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Messa sul web e in tv: la tecnologia ci aiuta, ma assistere non è partecipare
Stiamo passando l’ennesima domenica senza celebrazione eucaristica. Dalla “Fase 2” del Governo sono esclusi i riti cattolici, a eccezione – ad alcune condizioni – dei funerali. Ciò è avvenuto nonostante una proposta ben precisa della CEI, che coniugava il pieno rispetto di tutte norme sanitarie con l’indispensabile esercizio della libertà di culto. Auguriamoci che questa decisione non sia dettata dall’idea, ad esempio, che le messe in chiesa siano la stessa cosa delle messe in video. Non è proprio vero.
Certo: meno male che le messe in video ci sono. Permettono di mantenere la relazione con il sacramento e il legame che unisce la comunità cristiana. Ma – lo dobbiamo ricordare una volta di più – una messa online non sostituisce affatto la celebrazione a cui possiamo presenziare. Non si può fare confusione tra un evento a cui si partecipa e un evento a cui semplicemente si assiste.
È una confusione che si verifica spesso nell’epoca dei social network. Quando usiamo una piattaforma, infatti, ci troviamo a sostituire le esperienze che facciamo nelle relazioni faccia a faccia con le interazioni che sperimentiamo in un ambiente digitale. D’altronde gli eventi che accadono in rete sono altrettanto coinvolgenti, se non più emozionanti, di quelli che si verificano nella vita quotidiana. Lo sono al punto che qualche studioso ha definito la nostra vita una vita ormai onlife: facendo la sintesi di online e life (vita) per sottolineare l’incapacità, ormai, di distinguere fra questi due ambiti.
Ma pensare che sia la stessa cosa è pericoloso e fuorviante. Lo è per un motivo molto semplice: se lo crediamo e ci comportiamo di conseguenza, finiamo per perdere qualcosa di noi stessi. Perdiamo lo spessore di certe relazioni, l’occasione di certi tipi d’incontro. In effetti la storia della comunicazione procede per aggiunte, non per sostituzioni. Ci offre nuove possibilità, non meno occasioni. Quando l’umanità ha imparato a scrivere, non per questo la comunicazione orale è cessata.
Il caso della messa, da questo punto di vista, è indicativo. Un’indagine dell’Università LUMSA ha mostrato un incremento nella frequenza con cui le persone assistono alle messe domenicali in video, in questi tempi di emergenza, anche da parte di chi in chiesa solitamente si reca poco. I motivi sono comprensibili e il dato, certamente, non è negativo. A prescindere dal fatto che, forse, nell’esperienza drammatica della pandemia, le persone qualche domanda di fondo se la pongono – quelle domande a cui il cristianesimo offre risposta –, è indubbio, come viene dichiarato da chi è intervenuto nell’indagine, che assistere alla messa dal proprio computer o dalla propria tv, senza spostarsi da casa, è più “comodo”. Ciò inoltre viene incontro, come sottolineava un articolo di “Avvenire”, a una tendenza “gnostica” – la tendenza a una fede disincarnata, all’acquisizione di una serie di conoscenze poi non calate nella pratica – che si sta diffondendo sempre di più nel nostro tempo.
Ma proprio l’esempio delle messe online ci permette di capire la differenza tra i vari modi di fare esperienza e di riflettere su come un rito può essere pienamente fruito. Assistere semplicemente a un evento, infatti, non è parteciparvi davvero. O meglio, risulta un modo solo riduttivo di prenderne parte. Sarebbe come mettere sullo stesso piano il fatto di poter guardare una partita di calcio in tv e di poterla giocare realmente, in prima persona. Scendere in campo è tutta un’altra cosa. Ma forse, ripeto, c’è ancora chi crede che non vi sia nessuna differenza. E che si possa attingere alle sorgenti della propria fede standosene stravaccati su un divano.