Lettere in redazione
Morire per sport, una tragica lezione
Siamo i genitori di Luca Stefanini, il ragazzo che morì improvvisamente, lo scorso primo febbraio, a causa di un malore, durante una partita di calcetto. Il nostro dolore non si può descrivere e infatti non tenteremo di farlo. Luca era un ragazzo sportivo. Nuotatore agonistico, era stato diverse volte ai primi posti nei campionati nazionali. Nel 2003 lasciò il nuoto dedicandosi al calcio amatoriale. Un episodio di dispnea, ripetutosi due volte durante gli allenamenti, nel febbraio 2004, ci spinse a consultare vari medici specialisti di Livorno e Pisa. Nessuno adombrò neanche la possibilità che Luca avesse potuto soffrire della patologia che poi lo ha portato alla morte. Tutti ci tranquillizzarono sulle condizioni del nostro ragazzo. Tutti tranne un noto cardiologo livornese che diagnosticò erroneamente una sindrome del Q.T. lungo che, a suo giudizio, avrebbe potuto essere molto pericolosa. Tuttavia, sia i medici dell’UTIC di Livorno, sia quelli del CNR di Pisa, smentirono nel modo più assoluto la diagnosi del Q.T. lungo.
La sera del 21 agosto 2004, nostro figlio ebbe ancora un malore. Portato all’UTIC gli fu detto e ci fu detto che non si trattava di problemi cardiocircolatori. Il 24 gennaio sottoposto alla visita annuale del medico sportivo, Luca fu dichiarato idoneo. Il 16 febbraio si recò ancora, per un controllo, al CNR di Pisa : nuovo ECG, nessuna terapia, ma solo il consiglio di ripetere l’esame l’anno seguente.
Questo è il quadro. Noi, i genitori, preoccupati per i malori che avevano colpito Luca, ricevevamo nel complesso la risposta di non preoccuparsi, di non essere troppo ansiosi, etc. Soprattutto, nessuno fu in grado di avanzare, nemmeno come ipotesi, la possibilità che nostro figlio avesse qualche malformazione che con gli strumenti di cui sono dotati cliniche e ambulatori del nostro circondario non poteva essere scoperta. Soltanto dopo l’autopsia ottenemmo una diagnosi diversa: «Cardiopatia aritmogena del ventricolo destro, documentata istologicamente da atrofia fibroadiposa miocardica».
Tormentati dall’idea di non aver fatto il massimo per nostro figlio quando ancora era in vita, ci siamo recati a Pavia, al Policlinico San Matteo, dipartimento di cardiologia, ambulatorio di cardiopatie aritmogene ereditarie. Il professor Schwartz, che dirige l’ambulatorio, esaminati tutti gli esami elettrocardiografici di Luca, ha escluso la concomitanza di una sindrome Q.T. lungo. Ma la cosa veramente grave, sulla quale vogliamo richiamare l’attenzione, è che, data la possibile ereditarietà della sindrome che ha ucciso il nostro ragazzo, il Professore ha disposto perché ci sottoponessimo, noi familiari (padre, madre e sorella di Luca) ad approfondimento diagnostico. Tra i vari esami c’era anche la risonanza magnetica cardiaca, alla quale nessuno, né a Livorno, né a Pisa aveva indirizzato nostro figlio. L’importanza di questo tipo di esame ci è stata confermata anche a Padova, dove il Direttore di Anatomia patologica è apparso visibilmente contrariato dal fatto che dei medici, in presenza di due episodi di dispnea e di una sincope non avessero ritenuto opportuno prescrivere nuovi accertamenti diagnostici.
Con una risonanza magnetica nostro figlio poteva essere salvato!
Non è nostra intenzione alimentare nessuna polemica. Se questa lettera sarà pubblicata, noi speriamo solo che venga letta dal massimo numero di ragazzi e di genitori. A tutti diciamo: se si manifestano dei malesseri nel corso delle attività sportive, non sottovalutateli. Ricordatevi di non fermarvi a quello che vi dicono i medici di «casa vostra».