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Mons. Migliavacca: in cammino per una Chiesa aperta
All’inizio del nuovo anno pastorale e in vista del convegno diocesano del 27 settembre, intervista al vescovo Andrea Migliavacca per fare un bilancio del primo anno alla guida della Chiesa aretina e per tracciare alcune delle priorità per il prossimo futuro
Molti di noi hanno ancora negli occhi (e nei cuori) i tanti bei momenti di Chiesa vissuti in estate, dai campi estivi con i ragazzi, ai pellegrinaggi, passando per incontri, testimonianze, attività ricreative, catechesi… Adesso si tratta di riprendere il filo del discorso là dove lo avevamo lasciato prima della pausa estiva e ripartire con slancio. L’inizio del nuovo anno pastorale viene ufficialmente inaugurato venerdì 27 settembre con il convegno diocesano che si svolgerà tra la Cattedrale, il Seminario e San Domenico. Abbiamo approfittato di questa occasione per porre alcune domande al vescovo Andrea.
Il 27 settembre si svolge il nuovo convegno che apre l’anno pastorale. Qual è lo spirito che anima questo momento diocesano?
«Abbiamo bisogno di segni che aiutino ciascuno di noi a riconoscersi come parte di una comunità, come Chiesa che cammina insieme e che condivide. Il convegno è poi l’occasione per presentare il tema di quest’anno, individuare alcune priorità ed è anche un’importante occasione di partecipazione per tutti i fedeli, siano essi laici, religiosi, preti o diaconi, perché nella condivisione, nei lavori di gruppo, nella preghiera comune, ci sia la possibilità di condividere la propria esperienza».
Come sarà articolato il convegno?
«Il convegno si aprirà con un momento di preghiera in Cattedrale alle 18 con alcune testimonianze, incontri tra giovani e una riflessione biblica a cura di suor Francesca Pratillo fsp. Poi ci recheremo in Seminario per dei lavori di gruppo, dove sarà possibile, nello stile sinodale, rispondere ad alcune domande. Successivamente, dopo la condivisione della cena, ci sarà un momento a San Domenico, dove raccoglieremo il frutto dei lavori di gruppo e io offrirò una riflessione conclusiva con la presentazione e consegna della mia prima Lettera Pastorale alla diocesi»
Ci può anticipare qualcosa?
«È una Lettera Pastorale che come tema sottolinea l’importanza dell’incontrare e di crescere come Chiesa capace di incontrare. Nella Lettera si cerca di riflettere, con qualche accenno biblico, su esperienze che toccano questo tema, indicando alcune possibili azioni e priorità, sottolineando la centralità e la bellezza dell’incontro, sia fra le persone, che con il Signore e fra le varie realtà della nostra Chiesa».
Come mai è così importante l’incontro?
«Perché è una condizione per l’annuncio del Vangelo. È condizione per accogliere davvero ogni persona, per andare incontro anche a chi è di luoghi e pensieri diversi dai nostri, per essere una Chiesa accogliente e in uscita. Inoltre, ci sono due aspetti strettamente connessi all’incontrare. Da una parte il proseguimento del Cammino Sinodale delle Chiese in Italia, sicuramente partecipando alle assemblee sinodali nazionali con alcuni nostri rappresentanti, ma soprattutto crescendo come stile sinodale nella nostra Chiesa. Dall’altra, il Giubileo che vivremo nel 2025 che ci invita a essere “pellegrini di speranza”. Per esserlo, non possiamo non essere aperti all’incontro con l’altro e con Dio».
In relazione al Giubileo ci sono già delle idee su come lo vivrà la diocesi?
«Così come in tutte le diocesi ci sarà l’apertura nel weekend successivo a Natale. Ci sarà certamente il pellegrinaggio degli adolescenti il 25 aprile, quello dei giovani a fine luglio e ci sarà l’11 ottobre 2025 il pellegrinaggio diocesano a Roma insieme alle altre Chiese della Toscana. Oltre a questi primi punti fermi già stabiliti, il Giubileo offrirà molte occasioni di partecipazione che vedranno coinvolte le varie componenti della diocesi, oltre che numerosi momenti dedicati a categorie specifiche».
