Toscana

Muoversi in carrozzina, una lenta corsa a ostacoli

di Filippo PaoliProvare per credere, purtroppo. La difficoltà di muoversi a causa delle barriere architettoniche è una di quelle cose di cui si sente spesso parlare ma che si può capire solo se la si prova di persona. Così, in occasione dell’anno europeo delle persone con disabilità, abbiamo voluto provare cosa vuol dire avere problemi di mobilità facendo un «giro» in carrozzina nel centro di Prato; e sicuramente ne è valsa la pena.

Sembra impossibile ma fino a quando non si prova non ci si crede, non ci si può credere. Infatti la sensazione che abbiamo avuto durante il «giro» è quella di una gara ad ostacoli o, se preferite, uno slalom che richiede una notevole abilità per arrivare a destinazione. Appena seduti su una carrozzina il mondo intorno a noi cambia improvvisamente, tutto insieme. Strade familiari che vengono attraversate abitualmente con agilità (velocemente e distrattamente), diventano improvvisamente luoghi difficili da percorrere, pieni di insidie; infatti anche un tombino stradale mal pari può diventare una barriera insuperabile.

Spesso gli Enti pubblici (Comuni o Provincie) vengono accusati di essere poco sensibili a questi temi ad essi vengono chiesti interventi più efficaci; ma basterebbe un minimo di senso civico da parte di ognuno per risolvere tanti piccoli problemi che nella vita quotidiana si presentano alle persone disabili (o, meglio, «portatori di un’abilità differente» come disse il Papa in occasione del Giubileo dei disabili). Le macchine parcheggiate sui marciapiedi, infatti, ci hanno spesso obbligato a scendere e stare sulla strada con le automobili che sfrecciano a pochi centimetri (con il naso, fra l’altro, a portata di tubo di scappamento). Anche i proprietari di cani dovrebbero stare attenti a dove le loro amate bestioline lasciano «le loro tracce»…. Basterebbe davvero poco perché qualcosa potesse cambiare nella vita di tutti giorni delle persone disabili. Altra nota dolente sono le chiese e i Palazzi (spesso sede di mostre o di istituzioni) in gran parte collocati nel centro (a Prato come anche nelle altre città). Essendo stati realizzati questi edifici nei secoli passati (nei quali venivano erette le barriere che oggi si cerca di abbattere), è necessario ora intervenire per renderli accessibili a tutti. Così sulle scale di ingresso vengono collocate delle pedane anche elettriche (come quella dell’ufficio anagrafe che però per essere messa in funzione è necessario che qualcuno da dentro veda la persona disabile fuori che aspetta…). Per collocare queste pedane è necessario che la Soprintendenza conceda un permesso per il quale sono necessari talvolta anche degli anni.

Al Castello dell’Imperatore che sorge nel centro di Prato una lunga scalinata (nella foto) non lascia speranza a chi ha un minimo di problemi di deambulazione. Dal Comune fanno sapere che è allo studio una soluzione per renderlo pienamente accessibile; nel frattempo, l’edificio che costituisce l’unico esempio nell’Italia centro-settentrionale di architettura Sveva dell’epoca di Federico II rimane inaccessibile.

Nel «giro» che abbiamo fatto ci siamo accorti che una città a misura di disabile sarebbe una città più vivibile per tutti; infatti analoga esperienza è fatta quotidianamente da madri con figli piccoli in passeggino (ma almeno i figli crescono…) o da chiunque si trovi in una situazione di disabilità momentanea. Infatti basta rompersi una gamba per rendersi conto che andare una sera in pizzeria o al cinema può diventare un’impresa a causa delle famigerate barriere. A tal proposito Emanuela Bruscia, assessore del Comune di Prato che ha la delega alle politiche per l’eliminazione delle barriere architettoniche e che vive in prime persona una situazione di disabilità, ci ha detto che «se non riesco a muovermi in un ambiente con facilità è perché è handicappato l’ambiente, non io».

Il punto sulla politica regionaleÈ l’anno europeo della disabilità, un’occasione per fare il punto anche sulla politica regionale in materia. Al proposito, un gruppo di lavoro del Consiglio regionale sta effettuando un’indagine conoscitiva sulle condizioni di vita dei disabili in Toscana. Le audizioni sono partite martedì scorso con i dirigenti della Regione che si occupano, a vario titolo, della disabilità: dal lavoro alla formazione, all’impiego degli stanziamenti previsti dal Fondo sociale europeo. Il gruppo, composto da consiglieri regionali dei vari schieramenti, dovrà tracciare entro un anno il quadro aggiornato della situazione e dell’applicazione delle normative sui disabili, e di proporre miglioramenti e adeguamenti.

