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Napolitano, Discorso di insediamento
Pubblichiamo il testo integrale del discorso di insediamento rivolto il 15 maggio 2006 al Parlamento in seduta comune dall’11° presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.
Ma già nell’Assemblea Costituente si espresse – nello scegliere il modello della Repubblica parlamentare – la preoccupazione di “tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e di evitare le degenerazioni del parlamentarismo”. Quella questione rimase aperta e altre ne sono insorte in anni più recenti, anche sotto il profilo del ruolo dell’opposizione e del sistema delle garanzie, in rapporto ai mutamenti intervenuti nella legislazione elettorale.
In effetti non solo si è portata a compimento la più grande impresa di pace del secolo scorso nel cuore dell’Europa, non solo si è realizzato uno straordinario e duraturo avanzamento economico e sociale, civile e culturale nei paesi che si sono via via associati al progetto, ma si sono poste le radici di un irreversibile moto di avvicinamento e integrazione tra i popoli, le realtà produttive, i sistemi monetari, le culture, le società, i cittadini, i giovani delle nazioni europee.
Non potranno arrestare questo processo le difficoltà pur gravi incontrate dall’iter di ratifica del Trattato costituzionale: l’Italia – dopo che il suo governo e il suo Parlamento hanno tra i primi provveduto alla ratifica di quel Trattato – è fortemente interessata e impegnata a creare le condizioni per l’entrata in vigore di un testo di autentica rilevanza costituzionale.
Ci inducono a riflettere ma non potranno fermarci i fenomeni di disincanto e di incertezza indotti nelle opinioni pubbliche da un serio rallentamento della crescita dell’economia e del benessere, da un palese affanno nel far fronte sia alle sfide della competizione globale e del cambiamento di pesi e di equilibri nella realtà mondiale, sia alle stesse prove dell’allargamento dell’Unione. Di certo non esiste dinanzi a queste sfide alcuna alternativa al rilancio della costruzione europea.
L’Italia solo come parte attiva della costruzione di un più forte e dinamico soggetto europeo, e l’Europa solo attraverso l’unione delle sue forze e il potenziamento della sua capacità d’azione, potranno giuocare un ruolo effettivo, autonomo, peculiare nell’affermazione di un nuovo ordine internazionale di pace e di giustizia. Un ordine di pace nel quale possa espandersi la democrazia e prevalere la causa dei diritti umani, e insieme assicurarsi un governo dello sviluppo che contribuisca a scongiurare tensioni e rischi di guerra, e ponga un argine all’intollerabile, allarmante aggravarsi delle disuguaglianze a danno dei paesi più poveri, dei popoli colpiti da ogni flagello come quelli del continente africano.
Di qui passa anche qualsiasi politica per il Mezzogiorno, le cui regioni diventano un asse obbligato del rilancio complessivo dello sviluppo nazionale anche per la loro valenza strategica nella nuova grande prospettiva dei flussi di investimenti e di scambi tra l’area euromediterranea e l’Asia. Né occorre che io aggiunga altro a questo proposito, signori parlamentari e delegati regionali, per la profondità delle radici e delle esperienze politiche e di vita che mi legano al Mezzogiorno: non occorrono altre parole per affidarvi un auspicio così intimamente sentito.