Nel corso del convegno verrà presentato anche il calendario diocesano. Potrebbe sembrare una cosa secondaria, come mai questa attenzione?
«Credo che sia importante poter offrire un cammino condiviso, strutturato e coordinato a livello diocesano. Chiedere alle varie realtà ecclesiali di predisporre un programma per tutto l’anno e poi di offrirlo alla diocesi dopo aver verificato possibili sovrapposizioni, aiuta tutti nel favorire la partecipazione, nel sapere che cosa si sta facendo e nella consapevolezza di un cammino comune».
Quali sono gli auspici all’inizio di questo anno pastorale?
«L’auspicio è che ci sia sempre più comunione e condivisione. In questo “cambiamento d’epoca”, come dice il Papa, dobbiamo ripensarci come Chiesa, a partire dalla presenza nel territorio, con una nuova articolazione di zone pastorali, vicariati e parrocchie. Altri aspetti che richiedono un impegno particolare sono la formazione, l’attenzione e promozione dei giovani e il crescere come comunità nella stima reciproca: tra preti, con i laici, tra gruppi e movimenti e tra parrocchie. Si tratta solo di alcuni esempi, potrebbero essercene anche altri».
Questo convegno pastorale è un importante giro di boa del suo episcopato in terra aretina. Segna la conclusione del primo anno pastorale con lei alla guida della diocesi e l’inizio del secondo. Quali sono le sue considerazioni in merito?
«In questo anno ho incontrato moltissime realtà e persone. Desidero ringraziare tutti per la calorosa accoglienza che mi è stata mostrata ogni volta. L’ho percepita in maniera netta e mi ha aiutato molto a inserirmi. È cresciuta in me la conoscenza delle realtà parrocchiali, dei preti, dei gruppi di laici, dei giovani, delle associazioni… è stato un anno importante, di comprensione e riflessione sulla vita diocesana. Poi sono partite le nuove responsabilità: il vicario generale, i delegati vescovili, il direttore della Caritas, gli incaricati delle zone… Sono partiti dei “cantieri”, per esempio quello sulla formazione, o quello sulla Chiesa nel territorio, dei processi, che devono proseguire nella progettualità e poi nella realizzazione. È un anno in cui ho goduto di tanti incontri belli. Li cito anche nella Lettera Pastorale: con i giovani, le famiglie, gli anziani, nelle case di riposo, in carcere… In questo anno ho imparato ad apprezzare le risorse, le capacità, le bellezze della nostra Chiesa locale e ho acquisito una maggiore consapevolezza anche delle criticità da affrontare. Infine, è cresciuto anche il dialogo con tutte le istituzioni che voglio ringraziare per lo spirito di collaborazione».
Un tema che ciclicamente solleva qualche malumore riguarda i trasferimenti dei parroci. Anche quest’anno poi, l’annuncio non è avvenuto nella giornata di san Donato, ma in «normali» domeniche. Qual è il modus operandi che intende assumere su questo aspetto?
«I trasferimenti dei preti e dei parroci sono uno dei momenti normali e ordinari nella vita della Chiesa, avvengono ciclicamente, rispondendo via via alle esigenze nuove che vengono a crearsi da parte dei singoli preti e delle singole comunità. È così che si arriva a stabilire responsabilità diverse e quindi nomine nuove, in particolare per quanto riguarda i parroci. Colgo l’occasione per ringraziarli uno ad uno per l’abnegazione e l’impegno svolto fino ad oggi e a tutti estendo l’augurio per il nuovo ministero. Infine, in merito al giorno delle nomine, queste avvengono e sono comunicate quando si rendono necessarie, lasciando il 7 agosto come un giorno di festa dedicato alle celebrazioni del nostro patrono san Donato».
C’è un momento che ricorda con particolare gioia e soddisfazione dell’ultimo anno?
