Fu quello del Natale 1223, scaturito dal cuore e dalla mente di San Francesco, a Greccio, il primo presepe vivente della storia. In seguito, la rappresentazione plastica e visiva della nascita di Gesù, con tutti i personaggi descritti nella narrazione evangelica ed altri introdotti dall’inventiva popolare e dal folklore, è entrata nella storia e nella tradizione cristiana.La rappresentazione scenica della nascita di Gesù, così come la vediamo oggi nei presepi allestiti nelle chiese o nelle case, non è certo una verità di fede, ma non è nemmeno frutto di pura fantasia. Nel Vangelo di San Luca si parla esplicitamente di una mangiatoia dove Maria e Giuseppe, respinti da tutti gli alloggi perché non c’era posto (in quei giorni Betlemme pullulava di gente per il censimento ordinato da Cesare Augusto), deposero, avvolto in fasce, il bambino appena nato. Il termine «mangiatoia» ci autorizza a porre in una grotta, in una stalla o in una capanna il luogo del grande evento; mentre la presenza del bue e dell’asino, del tutto sconosciuta agli evangelisti, è desunta da antiche profezie di Isaia e di Abacuc, che vedono i due mansueti animali intenti a scaldare con il loro fiato il corpo del neonato Gesù. Di una vera e propria tradizione sul luogo in cui è nato Gesù si può parlare soltanto a partire dal IV secolo, soprattutto con San Girolamo che, nel 404, indicò in concreto, nel territorio di Betlemme, una grotta con una mangiatoia scavata nella roccia, sostanzialmente quella arrivata fino a noi. Ciò premesso, si può con certezza affermare che il presepe ebbe origine dalle rappresentazioni liturgiche che si tenevano in epoca medievale durante l’ufficio della notte di Natale.Quanto agli elementi che compongono il presepe, essi possono essere i più disparati, sia per il materiale (legno, terracotta, carta, ecc.), sia per la loro fissità o mobilità (c’è chi sega la legna, chi attinge l’acqua dal pozzo, chi esercita i mestieri della vita quotidiana), sia per le dimensioni (da statuine di pochi centimetri a quelle di grandezza naturale dell’uomo), sia per il numero dei pezzi (a Vienna esiste un presepio settecentesco affollato da ben 459 personaggi). Famosissimi i presepi di Santa Maria Maggiore a Roma, di Altamura, Putignano, Matera e, genere tutto particolare, i presepi napoletani.Ma anche da noi, nel cortonese, esiste una consolidata tradizione che colloca il presepe al centro delle feste natalizie: grandi o piccoli, fissi o in movimento, semplici o fantasiosi, fanno ormai parte della nostra cultura locale, rappresentano uno spaccato della nostra esperienza religiosa e, soprattutto, hanno in comune un messaggio da trasmettere: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio perché chi crede in lui abbia la vita eterna». È un messaggio essenziale, ma traboccante di significato. È la «bella notizia» che fa di un giorno qualsiasi un giorno di gioia e di esultanza per la Chiesa e per l’umanità. È il «vangelo della speranza» che trova splendida eco nella lettera enciclica di Benedetto XVI Spe salvi, l’annuncio di cui il mondo di oggi, così refrattario e desertificato, ha estremamente bisogno per scuotersi dal torpore e riprendere coscienza della presenza di Dio nella sua storia.Al di là dei modi con cui il presepio è rappresentato, a questo «vangelo» hanno certamente pensato e questo messaggio hanno voluto trasmettere i giovani e gli artisti che hanno costruito i nostri presepi: quello della Fratta, meccanizzato e movimentato da sofisticati meccanismi; quello di San Pietro a Cegliolo, con la rappresentazione plastica della campagna di Betlemme; quello della chiesa di San Filippo a Cortona con la natività incastonata negli angoli caratteristici della città; quello della cattedrale, incorniciato dalle famose tavole dell’Annunciazione del Beato Angelico e della Natività del Signorelli; quello delle Celle, che non rinuncia allo spirito di fresca spontaneità francescana; quello espressivo e statuario nella basilica di Santa Margherita; quello di Camucia, accurato nei dettagli e innovativo nel paesaggio; poi tutti gli altri, più semplici e tradizionali, ma non meno poetici e suggestivi, di tante chiese e di tante case di famiglie cristiane, che hanno voluto così rendere evidente una Presenza e una Speranza.E, fra tutti, da non perdere il presepe vivente di Pietraia, che, per il quindicesimo anno consecutivo, in un luogo di grande suggestione, ripropone scene e visioni del lavoro e della fatica umana di ogni giorno, perché chi osserva ricordi che un filo d’oro unisce il tempo liturgico del Natale alla virtù teologale della Speranza. Ma sulla scena, in primo piano, sempre il bambino Gesù, portatore in un messaggio di amore e di fraternità di cui questo mondo imbarbarito ha quanto mai bisogno.In questa atmosfera di festa e di luce, suona lontana e stonata la notizia delle ultime settimane: proibito nominare Gesù nelle rappresentazioni natalizie; sfrattato Gesù dal presepio. Un Natale senza Gesù? Sarebbe come coltivare uno splendido giardino senza fiori, organizzare una magnifica festa senza il festeggiato. di Benito Chiarabolli