Toscana

Misericordie «regionali» per un salto di qualità

di Claudio Turrini«Stare al passo coi tempi, adeguando la struttura operativa alle trasformazioni dettate dal mondo in cui operiamo, senza perdere però la nostra vocazione e recuperando il senso di appartenenza alla Chiesa, per una crescita spirituale che ci faccia fare un salto di qualità nel mondo del volontariato». È stato questo il messaggio lanciato dal presidente Gianfranco Gambelli all’Assemblea nazionale delle Misericordie, tenutasi il 6 e 7 maggio a Rocca di Papa (Roma).

Davanti ai rappresentanti dei 600 mila confratelli (733 confraternite), Gianfranco Gambelli, 71 anni, alla guida della Confederazione nazionale dal dicembre 2001 (scadrà ad aprile 2007) ha lanciato la proposta di far nascere strutture regionali. «La nostra prerogativa – ci spiega Gambelli – è quella di esserci sempre adeguati ai tempi che mutavano, e anche di averli precorsi. Era necessario dare una struttura moderna a questo nostro movimento. Con la devolution in corso molti servizi e interventi vengono sempre più decisi a livello regionale. Mi riferisco alla sanità, ai servizi sociali, alla protezione civile, al servizio civile. Ci sarà sempre da parte della Confederazione il rapporto con le istituzioni centrali, ma sul territorio dovranno nascere queste strutture regionali che avranno come interlocutori diretti le istituzioni regionali».

Questo mutamento di struttura cosa comporta?

«Dobbiamo cambiare lo Statuto. Finora c’erano solo i coordinamenti provinciali e le conferenze regionali».E l’Assemblea ha dato via libera a questa novità?«La paura del nuovo, si sa, è sempre presente. Ma l’Assemblea, a stragrande maggioranza, ha dato mandato di andare avanti, con una commissione incaricata di studiare nei dettagli il progetto e di presentarlo ad un’Assemblea straordinaria a settembre per il voto».

La nascita di una struttura regionale come è stata accolta in Toscana?

«In Toscana funziona già abbastanza bene la Conferenza regionale, quindi non ci sono problemi. Vedo più difficoltà in altre regioni, dove la nostra presenza è più esigua».

Avete previsto un numero minimo di Misericordie per far nascere il consiglio regionale?

«Il limite dovrebbe essere lo stesso che vale oggi per le conferenze regionali, cioè almeno cinque. Nel caso che non si raggiunga questa cifra minima si faranno degli accorpamenti».

Qual è lo stato di salute delle Misericordie italiane?

«È complessivamente buono. Ci sono però delle sacche dove c’è meno rispondenza da parte delle istituzioni ed è difficile ampliare il consenso. In Toscana è tutto facile: tutti ci conoscono e ci vedono, ma là dove le Misericordie sono nate da 5-10 anni, devono farsi ancora conoscere».

Come rispondono i giovani alla proposta di servizio delle Misericordie?

«Il giovane ha spesso problemi di lavoro e qualche volta gira intorno a noi con la speranza di trovare un’occupazione. Mentre notiamo grande slancio e vivacità da parte dei 50-60enni».

Riuscite a mantenere viva l’ispirazione cristiana?

«Questo è il nostro tallone d’Achille, la preoccupazione maggiore. L’ho detto anche nella mia relazione all’Assemblea. I problemi sono tanti e si affrontano solamente se ogni tanto ci fermiamo e riflettiamo sulle motivazioni del nostro impegno. Non bisogna aver paura di perdere volontari. Se non c’è la motivazione giusta, se il soggetto viene da noi solamente perché attirato dalla sirena o dall’impegno che lo può far sentire protagonista, a lungo andare è controproducente. Dobbiamo mettere le persone di fronte alla nostra identità e chiedere: “sei sicuro che ti va bene questa identità? Non si deve far volontariato per forza da noi. Ci sono tante realtà… Se lo fai con noi, questa è la nostra divisa, questo il nostro compito, questo è il nostro statuto”».

In questo un ruolo particolare spetta ai «correttori»…

«Di solito il correttore è anche parroco della cittadina dove ha sede la Misericordia, ha tantissimi altri impegni… In un tempo di scarsità di sacerdoti, incontriamo anche questa difficoltà, che difficilmente è superabile. Però è una figura insostituibile per noi. Senza correttore una confraternita non può esistere. Cercheremo di fare incontri intercomunali, interregionali o nazionali cercando anche nelle future assemblee un po’ di tempo per loro».

Avete delle richieste specifiche verso il Parlamento e il nuovo governo?

«Prima delle elezioni abbiamo fatto un elenco di richieste. Abbiamo bisogno innanzitutto che aumenti l’attenzione della politica nei confronti del volontariato, come forza trainante della società civile. Poi, nello specifico, è necessaria la riforma della legge quadro sul volontariato (la 266) e della legge 328 sul sociale. Chiediamo anche più attenzione sull’impresa sociale, che è un po’ un illustre sconosciuto. Poi c’è un contenzioso regione per regione, ma questo è molto articolato: c’è chi è più attento e chi invece ci ignora…».

In Assemblea avete ripetuto che la solidarietà è contagiosa. Là dove andate ad aiutare, spesso nascono nuove confraternite.

