Vita Chiesa

MISSIONI, NOTA CEI SUI «FIDEI DONUM»: 50 ANNI DI SCAMBIO MISSIONARIO TRA LE CHIESE

La “Fidei donum” è ancora di “grande attuailtà”, anche se riflette “un contesto storico specifico” molto diverso da quello di oggi. Ne sono convinti i vescovi italiani, che a 50 anni dall’enciclica di Pio XII pubblicano oggi una Nota – firmata dalla Commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese – dal titolo: “Dalle feconde memorie alle coraggiose prospettive” (testo integrale). Nella presentazione, la Chiesa italiana esprime “vicinanza e gratitudine a tutti i missionari ‘fidei donum’ che hanno operato e a quelli che operano nei vari Paesi del mondo”. “La parte più nota e certamente più innovativa dell’enciclica – si legge nel documento diffuso oggi dalla Cei – è quella nella quale Pio XII incentiva la ‘forma di aiuto scambievole’, secondo cui i vescovi ‘autorizzano qualcuno dei loro sacerdoti, sia pure a prezzo di sacrifici, a partire per mettersi, per un certo limite di tempo, a disposizione degli Ordinari d’Africa”. Senza dimenticare quelli che il Papa definisce “militanti laici”, chiamati ad affiancare i sacerdoti nelle terre di missione. E’ stata la “fidei donum”, inoltre, ad introdurre il criterio della “diocesanità”, attivando “una prassi di scambio tra le Chiese che va a beneficio non solo delle Chiese che accolgono ma anche di quelle che inviano i sacerdoti”. Deve avere “la disponibilità a incarnarsi in un popolo, in una Chiesa, in una cultura”, ma anche la capacità di “mantenere uno stile di vita povero e sobrio, per realizzare una particolare vicinanza con gli impoveriti della storia”. E’ l’identikit del prete “fidei donum”, così come viene delineata nella Nota Cei sull’omonima enciclica di Pio XII, diffusa oggi. “Il presbitero ‘fidei donum’ – si legge nel documento – non parte con un progetto proprio, ma per assumere le scelte pastorali della Chiesa che lo accoglie; è testimone della comune passione apostolica, come della solidarietà della Chiesa che lo invia; è attento osservatore di quello che lo Spirito dice alla Chiesa che lo ospita; torna ai luoghi di origine per testimoniare quello che il Signore opera presso altri popoli”. Il missionario “fidei donum”, in altre parole, non è un “navigatore solitario”, ma “l’inviato di una Chiesa ad un’altra, che lo accoglie in nome della cooperazione, della comunione e dello scambio”. Ciò esige “un continuo andare e tornare, un sapersi collocare in un progetto pastorale della Chiesa alla quale è inviato come pure in quella nella quale rientra dopo l’esperienza missionaria, senza essersene mai spiritualmente staccato”. I “fidei donum”, precisa inoltre la Cei, “non sono necessariamente i presbiteri più coraggiosi, né tanto meno quelli maggiormente desiderosi di avventura”.“Un’attenzione maggiore all’Asia, dove i cristiani costituiscono tuttora una minoranza esigua ma dinamica”. E’ l’auspicio della Nota Cei sui “fidei donum” per il futuro della cooperazione missionaria. “Rispetto all’enciclica di Pio XII, che individuava nell’Africa il continente più bisognoso di attenzione da parte delle antiche Chiese – si legge nel testo – l’attenzione dei ‘fidei donum’ italiani si è rivolta maggiormente all’America Latina, mentre l’Asia è rimasta quasi esclusa”. Per la Cei, il “motivo determinante” di questa scelta è stato probabilmente quello linguistico, “ma forse hanno influito anche altri motivi: il continente latinoamericano appariva più omogeneo dal punto di vista culturale e religioso, benché quello africano sia comunque geograficamente più vicino e oggi sia particolarmente travagliato”. “Correlativamente all’assunzione di responsabilità da parte del clero autoctono ella crescita dei laici in America Latina e Africa – è la proposta della Chiesa italiana – i ‘fidei donum’ potrebbero essere orientati proprio al grande continente dove è sorto il cristianesimo”. In Asia, ammettono i vescovi, “vi sono certo ostacoli linguistici e culturali e occorre essere bene attrezzati per un fecondo confronto con le grandi religioni asiatiche”, ma tale orizzonte “non può essere trascurato”. Anche il contatto con le comunità asiatiche, secondo la Cei, “creerà osmosi preziose”.Sir