Toscana
Misericordie, la solidarietà si sta globalizzando
Gianfranco Gambelli, 69 anni, con oltre 50 di iscrizione alla Misericordia di Castelfiorentino, è stato riconfermato lo scorso anno alla guida della Confederazione per un altro quadriennio. All’Assemblea ha posto anche altri temi, come quello della «regionalizzazione» della Confederazione. O come quello dei nuovi campi di impegno: «Dobbiamo riuscire a capire ci spiega che più della sanità, che già funziona bene, è importante venire incontro alle nuove esigenze della popolazione, alle povertà emergenti». E come esempio di questo nuovo fronte ci ricorda la gestione di quattro campi di prima accoglienza per gli stranieri (a Lampedusa, Crotone, Agrigento e Modena) dove le Misericordie stanno cercando «di rendere più umana la presenza in questi campi, che spesso assomigliano a delle prigioni, con corsi di alfabetizzazione e progetti di animazione».
Presidente Gambelli, cosa intendete per «globalizzare la solidarietà», tema del prossimo convegno internazionale?
«Confrontare quali sono i nostri sistemi di solidarietà con quelli che vengono praticati negli altri paesi dalle altre Misericordie, per vedere se c’è possibilità di integrazione. Poi c’è l’impegno di solidarietà internazionale, che è molto aumentato in questi ultimi anni: quindi si tratta anche di valutare e venire incontro alle realtà più povere, in particolare all’Africa che è il continente più in sofferenza».
A livello mondiale quali sono le realtà più vive, a parte l’Italia?
«Sicuramente il Portogallo, che dopo l’Italia è la più antica realtà di volontariato, avendo festeggiato da poco i 500 anni delle sue Misericordie. Loro non hanno il soccorso sanitario, ma operano soprattutto nel sociale, nel sostegno all’handicap».
E tra quelle nate recentemente?
«In particolare la Russia e la Bielorussia, due paesi usciti dall’esperienza del comunismo».
Alla base di queste nuove realtà di volontariato c’è sempre l’ispirazione cristiana?
«Certamente, sono tutte caratterizzate da un punto di vista cristiano. Nascono nelle parrocchie o come nel caso dell’Africa, nelle missioni, dove magari abbiamo inviato qualche autoambulanza».
Per quanto riguarda la Russia si tratta di cristiani russo-ortodossi?
«Sì, certamente. Del resto la presenza cattolica in Russia è marginale».
Nella sua relazione all’Assemblea ha indicato l’esigenza «di una seria riflessione sull’attuale assetto organizzativo della Confederazione». Cosa intendeva di preciso?
«Una ristrutturazione in senso regionale. Non abbiamo, infatti, strutture regionali e dalle singole Confraternite si passa direttamente al livello centrale, nazionale. Con la riforma del Titolo V della Costituzione diventa difficile coordinare dal centro, perché la sanità come la protezione civile sono ormai regionalizzate. Facendo degli organismi regionali potremo venire meglio incontro a questa realtà».
Si tratta di un semplice auspicio, oppure c’è già un progetto?
«C’è già un progetto e l’Assemblea ha dato mandato al Consiglio nazionale di predisporre le modifiche necessarie allo Statuto che poi dovranno essere portate in un’Assemblea ordinaria o in una straordinaria».
L’Assemblea si è conclusa con il corteo dei confratelli da Castel Sant’Angelo a piazza San Pietro. Cosa significa per voi questo incontro con il Papa, che vi ha salutato nel corso dell’Angelus?
«È stato come sempre un momento di ricarica per la Confederazione. È un momento di forte unione con la Chiesa per ribadire anche da che parte stiamo».
Sul fronte della formazione spirituale dei confratelli cosa state facendo?
«Su questo piano stiamo lavorando assieme al correttore nazionale, don Roberto Tempestini. Abbiamo fatto un ritiro spirituale, guidato dal cardinale Piovanelli, proprio per iniziare un cammino che ci riconduca alle radici e allontani anche il rischio che i nostri confratelli siano troppo impegnati nel servizio e dimentichino perché fanno quel servizio».
A livello di nuove adesioni qual è la sitazione delle Confraternite? Riescono ad attrarre giovani?
«Più o meno come tutte le associazioni di volontariato. Dipende molto dalla capacità della singola Confraternita di porsi sul territorio. Talvolta è guidata da persone anziane che non riescono ad attrarre giovani. Poi c’è la responsabilità della famiglia, ovviamente, che è la prima a dover sensibilizzare all’impegno di volontariato, ancor prima della parrocchia».