«Questo è già successo in Italia, a seguito delle grandi calamità naturali, come i terremoti del Belice, del Friuli o dell’Irpinia. La gente ha visto questa nostra esperienza, l’ha valutata e ha dato vita a nuove confraternite. Un tempo le Misericordie erano quasi tutte toscane, oggi la metà sono fuori della nostra regione e sono giovani, con al massimo trent’anni di vita».

È anche un cambio di mentalità…

«Il mettersi insieme per venire incontro ai bisogni del prossimo non era concepito, si preferiva l’aiuto personale. Invece questo concetto ora sta passando, anche all’estero. In Kosovo, abbiamo creato il primo nucleo che è interconfessionale. Siamo presenti in Ciad e in altri paesi dell’Africa dove piccoli nuclei nascono aggregati alle missioni. Sollecitazioni ne abbiamo tante, dall’Eritrea, dalla Somalia… ma non è una cosa semplice perché richiedono anche determinati investimenti e la disponibilità dei nostri volontari ad andare laggiù per fare formazione».

La solidarietà è contagiosaNello scorso fine settimana si sono incontrati al Centro convegni di Rocca di Papa (Roma) i Governatori delle 733 Misericordie italiane. Nella sua relazione il presidente nazionale Gianfranco Gambelli ha lanciato la proposta di modificare lo statuto per far nascere strutture regionali dopo che le Regioni hanno assunto gran parte delle competenze sulle politiche socio-sanitarie e di welfare. Gambelli ha anche sottolineato con forza la necessità di recuperare il «senso di appartenenza alla Chiesa, con atti concreti», «tale da farci fare un salto di qualità all’interno dell’intero mondo del volontariato». Il correttore nazionale, il fiorentino don Roberto Tempestini, ha guidato una riflessione sulla prima enciclica di Benedetto XVI.

Durante i lavori si è parlato dell’impegno tradizionale delle Misericordie nel settore socio-sanitario-assistenziale e di quello più recente nella protezione civile. Ma anche dell’attività internazionale, iniziata con il conflitto nei Balcani e che si è fatta ogni anno più intensa. Le Misericordie operano anche nell’Europa dell’est, soprattutto nel sostegno ai piccoli orfani, e in Africa dove, in Ciad, sta nascendo una nuova Misericordia. Dallo scorso anno poi i confratelli sono impegnati, con vari progetti, per la ricostruzione delle zone devastate dallo tsunami nel sud-est asiatico. Da oltre dieci anni inoltre varie Misericordie sono impegnate ad ospitare, per alcune settimane all’anno, bambini e ragazzi provenienti dall’area contaminata dal disastro di Chernobyl.

La solidarietà è contagiosa. Laddove infatti i confratelli sono intervenuti per portare soccorso a chi era in difficoltà sono poi nate nuove Misericordie, pronte ad aiutare a loro volta i bisognosi. Il movimento delle Misericordie è nato a Firenze quasi otto secoli fa ed è rimasto all’interno dei confini della Toscana fino all’inizio del secolo scorso. Poi è iniziata l’espansione nel resto d’Italia, con un vero e proprio boom negli ultimi decenni, soprattutto sulla scia degli interventi attuati, come nel Belice nel 1968, in Friuli nel 1976 o in Irpinia nel 1980. Da allora è soprattutto il Sud che ha visto la crescita più imponente di adesioni: dal 1990 sono nate 187 nuove Confraternite, l’80% di esse nel Mezzogiorno. E dopo l’intervento per il terremoto in Molise, con la gestione del campo sfollati di San Giuliano di Puglia, sono già nate o stanno nascendo tre nuove Confraternite a Sant’Elia a Pianisi, Petrella Tifernina e nella stessa San Giuliano.La stessa dinamica si riscontra anche all’estero, dove negli ultimi dieci anni sono nate nuove confraternite in Kosovo, Bielorussia, Swaziland, Ucraina, Argentina e Messico. In Bielorussia ad esempio è avviato un progetto rivolto agli orfani degli «Internat». Con il progetto «Amici senza frontiere» da dieci anni varie Misericordie hanno ospitato oltre 5.500 bambini e ragazzi provenienti dall’area contaminata dal disastro di Chernobyl. Dallo scorso anno le Misericordie sono impegnate nel sud-est asiatico, con vari progetti, per la ricostruzione delle zone devastate dallo tsunami. La Misericordia di Klina, in Kosovo, dove i confratelli sono intervenuti durante il conflitto nei Balcani, è nata cinque anni fa e rappresenta un meraviglioso esempio di come la solidarietà sia capace di abbattere le barriere: della Confraternita fanno parte infatti, accanto ai cristiani, anche alcuni musulmani, cittadini di etnia albanese e Rom.

La nuova frontiera? L’Africa. A Bebeja, nella regione di Doba, nel sud del Ciad, dove è in corso una terribile emergenza umanitaria, i volontari delle Misericordie stanno sostenendo un ospedale. E sta nascendo una nuova Confraternita di Misericordia. A 760 anni e 4.200 chilometri dalla prima Misericordia, quella nata a Firenze nel 1244, la solidarietà continua a fare scuola. E una Misericordia tira l’altra.

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