Il cuore di Lorenzo si è fermato in una spianata alla periferia di Arezzo, fra le tende di quello che era il campeggio di “Arezzo Wave”. Un accampamento vicino ai Pratacci che la famiglia del ragazzo ha definito “un posto assurdo dove non vivrebbero neppure i cani”.Così il “festival dell’amore” che, secondo qualcuno, sta portando il buon nome della città in giro per l’Italia si è trasformato in un obitorio a cielo aperto. E’ accaduto a poche ore da un altro episodio che fa riflettere: le bestemmie urlate sul palco della manifestazione da un gruppo russo. Era il ritornello della loro canzone: improperi contro la Vergine, nella città che il 15 febbraio di ogni anno si inginocchia in massa ai piedi della Madonna del Conforto ma che non si indigna quando il nome di Maria viene associato a vocaboli ripugnanti. Morte e bestemmie. C’è chi sosterrà che si è trattato soltanto di coincidenze. Ma forse non è vero. Quando la mancanza di punti di riferimento e di ideali si porta dietro un vuoto esistenziale che può essere riempito da tutto e il contrario di tutto, perdono di valore sia la vita sia le parole. Un ragazzo può morire d’asma senza che nessuno si accorga che sta male; e davanti ad un microfono possono essere pronunciate frasi che feriscono il sentire comune.E allora è bene ripensare al futuro del “love festival”. Non può essere una baraccopoli ad accogliere i giovani ospiti che arrivano in città. Non possono essere trascurati i controlli da parte delle istituzioni che servono ad evitare tragedie o a scongiurare che Arezzo diventi un porto franco per la droga. E non può far finta di non vedere neppure la comunità ecclesiale: anche la Chiesa aretina deve essere accanto ai ragazzi del festival. C’è bisogno di una pastorale targata “Arezzo Wave” che veda impegnate parrocchie, movimenti, associazioni, realtà giovanili e che sia in grado di essere attenta a chi è fragile e di proporre in mezzo alla musica a tutto volume un messaggio aperto alla speranza.