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Mons. Tauran: La guerra all’Iraq sarebbe un crimine

"Una guerra di aggressione costituirebbe un crimine contro la pace", e "solo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe decidere" che la posizione dell'Iraq "costituisce una minaccia per la pace". A sintetizzare in questi termini l'atteggiamento vaticano sulla crisi Usa-Iraq è stato mons. Jean Louis Tauran, segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, nel corso di un incontro svoltosi a Roma. Quella della Santa Sede, ha detto Tauran, è una posizione "ben lontana da compromessi politici o interessi da salvaguardare": la "scelta" che "ognuno di noi" deve compiere, oggi,è quella "tra la legge della forza e la forza della legge". Intanto, sabato scorso (22 febbraio) il Papa ha ricevuto in udienza il primo ministro britannico, Tony Blair.Giovanni Paolo II: il 5 marzo, giornata di preghiera e digiuno per la pace Il nostro no alla guerra è un no convinto e motivato (di Alberto Migone)Un fermo no alla guerra all'Iraq. Il testo del messaggio dei vescovi toscaniL'arcivescovo di Baghdad: La visita di Etchegaray è un segno forte per noiI costi della guerra (di Romanello Cantini)Iraq, parla Warduni, il vescovo ausiliare di BaghdadMartini, la Toscana è con il PapaLa Carta dell'OnuOnu-Iraq, la risoluzione sul disarmoVai al sondaggio

di M.Michela Nicolais “Una guerra di aggressione costituirebbe un crimine contro la pace”, e “solo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe decidere” che la posizione dell’Iraq “costituisce una minaccia per la pace”. A sintetizzare in questi termini l’atteggiamento vaticano sulla crisi Usa-Iraq è stato (il 24 febbraio) mons. Jean Louis Tauran, segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, nel corso di un incontro svoltosi a Roma all’Idi (Istituto dermopatico dell’Immacolata), per iniziativa della Provincia italiana della Congregazione dei Figli dell’Immacolata concezione. Quella della Santa Sede, ha detto Tauran, è una posizione “ben lontana da compromessi politici o interessi da salvaguardare”: la “scelta” che “ognuno di noi” deve compiere, oggi,è quella “tra la legge della forza e la forza della legge”.

Intanto, sabato scorso (22 febbraio) il Papa ha ricevuto in udienza il primo ministro britannico, Tony Blair. Nel corso del colloquio – ha riferito ai giornalisti il direttore della sala stampa vaticana, Joaquin Navarro Valls – “si è ribadita la necessità che tutte le parti interessate nella nota crisi irachena possano collaborare con l’Organizzazione delle Nazioni Unite e sappiano adoperare le risorse offerte dal diritto internazionale, per scongiurare la tragedia di una guerra che da più parti si reputa ancora evitabile. Speciale attenzione è stata data alla situazione umanitaria del popolo iracheno, già tanto duramente provato da lunghi anni di embargo”.

La guerra è “un crimine”, più “rispetto” per l’Onu. “Il diritto internazionale – ha detto Tauran – non conosce il concetto di un ‘nuovo ordine mondiale’, che permetterebbe il ricorso unilaterale alla forza da parte di alcuni Stati” per il rispetto delle regole di convivenza pacifica tra i popoli. “Il diritto internazionale – ha poi aggiunto facendo riferimento all’articolo 2, paragrafo 4, della “Carta” dell’Onu – ha messo fuori legge la guerra”, stabilendo che “la minaccia o l’uso della forza sono proibiti”, e richiamando gli Stati membri al “dovere” di “risolvere pacificamente i loro conflitti”. “Una guerra di aggressione – ha spiegato il “ministro degli esteri” vaticano – costituirebbe una minaccia contro la pace”, visto che “la legittima difesa presuppone l’esistenza di un’azione armata previa”. Il Consiglio di sicurezza, per l’esponente vaticano, “ha la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza. Nessuna regola del diritto internazionale autorizza uno o più Stati a ricorrere unilateralmente all’uso della forza per cambiare il regime di uno Stato, magari perché possiede armi di distruzione di massa. Solo il Consiglio di sicurezza – ha puntualizzato Tauran – potrebbe decidere” che la posizione dell’Iraq “costituisce una minaccia per la pace. Ma ciò non significa – ha precisato subito dopo – che l’uso della forza sia l’unica risposta adeguata o possibile”.

Tracciando un profilo generale della crisi irachena, Tauran ha sottolineato: “Per la Santa Sede tutto va intrapreso e deciso nel contesto delle organizzazioni delle Nazioni Unite. Vanno sfruttate, prima di tutto, tutte le risorse del diritto internazionale, e ponderate le conseguenze che un intervento armato avrebbe sulla popolazione civile. Senza dimenticare, poi, le prevedibili reazioni dei Paesi di quell’area, che per solidarietà con l’Iraq potrebbero assumere degli atteggiamenti estremi”. Nello stesso tempo, Tauran ha messo in evidenza le “responsabilità” dell’Iraq “di regolare la propria azione politica secondo il codice di condotta che impone loro l’appartenenza alla comunità delle nazioni”. Riguardo ad una eventuale “missione” della Santa Sede a Washington, Tauran ha risposto: “Ancora no, non è all’ordine del giorno”. E sui “venti di guerra”, ha commentato: “Ci sono ancora spiragli di speranza e di azione”.

Le “umiliazione” dei cattolici iracheni. A testimoniare il “grande dolore” della comunità cattolica in Iraq è stato mons. Michael Al-Jamil, procuratore dei siro-cattolici iracheni presso la Santa Sede, da 5 anni a Roma. Una comunità, quella che Al-Jamil rappresenta (80 mila fedeli), “tra due fuochi”, che “soffre molto non solo per l’embargo, ma anche per le umiliazioni” a cui è sottoposta. Di qui l’appello alla Chiesa d’Occidente “affinché sostenga la cultura e i valori cristiani, e in particolare le loro radici”, dando così il proprio “sostegno” anche ai cristiani d’Oriente. Proprio come fa il Papa: “I cattolici in Iraq – ha detto Jamil – sanno che quella del Pontefice, e del Vangelo, è la sola voce di giustizia e di amore. Mentre i nostri capi non possono parlare, o non parlano abbastanza, contro la guerra, il Papa è la voce della cristianità, che sta facendo di tutto per la pace”.

Riguardo ad un ipotetico viaggio del Papa a Baghdad, ventilato in questi giorni a più riprese da alcuni organi di stampa, Al-Jamil ha commentato: “La situazione è troppo complicata, non posso esprimermi a riguardo. In tempi più calmi forse si farà, il Santo Padre ha espresso già diverse volte questo desiderio…”. A proposito di un eventuale esilio, “forzato” o meno, di Saddam Hussein, Al-Jamil ha esclamato: “Tutto può essere, ma la situazione è grave, e dietro ci sono interessi politici molti più grandi”. C’è ancora la possibilità, quindi, di scongiurare una guerra? “Non abbiamo perso tutte le speranze”, ha risposto il rappresentante dei siro-cattolici”.

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