«Tutti gli incontri che ho fatto con le attività estive delle parrocchie, l’incontro diocesano degli animatori dei Grest e quello di tutti i Grest, la Route nazionale a Verona con gli scout, le visite ai vari campi scuola, per esempio a Gello di Anghiari con l’Azione cattolica, oppure a Cornia con i campi della parrocchia di Levane, quelli di Sansepolcro, Anghiari… L’elenco sarebbe lunghissimo, ma sono solo alcuni esempi per dire la ricchezza di questi incontri che mi hanno permesso di vedere la vitalità della nostra Chiesa. Quando si fanno delle proposte coinvolgendo i giovani e gli adolescenti, vuol dire che c’è vitalità. Ci sono tante potenzialità nelle nostre parrocchie! Incontrare questi ragazzi, gli animatori e tutti coloro che hanno reso possibile questo è stato molto bello».
La decisione di assumere direttamente la delega, chiamiamola così, dei giovani, come è nata?
«Si tratta di una scelta che ho fatto avvalendomi di due validi vicedirettori che avranno un ruolo più operativo. Ho piena fiducia in loro, però, come segno, ho voluto tenere direttamente io questa responsabilità per indicare chiaramente che è per me e per la nostra Chiesa una priorità. E poi per dire che se l’ho fatto io, di assumermi direttamente questa responsabilità, lo si faccia anche nelle parrocchie, cioè che i giovani siano anche nelle nostre comunità la priorità a cui dedicarsi. In ogni caso, sarà un bel gruppo a lavorare su questi temi, che si amplierà con la Consulta della pastorale giovanile e al quale si affianca anche il Consiglio dei giovani».
Abbiamo parlato delle cose positive e belle. Quali sono gli ambiti dove invece ha visto che c’è bisogno di lavorare meglio?
«Credo che si debba crescere sempre di più nell’arte della comunicazione. Faccio i complimenti ai nostri mezzi di comunicazione e informazione diocesani e all’uso dei social della diocesi, ma quello che voglio dire è che deve crescere nella base la capacità di comunicare, di condividere ciò che si fa e rendere tutti partecipi delle varie iniziative. La comunicazione è un canale dell’incontrare. Dobbiamo crescere anche sul tema del partecipare. Ci sono stati eventi diocesani, come per esempio il pellegrinaggio a La Verna del giugno scorso, che è stato davvero povero di partecipazione, deludente direi. Dobbiamo crescere nel sentire che gli eventi diocesani sono importanti per tutte le parrocchie e chiedono impegno, disponibilità e partecipazione da parte di tutti, dai preti alle comunità. Poi credo che si debba crescere nel capire che nel territorio la Chiesa cambia e che non ci potrà più essere in ogni parrocchia il proprio prete. Cambieranno gli stili, le modalità, le presenze e questo chiede una disponibilità di tutti, anche dei laici e delle comunità in quanto tali. Infine, abbiamo nel territorio tante proposte formative di grande qualità, basta pensare per esempio a realtà quali Camaldoli e La Verna. Dobbiamo crescere nel cogliere le offerte formative che già ci sono e perfezionare i cammini formativi a tutti i livelli».
Come continuerà il percorso su questo filone?
«Con don Enrico Gilardoni, delegato vescovile per la formazione, si sta pensando a dei percorsi nelle diverse zone, riprendendo quelle che erano le scuole di teologia, per offrire una proposta di carattere coordinato ai credenti della nostra Diocesi».
Se invece guardiamo fuori da «casa nostra», quali riflessioni nascono?
«Nel mondo del lavoro il nostro territorio ha molte potenzialità, vanta un importante numero di imprenditori e aziende di successo, ma presenta anche criticità che riguardano tanti lavoratori e le loro famiglie. Come Chiesa vogliamo essere di stimolo positivo e in dialogo con il mondo del lavoro. Dovremmo crescere anche nel dare più spazio ai giovani, in modo che possano essere davvero protagonisti e nel valorizzare di più le possibilità di carattere culturale».
Il tema della custodia del creato le sta molto a cuore. Come mai?
