Toscana

Mobbing, quando al lavoro non si rispetta la persona

di Rebecca RomoliSono ben 900 i contatti ricevuti in meno di 5 anni dallo sportello mobbing della Cisl. Un fenomeno, quello del mobbing, che si sta rivelando molto diffuso ed è proprio per questo motivo che la struttura della Cisl passa dal livello fiorentino a quello regionale.

Il nuovo sportello regionale è stato presentato la settimana scorsa dai segretari generali della Cisl Toscana e di Firenze, Gianni Salvadori e Adriano Fratini, che hanno sottolineato come «occuparsi di mobbing significhi intervenire direttamente sulle condizioni di lavoro, per migliorarle, combattendo un fenomeno che crea una situazione di disagio per il lavoratore».

Il nuovo ufficio avrà la sede presso gli uffici della Cisl Toscana in via Benedetto Dei 2/a a Firenze Nova e sarà contattabile per avere maggiori informazioni o fissare un appuntamento telefonando allo 055-43921 (o anche via e-mail all’indirizzo mobbingtoscana@cisl.it).

Purtroppo di mobbing non c’è un’unica e precisa definizione, infatti può manifestarsi in mille modi diversi, l’unica costante sono i danni psicofisici.

«Il termine mobbing deriva dall’inglese (to mob, assaltare, assalire, aggredire) – come ha spiegato Domenico Trombino responsabile del punto mobbing di Firenze – e indica una vasta serie di forme di vessazione da parte del datore di lavoro o del diretto superiore verso il lavoratore, come isolarlo, ridurne le mansioni o portare agli estremi i procedimenti disciplinari».

Queste sono solo alcuni forme del fenomeno che non esauriscono e non danno un panorama completo delle possibili forme di mobbing.

Questo sportello, aperto dalla Cisl nel 1999 è stato uno dei primi in Italia ed è nato per iniziativa della Fps-Cisl aziendale di Palazzo Vecchio. Con il tempo l’esperienza dello sportello si è accresciuta, fino ad arrivare alla decisione di farlo diventare un punto di riferimento regionale.

Ma quale sono i settori dove il mobbing è più diffusso?. Tra le denunce arrivate allo sportello il 18% sono dei lavoratori delle pubbliche amministrazioni, il 16% del settore delle banche e delle assicurazioni, ma anche dei trasporti, per proseguire con un 15% delle cooperative, un 10% nella pubblica sicurezza e difesa e un 14% nell’industria.

Una vicenda spesso risolta in modo pacifico che solo nel 10-15% dei casi si conclude per vie legali. Questo vuol dire che sui 500/ 600 casi certificati dello sportello, solo dai 30 ai 60 casi trovano soluzione attraverso vie legali.Questo perché come tengono a precisare dalla Cisl, con il primo contatto i responsabili dello sportello cercano di capire se e come si configura il caso di mobbing, dopodiché raccolgono le prove e tutta la documentazione utile alla conoscenza ed alla prova dei fatti. Una volta verificato che si tratta veramente di mobbing, vengono presi i primi contatti con il datore di lavoro o il capufficio del lavoratore che ha contatto lo sportello e si procede alla soluzione della controversia. Questa è la fase più importante dell’azione dello sportello mobbing e quella che ha consentito ad oggi di risolvere positivamente gran parte dei casi. La richiesta delle Acli:«Ci vuole subito una legge per arginare il fenomeno»di Andrea BernardiniSubito una legge sul mobbing. Lo chiedono le Acli toscane, commentando i dati di una ricerca Iref realizzata a livello nazionale per conto del patronato dell’associazione, secondo cui «il cinque per cento degli intervistati dichiara di essere vittima di mobbing sul posto di lavoro».

«Il fenomeno – osserva il presidente regionale delle Acli, Paolo Martelloni – necessita un intervento legislativo. Il lavoro muta: flessibilità, ritmi sempre più intensi, competizione esasperata, inserimento di sempre maggiori elementi di contrattazione individuale rispetto a quella collettiva, giocano, purtroppo, a favore del mobbing».

«Il termine mobbing è utilizzato per identificare comportamenti, anche molto diversi tra loro, tutti lesivi della dignità della persona umana – osserva l’avvocato Marco Lovo, giuslavorista del foro pisano – : molestie sessuali, emarginazione dal lavoro, ma anche piccoli episodi che considerati isolatamente possono avere ben poco significato o essere del tutto normali, ma che se ripetuti nel tempo e realizzati con l’intenzione di nuocere alla vittima, diventano illeciti».

Qual è allora, la linea di confine tra un capo un po’ irascibile e fors’anche volgare e un mobber? O fra chi aspira con qualche insistenza di troppo a sedurre la propria collega di lavoro ed il molestatore?

«Difficile dirlo in assenza di norme specifiche che disciplinino questo fenomeno. Certo è che i casi di mobbing portati all’attenzione del Giudice sono sempre più frequenti, anche se ritengo che ci sia ancora un certo ritegno nel far emergere situazioni di questo tipo. E i motivi sono evidenti: la paura di ritorsioni da parte del lavoratore. Sulla base della mia esperienza posso dire che se il problema viene correttamente affrontato, spesso si riesce a fare in modo che non giunga a punti di non ritorno, salvo i casi in cui la situazione è già compromessa e il danno per il lavoratore si è già realizzato: in questi casi, il ricorso al Giudice è inevitabile, ed in tal caso il datore di lavoro può subire anche pesanti condanne al risarcimento dei danni provocati al lavoratore».

Se questa è la situazione «a questo punto – commenta il vicepresidente delle Acli toscane, Pino Staffa – serve una legge che sappia definire in modo chiaro e sufficientemente pratico il fenomeno del mobbing: le sue cause, le modalità di azione e i danni provocati».

L’associazione chiede che il mobbing sia inserito tra i rischi aziendali, ai sensi della legge 626/94 sulla sicurezza dei posti di lavoro. E propone che l’assistenza dei lavoratori ed il monitoraggio del fenomeno siano guidati da centri regionali per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo, in accordo con i medici di famiglia.