Intanto, all’assessorato alle politiche sociali, di cui è titolare il vicepresidente della Giunta regionale, Angelo Passaleva, si lavora in questo momento su più fronti. Oltre che all’ordinaria amministrazione, che significa una serie di azioni tracciate dal Piano integrato sociale regionale (Pisr), si lavora all’organizzazione della Conferenza regionale sulla disabilità in programma a fine novembre e ad una serie di azioni specifiche collegate all’anno europeo, a partire dall’ipotesi di una revisione organica della normativa che riguarda la disabilità per arrivare ad un testo unico. Ma si lavora anche all’ipotesi di sperimentazione in Toscana del progetto di «vita indipendente», applicato soprattutto nei Paesi del nord Europa e che significa da parte dello Stato offrire risposte economiche anziché servizi. Particolari risorse saranno destinate al tema specifico del «dopo di noi», ovvero al caso di genitori e parenti che hanno tenuto o tengono il disabile in famiglia e che si preoccupano di quando «non ci saranno più». Sul piano pratico significa identificare le risorse per sostenere iniziative e progetti per strutture residenziali o case-famiglia.

Tra le questioni di fondo c’è anche l’accesso all’informazione per il quale l’assessorato alle politiche sociali sta pensando a siti internet per disabili sensoriali ed altre forme di informazione per disabili visivi. A quest’ultimo proposito, merita segnalare un’iniziativa lanciata a Pistoia, che pur non coinvolgendo direttamente la Regione, interessa Provincia, Comune e Diocesi di Pistoia ed altre istituzioni come l’Università di Firenze e la Fondazione Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia. Si tratta del Museo tattile, che consiste nella realizzazione di una serie di modelli tattili, anche scomponibili, per non vedenti, di alcuni monumenti di Pistoia.A.F. La testimonianza: io, disabile chiedo a tutti «bon ton»di Angela VaccaroLa mia esperienza di quarantacinquenne disabile suggerisce una riflessione: l’inserimento del bambino, del ragazzo, dell’adulto disabile, ben inserito nell’ambito della famiglia, sarà più facilitato nel contesto della vita sociale rispetto ad una persona con handicap non accettata dai familiari. Questa, per integrarsi in qualunque ambito, avrà una serie di enormi difficoltà. Posso affermare con certezza che un cittadino con difficoltà psicomotorie, un cittadino con un deficit mentale ha la subitanea percezione del pregiudizio mascherato da un’apparente accettazione.I genitori unitamente alle sorelle, ai fratelli del disabile sono infastiditi da continue diffidenze, da continui sguardi indiscreti, sono pressati da innumerevoli domande: «Perché, come mai una bella ragazzina è nata così? È intelligente? Sa leggere? Legge con interesse?». La famiglia, insieme a coloro che sviluppano una relazione di amicizia, di affetto, di studio, di lavoro con la persona handicappata, sa reagire alla fastidiosa curiosità, ma contemporaneamente subisce, fortunatamente non sempre, un retroterra di ignoranza. La parola (usata con il suo vero significato: «colui che non sa, colui che non vuole rendersi conto di un determinato problema») usata con leggerezza esula da «un educato bon ton per handicappati». Il retroterra di ignoranza vuole il ragazzo con difficoltà legato al concetto di triste-innocente, di poca intelligenza, di persona eternamente fanciulla/fanciullo innocente e analfabeta. Una buona educazione etica sta proprio nel dare sia all’uomo che alla donna con handicap gli strumenti per non essere analfabeta nella vita.La buona creanza dovrebbe istituire delle regole corrette per razionalizzare quanti simboli di analfabetismo esistono sia nella quotidianità che nella geografia dei siti urbani. L’oggettistica elettronica, dal bancomat alla carta di credito, al cellulare, è costruita solo per chi può liberamente usare le mani. Il non rispetto delle difficoltà psicomotorie si può constatare dall’evidente diseducazione architettonica: marciapiedi alti, strade disastrate, uffici con scale, scalette, ambulatori medici proibiti, inaccessibili, ascensori non a norma, posti handicap – con o senza numero del cartellino disabile – selvaggiamente occupati, multe ai conducenti di automobili che hanno un disabile a bordo e, non trovando un posto handicap libero, si trovano costretti a parcheggiare in luoghi non consoni. Un lui o una lei disabile non devono uscire dalle mura domestiche? Un rispettabile bon ton potrebbe stimolare la comprensione del movimento fisico e della parola. Un pianto, un sorriso, una stretta di mano, per chi non può esprimersi a voce, può essere un grido di dolore, di gioia, di amicizia. La verbalità, alcune volte non rispodente al volere della persona, non deve impedire di capire l’handicappato in ogni situazione. per i disabili, capaci di usare l’e-mail non devono esistere frasi del tipo: «Non ti capisco bene perciò scrivi qualcosa alla casella di posta Elettronica”. Trasmettere per e-mail è una libera scelta.La persona, con un handicap, se vuole essere capita deve costruirsi il proprio bon ton e ha l’obbligo di lavorare su una condizione complessa e reale. Accettare la propria normalità non significa rifugiarsi in se stessi, ma imparare a muoversi, arrabbiarsi, rallegrarsi nell’ambito dei propri progetti. Il rispetto dei doveri verso un disabile donna o uomo che sia, dovrebbe insegnare che la «falsa benevolenza» elude il problema dell’educazione verso il diverso e verso chi sente di condividere con lui la sua serenità, le sue preoccupazioni, le sue manie, le sue passioni, i suoi affetti il suo carico di vita.

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