Prato

Mons. Fiordelli, nozze d’oro con Prato

di Gianni RossiL’ultima intervista al nostro settimanale l’aveva rilasciata nel 1998. In anni più recenti aveva scritto per noi alcuni ricordi di personaggi e avvenimenti che lo avevano visto protagonista. Poi, nell’ottobre 2002, la malattia che da anni lo affliggeva aveva costretto mons. Fiordelli a ritirarsi nel proprio appartamento all’ultimo piano del palazzo vescovile. L’anno scorso le condizioni di salute si erano ulteriormente aggravate ma la sua forte fibra fisica, unita al vigore spirituale di sempre, gli hanno permesso intorno al Natale scorso una ripresa che ha dell’incredibile. Così, a pochi giorni dal cinquantesimo della sua nomina a primo vescovo residenziale di Prato, ci accoglie nel suo studio per l’intervista che, con qualche esitazione, gli avevamo chiesto telefonicamente. Ci parla subito della sua sofferenza fisica ma, benché affaticato, risponde spedito alle domande, riandando con sicurezza ai ricordi di quei giorni che cambiarono la vita sua e di un’intera città. Eccellenza, quando ebbe la «fatidica» telefonata da Roma?«Fu alla fine di giugno del 1954. Il giorno esatto non lo ricordo. Ricevetti una telefonata dalla Sacra Congregazione Concistoriale che mi informava che il S. Padre mi aveva scelto come Vescovo di Prato. Chiesi alcuni giorni per riflettere. Pregai, mi consigliai con il mio padre spirituale e, al termine di questa mia pausa di riflessione, accolsi la chiamata della Chiesa. Così, mi recai a Roma per accettare la nomina, confidando nella benedizione di Dio». Quale era il suo stato d’animo?«Fiducia e timore insieme. Ma totale abbandono alla volontà di Dio». Di Prato, prima della nomina, cosa conosceva?«Avevo soltanto qualche sommaria notizia della città. Sapevo che era una grande città industriale, con una importante presenza operaia. Ricevuta la nomina presi subito contatto con il mio futuro metropolita, l’Arcivescovo di Firenze cardinale Elia Dalla Costa, per un doveroso omaggio. Fu lui a darmi buone notizie dei pratesi e ad esortarmi ad avere fiducia. Altre persone, in quei giorni, mi confermarono la bontà della popolazione pratese». Si sarà domandato per quale motivo la scelta del primo vescovo residenziale di Prato sia caduta su di lei, che oltretutto sarebbe stato il più giovane vescovo d’Italia.«Credo che la scelta sia caduta su di me, umile prete di una piccola diocesi dell’Umbria, per vari fattori: soprattutto per l’impegno che avevo profuso tra i lavoratori a Città di Castello». In quegli stessi giorni lei si stava preparando per il pellegrinaggio delle Diocesi umbre a Lourdes.«Sì. Fu un pellegrinaggio indimenticabile, organizzato dal settimanale “La Voce” che io avevo fondato e di cui ero direttore. Portai alla Madonna le mie speranze e i miei propositi, chiedendo la sua materna protezione.Tra l’altro, sulla via del ritorno, ci fu anche un episodio gustoso». Ovvero?«Una delegazione del clero pratese, guidata dal Vicario capitolare mons. Eugenio Fantaccini, si recò a mia insaputa alla stazione di Arezzo, dove il treno avrebbe fatto una sosta. Dopo poco che ci eravamo fermati, iniziai a sentire chiamare, da una carrozza all’altra, il mio nome: mi si invitava a scendere perché c’erano delle persone che mi volevano salutare. Mi affrettai verso l’uscita e, con mia grande sorpresa, fui raggiunto a terra da tre sacerdoti che si presentarono immediatamente come pratesi e che mi omaggiarono con grande gioia. Il treno dopo pochi minuti ripartì ma era tale l’entusiasmo che i tre continuavano ad abbracciarmi e a stringermi mentre io ero ancora sui gradini della carrozza: mi dovetti divincolare per non rischiare di rimanere ad Arezzo ma, soprattutto, di cadere a terra. Fu quello il primo incontro con i pratesi. Così, sul treno, iniziò a diffondersi la notizia che ero stato nominato vescovo di Prato». Quello fu il primo contatto con i pratesi. Dal luglio all’ottobre seguente furono molte le delegazioni che si recarono in visita a Città di Castello. Che impressione ne ebbe?«Mi rendevo conto che la Diocesi di Prato, pur vecchia di 301 anni, era in gran parte da costruire. Capii che non mancavano i problemi nella società, ma ebbi subito chiaramente percezione che il popolo pratese era fondamentalmente religioso, intraprendente e generoso. E queste primi aspetti mi aprirono a grandi speranze». Si sarebbe aspettato l’accoglienza trionfale che i pratesi le tributarono il 17 ottobre, giorno del suo ingresso?«Di un’accoglienza benevola ero certo. Ma che l’intera città scendesse nelle strade per fare festa al mio passaggio non lo pensavo davvero».