Italia
Migrazioni: Istat, in dieci anni espatriati circa 182mila laureati italiani
Nel 2018 il volume complessivo delle cancellazioni anagrafiche per l’estero è di 157mila unità, in aumento dell’1,2% rispetto all’anno precedente. Le emigrazioni dei cittadini italiani sono il 74% del totale (116.732). Lo comunica oggi l’Istat nel report «Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente» relativo all’anno 2018.
Stando ai dati diffusi, se si considera il numero dei rimpatri (iscrizioni anagrafiche dall’estero di cittadini italiani), pari a 46.824, il calcolo del saldo migratorio con l’estero degli italiani (iscrizioni meno cancellazioni anagrafiche) restituisce un valore negativo di 69.908 unità. Il tasso di emigratorietà dei cittadini italiani è pari a 2,1 per 1.000.
«Nel decennio 1999-2008, gli italiani che hanno trasferito la residenza all’estero – nota l’Istat – sono stati complessivamente 428mila a fronte di 380mila rimpatri, con un saldo negativo di 48mila unità. Dal 2009 al 2018 si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni per l’estero e una riduzione dei rientri (complessivamente 816mila espatri e 333mila rimpatri70mila unità l’anno».
La Regione da cui emigrano più italiani, in valore assoluto, è la Lombardia davanti a Veneto, Sicilia, Lazio e Piemonte (9mila). In termini relativi, rispetto alla popolazione italiana residente nelle Regioni, il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Friuli-Venezia Giulia (4 italiani su 1.000 residenti), Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta (3 italiani su 1.000). Le regioni con il tasso di emigratorietà con l’estero più basso sono Basilicata, Campania e Puglia, con valori pari a circa 1,3 per 1.000.
La destinazione «preferita» è il Regno Unito, seguono Germania, Francia, Svizzera e Spagna. Tra i Paesi extra-europei, le principali mete di destinazione sono Brasile, Stati Uniti, Australia e Canada.
Negli ultimi dieci anni sono espatriati circa 182mila laureati italiani. «Nel 2018 – si legge nel report dell’Istat -, gli italiani espatriati sono prevalentemente uomini (56%). Fino ai 25 anni, il contingente di emigrati ed emigrate è ugualmente numeroso (entrambi 18mila) e presenta una distribuzione per età perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi».
Stando ai dati diffusi, l’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 13%.
Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2018 più della metà dei cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero (53%) è in possesso di un titolo di studio medio-alto: si tratta di circa 33mila diplomati e 29mila laureati. Rispetto all’anno precedente le numerosità dei diplomati e laureati emigrati sono in aumento (rispettivamente +1% e +6%). L’incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con titolo di studio medio-alto crescono del 45%.
«Rispetto al 2009 – nota l’Istat -, l’aumento degli espatri di laureati è più evidente tra le donne (+10 punti percentuali) che tra gli uomini (+7%). Tale incremento risente in parte dell’aumento contestuale dell’incidenza di donne laureate nella popolazione (dal 5,3% del 2008 al 7,5% del 2018)».
L’altra faccia della medaglia, viene osservato nel report, è costituita dai rimpatri: nel 2018, considerando il rientro degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea (13mila), la perdita netta (differenza tra rimpatri ed espatri) di popolazione «qualificata» è di 14mila unità. Tale perdita riferita agli ultimi dieci anni ammonta complessivamente a poco meno di 101mila unità.
«La ripresa delle emigrazioni di cittadini italiani – evidenzia l’Istat – è da attribuire in parte alle difficoltà del nostro mercato del lavoro, soprattutto per i giovani e le donne e, presumibilmente, anche al mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese – proprio delle generazioni nate e cresciute in epoca di globalizzazione – che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei Paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione».