant’Agostino: «Felice te, Maria, perché ancor prima di dare alla luce il Cristo, hai accolto il Maestro, hai ascoltato la Parola di Dio e l’hai messa in pratica. […] Ti ha concesso la fecondità, ma non ti ha privato dell’integrità. Sei vergine, sei santa, sei dignità della terra».
Nessuno può più dire che la nostra fede è illusione, buonismo, che il nostro Natale può essere «consumato», piuttosto è un’occasione per l’uomo di rinascere, ripartire, ritornare rinnovato e gioioso alle occupazioni di ogni giorno, come i pastori che «se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (Lc 2,20). «Davvero la “grande gioia” annunciata stanotte ai pastori è “di tutto il popolo”. In quei pastori, che non erano certo dei santi, ci siamo anche noi, con le nostre fragilità e debolezze. Come chiamò loro, Dio chiama anche noi, perché ci ama. E, nelle notti della vita, a noi come a loro dice: “Non temete” (Lc 2,10). Coraggio, non smarrire la fiducia, non perdere la speranza, non pensare che amare sia tempo perso! Stanotte l’amore ha vinto il timore, una speranza nuova è apparsa, la luce gentile di Dio ha vinto le tenebre dell’arroganza umana. Umanità, Dio ti ama e per te si è fatto uomo, non sei più sola!» (Francesco, Omelia, Santa Messa nella notte, 19.12.2019). O Betlemme, città del Natale, dunque è ritornato il tempo in cui devi tu rallegrare di nuovo il mondo, il mondo universo. Quei che credono e quei che non vogliono battere la via angusta della croce, si trovano insieme, comunque, a Betlemme. […] O Bambino Gesù, sulla paglia del presepio fa’ tacere le voci del mondo. Non c’è luogo nel mondo dove abiterei più contento: portami via dai rischi e dalle cadute, dammi casa a Betlemme, presso di te, presso santa Maria. Jens Johannes Jørgensen, Betlemme Carissimi fratelli e sorelle, il mio augurio di un felice e santo Natale. Il Signore viene, andiamogli incontro.
+ Carlo, vescovo