«Mi sembra importante camminare come Chiesa e sensibilizzarci sui temi che pongono attenzione all’ambiente. Per esempio promuovendo studi e proposte concrete per realizzare comunità energetiche nella Diocesi e in collaborazione con altri. È importante compiere passi concreti in questa direzione. In questo senso avremo la mattina di sabato 12 ottobre un convegno nel Palazzo vescovile a cui tutti, presbiteri e laici, siamo invitati».
Questo tema si lega a doppio filo anche con quello della pace, un altro aspetto a lei molto caro, dove non ha mancato di proporre iniziative di preghiera e riflessione.
«Anche come comunità cristiana dobbiamo dire a chiare lettere che non siamo a favore delle armi e dell’alimentare la guerra, ma che come Chiesa siamo schierati a favore della pace, non per gli uni o per gli altri. Non sono parole generiche. Essere schierati per la pace vuol dire promuovere il dialogo, il rispetto reciproco, fermare la produzione di armi. Questo vale soprattutto per il Medio Oriente, la Terra Santa e l’Ucraina. Tra l’altro come vescovi toscani faremo un viaggio in Terra Santa dal 14 al 17 ottobre, su proposta dei Frati Minori e del Commissariato di Terra Santa per la Toscana. Saranno presenti nella delegazione anche alcuni giovani della Diocesi, come segno di volontà di pace, fraternità e sostegno ai cristiani in Terra Santa».
A breve lei effettuerà anche un viaggio in Bangladesh. Come mai?
«Andrò a Dacca e nella diocesi di Khulna. Lo farò insieme a un gruppetto di quattro giovani, di cui tre seminaristi, per incontrare una Chiesa missionaria e povera come quella del Bangladesh, in particolare i saveriani. Penso possa essere di arricchimento per chi partecipa al viaggio, ma anche un contributo per crescere nella sensibilità sulle tematiche missionarie, grazie anche alla testimonianza che condivideremo al nostro ritorno. Va riscoperto sempre di più che la Chiesa è missionaria ed è importante portare l’annuncio anche al di fuori del territorio della diocesi. In questo senso il 22 ottobre, nel mese tradizionalmente dedicato al tema delle missioni, è prevista una veglia di preghiera in Cattedrale. Vorrei infine confidare un sogno: quello di creare un gemellaggio con una missione in un Paese di primo annuncio, magari in collaborazione con qualche altra diocesi, affinché i nostri sacerdoti possano vivere un impegno missionario, o l’esperienza dei preti fidei donum».
Questo viaggio sarà sicuramente importante anche nel percorso formativo dei seminaristi. Come si sta procedendo sul tema delle vocazioni?
«Il tema vocazionale va inteso a 360 gradi: c’è la vocazione al matrimonio, alla vita consacrata, a diventare prete… c’è un forte bisogno di valorizzare le vocazioni, perché non solo quella al sacerdozio, ma anche la vocazione al matrimonio, sono in forte crisi. Abbiamo la fortuna di avere ancora un gruppo di seminaristi in diocesi, ma l’affacciarsi di nuovi giovani che si orientano al sacerdozio è merce rara. Questo deve spronarci nella preghiera, nel crescere come comunità cristiane, nel sensibilizzarci come famiglie, nel promuovere una buona pastorale vocazionale. Incoraggio il nostro Seminario ad andare avanti con gioia, nella certezza che il Signore non delude».
Anche sul tema della famiglia sono stati intrapresi nuovi cammini. Quali gli auspici?
«Lo sguardo sulla famiglia aveva bisogno di un’ulteriore attenzione. Da una parte abbiamo riaperto il Consultorio “La famiglia”, ma la scelta di avere due nuovi incaricati, di arrivare a ricostituire un’équipe, di avere un nuovo assistente nella figura di don Alexander, vuole dare un impulso al mettersi in dialogo con le famiglie, valorizzandone la presenza e capendone le fatiche. Dobbiamo crescere molto sui temi vita e famiglia, lavoro e famiglia, educazione e famiglia, partecipazione alla vita ecclesiale e famiglia. Credo che oggi, in un tempo in cui la famiglia è messa in crisi, vada riconosciuta ancora come un anello essenziale della vita della comunità e anche accolta e rispettata nelle sue fragilità e nelle sue imperfezioni».