Cultura & Società
Michelangelo torna a parlare, appuntamento con la Pietà
Dopo la «prima» nella cattedrale di Firenze con Sergio Rubini, stavolta saranno Barbara Danzè e Giovanni Mugnaini a dare voce a questo racconto, il 18 agosto nella pieve di Santa Maria Assunta a Montemignaio, in Casentino: il testo di Riccardo Bigi racconta l’ultima notte in cui l’artista fiorentino lavorò all’opera che doveva essere il suo monumento funebre
La Pietà di Michelangelo torna a parlare. Lo scorso 14 giugno era stato Sergio Rubini a dare voce, nella cattedrale di Firenze, al testo di Riccardo Bigi che racconta il lavoro dell’artista fiorentino sull’opera che avrebbe voluto come ornamento per la sua tomba. L’occasione era una serata organizzata dall’Opera di Santa Maria del Fiore, da Toscana Oggi e da Radio Toscana in omaggio al cardinale Giuseppe Betori, che si apprestava a lasciare la guida della diocesi dopo quasi 16 anni. L’idea era quella di raccontare «l’anima» di un’opera d’arte capace, come forse poche altre, di raccontare una storia che emoziona e affascina chi l’ascolta. Una storia di sofferenza, speranza, paura della morte, desiderio di redenzione. Una storia che non sarebbe stato un peccato limitare a un unico evento, per quanto solenne e partecipato da centinaia di persone.
Per questo gli stessi organizzatori di quella serata hanno pensato di pensare altri momenti in cui riproporre, con altre voci, la lettura del testo. E il primo appuntamento è in programma per quest’estate, domenica 18 agosto alle 18 al fresco del Casentino, nella pieve di Santa Maria Assunta a Montemignaio (Ar). Saranno Barbara Danzè e Giovanni Mugnaini a interpretare il testo, con l’accompagnamento di foto e video.
Il gigantesco gruppo marmoreo, custodito nel Museo del Duomo di Firenze, è una delle opere più rappresentative dell’Umanesimo fiorentino. Per questo fu scelta tra i simboli del convegno nazionale della Chiesa italiana che nel 2015 portò a Firenze papa Francesco, e che aveva per titolo «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo». Aveva già passato i settant’anni, Michelangelo, quando iniziò a scolpire questo blocco di marmo nella sua casa romana. La sua salute era compromessa. La sua fama non gli basta più. Il suo timore è per la morte, per il giudizio divino che l’aspetta. In quel periodo lavora alla costruzione della cupola di San Pietro, un’impresa che lo turba e lo preoccupa. Nella sua casa però, di notte, quando l’insonnia lo tormenta, batte furiosamente su quel pezzo di marmo. Quella Pietà sarà il suo monumento funebre. Il suo testamento. E nella figura barbuta di Nicodemo, che domina la scena, l’artista dà il suo volto: è il suo autoritratto.
Cosa vuole comunicare Michelangelo? Perché si dedica con tanto accanimento su quest’opera che nessuno gli ha richiesto? Il testo di Riccardo Bigi cerca risposte a queste domande rifacendosi alle interpretazioni date da storici e studiosi, nel corso dei secoli: da quelle del Vasari a quelle recenti di Antonio Paolucci. Ma per capire cosa passava nell’animo dell’artista mentre si affannava su quel lavoro è interessante leggere anche quello che lui stesso scriveva, negli stessi anni, nelle rime e nei sonetti che componeva o nelle lettere che mandava a familiari e amici. In quegli anni di grande fermento per la cristianità (sono gli anni di Savonarola, di Lutero, di Calvino) Michelangelo si interroga, nel circolo romano di Vittoria Colonna, sui grandi dubbi della fede. Come salvarsi l’anima? La risposta che Michelangelo trova, e che ci offre, è nel nome stesso dato alla sua opera. La pietà. Un termine usato nella liturgia per tradurre l’eleison greco e il miserere latino. Questi i sentimenti che animano Michelangelo fino alla notte in cui, ormai ottantenne, in un impeto di rabbia e disperazione cercherà di distruggere la sua opera prendendola a martellate.
Una storia da ascoltare che ancora una volta, il 18 agosto a Montemignaio, prenderà voce. In attesa, dopo l’estate, di altri possibli appuntamenti.