Né accanimento, né abbandono: è questa, secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa, la linea dei vescovi italiani sulla questione del fine vita. A ribadirlo, durante la conferenza stampa per la presentazione del comunicato finale del Consiglio permanente della Cei, è stato il segretario generale, mons. Mariano Crociata. Interpellato da un giornalista sulla questione dell’accompagnamento alla morte e della sospensione dei trattamenti, mons. Crociata ha stigmatizzato la tendenza all’attribuzione ai vescovi italiani, sulla base delle indicazioni emerse dagli ultimi Consigli permanenti della Cei, della intenzione o della volontà di una sorta di accanimento terapeutico, quando invece è stata ripetuta l’affermazione che i vescovi italiani sono contro l’accanimento terapeutico e l’abbandono del malato: due principi, questi, sempre simultaneamente affermati e ribaditi. Come si legge in un recente documento della Congregazione per la dottrina della fede, ha fatto notare il vescovo, c’è un criterio di proporzionalità, una valutazione della ragionevolezza e fondatezza che i medici sono in grado di fare sulla proporzionalità tra cure, sostegno vitale dato e aspettativa di vita. Dal punto di vista medico, l’accompagnamento del malato è esattamente ciò che è auspicato: né accanimento, né abbandono. Come ha ribadito anche il card. Bagnasco nella sua prolusione, c’è l’esigenza di attrezzarsi sempre più e sempre meglio per aiutare i malati ad essere accompagnati, sostenuti nella loro condizione soprattutto terminale, nella fase più drammatica, conclusiva della loro vita. Il vero problema, per il segretario generale della Cei, è la condizione dell’anziano e del malato, bisognoso di attenzione e di cura e quindi di strutture sanitarie adeguate, e anche l’ accompagnamento, il sostegno, l’aiuto alle famiglie che hanno malati in condizioni estreme da accudire. E’ questa una indicazione costante della Cei, che per quanto riguarda gli hospice ribadisce l’esigenza che queste strutture trovino l’attenzione necessaria da parte dello Stato, o comunque della società, perché sono sempre più complesse ed esigenti le esigenze dei malati ad essere accompagnati, anche con le cure palliative, a vivere una condizione così difficile. Lo sguardo adottato dalla Cei su queste questioni, ha assicurato mons. Crociata, è lo stesso del Papa, secondo il quale a problemi di ordine etico, culturale, sociale, spirituale, non si risponde con espedienti tecnici: gli strumenti tecnici sono aiuti, ma al di là di tutti gli strumenti che la tecnologia, la scienza, il progresso mettono a disposizione, bisogna guardare all’uomo e a ciò che permette agli uomini di vivere una vita piena e autentica.Un auspicio che in tempi il più possibile rapidi e nella forma il più possibile condivisa si giunga all’approvazione. Ad esprimerlo, riguardo al ddl sul testamento biologico al vaglio del Parlamento, è stato mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, durante la conferenza stampa di presentazione del comunicato finale del Consiglio permanente. Ad una domanda circa le recenti prese di posizioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini, circa i cattolici e le loro scelte politiche, mons. Crociata ha risposto: Ognuno ha sufficiente coscienza e discernimento per fare le proprie scelte come meglio ritiene per i suoi ideali e per il bene del Paese. In genere, ha aggiunto, la Chiesa non ha una particolare simpatia per lo Stato etico. Interpellato sull’alimentazione dell’idratazione come sostegno vitale, e dunque, non come terapie, in quanto cardine del ddl sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), mons. Crociata ha affermato: E’ chiaro che si tratta di questo. Anche qui sono in gioco la proporzionalità, la valutazione delle condizioni concrete del malato e dell’aspettativa di vita, distinguendo tra terapie e sostegno vitale.Sir