Vita Chiesa
Monsignor Franzelli: L’Africa chiede speranza
di Giampaolo Donati
Africa speranza dell’umanità. Ci vuole davvero una grande fede per credere a questa affermazione, riferita a quello che a tutti sembra un continente dimenticato dalla storia. Ma a crederci fermamente è uno che l’Africa la conosce bene, monsignor Giuseppe Franzelli (nella foto), bresciano di origine, attualmente vescovo di Lyra in Uganda, che è vissuto nel continente nero per quasi venti anni.
Lo abbiamo incontrato a Livorno, dove ha ricevuto il premio «Pacem in Terris» istituito dalla Diocesi come riconoscimento a persone e istituzioni che, a diverso titolo, hanno contribuito alla costruzione della pace nel mondo. Monsignor Franzelli infatti ha collaborato attivamente per favorire le trattative di pace in Nord Uganda fra il governo e i ribelli che, in una delle tante guerre civili «dimenticate», insanguinano da anni il paese e ha provocato decine di migliaia di morti e oltre 600.000 sfollati in campi profughi.
L’Uganda è attualmente sconvolta da una guerra civile che dura da più di venti anni: come è nata e quali sono le fazioni in lotta?
«Come è nata è molto complesso spiegarlo: ad ogni modo, i ribelli sono raggruppati nel Lord Resistance Army, l’Esercito di Resistenza del Signore, che vorrebbe imporre come legge dello Stato i dieci comandamenti della Bibbia. Raggruppa soprattutto esponenti delle etnie del Nord del paese, mentre l’attuale presidente Museveni proviene dal Sud».
Questa coloritura religiosa alla ribellione è spia della presenza di un integralismo cristiano all’interno del paese?
«In realtà si tratta di una coloritura religiosa molto di facciata, anche perché questi guerriglieri, fra i comandamenti che vorrebbero imporre, dimenticano il quinto, dato che si tratta di una delle più sanguinarie guerriglie che esistano, con stupri, uccisioni in massa di civili, mutilazioni, e soprattutto rapimenti di bambini per farne soldati. Proprio a causa di questa violenza oggi il movimento raccoglie pochi consensi fra la popolazione. I guerriglieri sono in realtà poche migliaia, e la guerra sarebbe già finita da tempo, se ci fosse una vera volontà di fare la pace».
E chi è che non la vuole fare, la pace?
«Tutti coloro che hanno interessi in gioco nell’attuale situazione: dai mercanti di armi a coloro che gestiscono i campi profughi e gli aiuti umanitari che vengono dall’estero: la guerra, si sa, è anche e soprattutto un grande business».
Lei riceve oggi un premio per il suo impegno a favore della pace. La Chiesa cattolica che ruolo ha nel tentativo di risolvere la crisi?
«La Chiesa cattolica è oggi la religione di maggioranza relativa nel paese, con circa il 40% della popolazione. In questa sua posizione, la Chiesa, con molti vescovi ed esponenti ecclesiastici, ha cercato di promuovere incontri e conferenze di pace per porre fine alla guerra civile. Qualche anno fa, siamo anche arrivati ad un passo dalla firma di un trattato, ma alla fine i tutti i tentativi sono rimasti frustrati da chi, all’interno del governo, non aveva interesse alla conclusione del conflitto».
Parlando più in generale, spesso la Chiesa oggi viene vista da molti come troppo «eurocentrica», interessata più ai problemi morali dell’Occidente ricco piuttosto che ai problemi sociali del Sud del mondo: lei che cosa ne pensa?
«Io credo che la Chiesa sia come una grande famiglia, al cui interno ognuno si impegna nei diversi ambiti della vita. Io vedo molte persone che all’interno della Chiesa si occupano dei problemi del Sud del mondo. Quello che piuttosto io percepisco nella Chiesa, dei paesi ricchi, è un orizzonte mentale ristretto, la mancanza di senso delle proporzioni nel valutare la gravità dei problemi. Tutte le volte che vengo in Italia sento dire che siamo in crisi, ma se l’Italia è in crisi, allora l’Uganda che cosa è?»
L’Africa è considerata da tutti un continente dimenticato. Colonizzata, depredata delle sue ricchezze, ora decimata nella sua popolazione dalla piaga dell’Aids lei che ci vive, monsignore, che futuro vede per questo continente?
«Il papa, in modo quasi sorprendente e paradossale, qualche tempo fa disse che l’Africa è la speranza della Chiesa. Io credo a questa affermazione perché, al di là delle tragedie che sono le uniche che arrivano sui nostri mass media, vedo molte persone che si impegnano nella giusta direzione. E in questo senso credo che lo sviluppo dell’Africa sarà un grande dono anche per noi».