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Mozambico, don Daldosso (fidei donum): “Gli sfollati ci raccontano fatti terribili”
Parla al Sir don Silvano Daldosso, missionario fidei donum della diocesi di Verona a Nacala, al confine con la provincia di Cabo Delgado in Mozambico, dove è in corso dal 2017 un sanguinoso conflitto interno
Alla missione di Cavà-Memba, in una zona confinante con la provincia di Cabo Delgado, nel nord-est del Mozambico, arrivano centinaia di migliaia di sfollati. Le notizie di drammi umani sono quotidiane. “La settimana scorsa sono venute in parrocchia donne e bambini, tutti affamati e senza un posto dove ripararsi, una di loro aveva partorito in strada durante la fuga. Un papà aveva appena seppellito il figlio. C’erano anche tre o quattro bambini soli, avevano perso i genitori durante il viaggio, non sapevano più se erano vivi o morti”. Don Silvano Daldosso, fidei donum della diocesi di Verona, da oltre 13 anni alla guida di 47 piccole comunità sparse in un territorio rurale di 100 km quadrati, nella diocesi di Nacala, sta aiutando da tempo gli sfollati in fuga dagli attacchi di gruppi jihadisti nel nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, dove è in corso un durissimo conflitto dal 2017. Nei giorni scorsi se ne è parlato – stranamente – anche in Italia sui media mainstream, dopo che Save the children ha raccontato di decapitazioni di bambini di 11 e 12 anni davanti alle madri, raccogliendo testimonianze tra gli sfollati. Si tratta di almeno 650.000 persone, intere famiglie con due o tre figli al seguito, fuggite verso la zona di Pemba, Niassa e Nampula. Nella diocesi di Nacala (provincia di Nampula) sono 25.000.
“Tutti ci raccontano fatti terribili – conferma don Silvano -. Abbiamo saputo delle decapitazioni dai giornali italiani.
Non dubito che questo succeda perché sterminano famiglie intere. A me dispiace che se ne parli solo in questi termini. Perché i bambini c’erano anche prima e ci sono ancora.
Purtroppo la nostra sensibilità europea ci spinge a reagire solo quando si tocca un bambino. Ma è dal 2017 che va avanti così e nessuno ha fatto niente. La situazione è molto complessa, bisogna capire cosa succede a livello di geopolitica, ci sono grandi interessi economici”.
La provincia di Cabo Delgado è ricchissima di giacimenti di gas e rubini, sulle quali hanno già messo le mani diverse multinazionali straniere. I gruppi fondamentalisti, oltre a reclamare la sharia, rivendicano il possesso delle ricchezze della zona. La popolazione è tra le più povere del Mozambico, con alti tassi di analfabetismo, malnutrizione infantile, scarsità di servizi sociali e sanitari. I miliziani jihadisti attaccano i villaggi, uccidono i civili e si scontrano con l’esercito locale per occupare infrastrutture strategiche, come il porto di Mocimboa da Praia e gli impianti estrattivi. In tre anni sono state uccise almeno 2.500 persone. La decapitazione è una prassi consueta. Ma anche le forze governative si sono macchiate di crimini orribili.
Cabo Delgado è in mano ai fondamentalisti. La popolazione è fuggita e il flusso di persone verso sud continua ininterrotto. “Ora Cabo Delgado è totalmente deserta e in mano ai fondamentalisti – spiega il missionario -. La situazione non sta migliorando, sembra siano ripresi gli attacchi. Ci sono cellule attive anche a Niassa e Nampula, probabilmente inizieranno attacchi anche in altre province. Al nord non si circola più liberamente, è una sorta di far west, non c’è sicurezza, non ci si può muovere. I lavoratori degli impianti di gas vengono portati in aereo dalla Tanzania all’aeroporto di Palma”.
Gli aiuti umanitari. La missione di Cavà-Memba aderisce ad una piattaforma di organizzazioni umanitarie che collaborano e si coordinano negli aiuti agli sfollati. Della Caritas diocesana di Nacala si occupa la lodigiana Elena Gaboardi, laica fidei donum. Al cibo pensava il World food programme delle Nazioni Unite perciò ad inizio anno hanno iniziato la distribuzioni di sementi e materiale per l’agricoltura. A marzo hanno invece dovuto riprendere la distribuzione di alimenti perché “quest’anno ha piovuto pochissimo e si rischia una carestia enorme, con l’aumento della fame e della malnutrizione”.
In barca a vela dagli sfollati. Per raggiungere gli sfollati nelle zone più isolate il 21 marzo e il 1° aprile due team della missione hanno perciò organizzato due spedizioni via mare in barca a vela, da Nacala fino al fiume Lurio, al confine di Cabo Delgado. Hanno preparato kit alimentari per 550 famiglie. Ognuno contiene 30 kg di farina, 10 kg di fagioli, 5 litri di olio e zucchero. Ogni viaggio può durare dai 2 ai 4 giorni, a seconda del vento. “Via terra non è possibile, le strade sono interrotte, c’è troppo fango”, precisa il missionario.
La popolazione di Cabo Delgado è sempre più in difficoltà e sempre più sola. Fino a qualche mese fa un coraggioso vescovo brasiliano, mons. Luis Fernando Lisboa, non si stancava di denunciare la situazione a livello internazionale. Nonostante ricevesse minacce non aveva paura di restare. L’11 febbraio di quest’anno è stato nominato arcivescovo in Brasile, nella diocesi di Cachoeiro de Itapemirim. Ora l’amministratore apostolico di Pemba è un vescovo mozambicano, mons. António Juliasse Ferreira Sandramo.
Il governo dice che la situazione è sotto controllo e finora ha rifiutato il sostegno di altri eserciti. In passato ha ingaggiato mercenari russi e sudafricani ma con scarsi risultati. Una settimana fa il Sudafrica ha donato al Mozambico nuovi elicotteri militari. Giorni fa i funzionari dell’ambasciata americana hanno però annunciato che addestreranno i soldati locali e forniranno “attrezzature mediche e di comunicazione”.
Tutto ciò è aggravato da una impennata dei casi di Covid-19 (come documentato in un video di Medici con l’Africa-Cuamm), ovviamente sottostimati perché i test si fanno solo nella capitale Maputo. “Ma il virus è anche da noi – dice don Silvano -. Tanti raffreddori strani, persone che non sentono odori e non hanno il gusto”. Il governo in questo anno di pandemia ha portato avanti una strategia di aperture e chiusure. In questi giorni hanno riaperto le scuole. Solo le chiese e le cappelle rimangono chiuse, le celebrazioni sono proibite: “Siamo fermi da un paio di mesi, io celebro tutti i giorni in casa. La domenica solo con poche famiglie”.