Vita Chiesa

Mercoledì delle Ceneri, card. Betori (Firenze): “La pace nasce solo dai cuori convertiti dall’amore di Dio”

Ecco il testo integrale dell’omelia:

«Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12), dice il Signore. L’invito alla conversione che dà il tono alla nostra Quaresima ha la forma di un ritorno. Se dobbiamo tornare è perché abbiamo perduto il legame con le nostre radici. Peccare non è semplicemente trasgredire una legge, ma uscire dal luogo in cui è posta la nostra identità, abbandonare la verità di noi stessi. E Dio ci ricorda che solo lui è la sorgente del nostro essere.

Convertirsi non è propriamente cambiamento nell’agire, ma anzitutto cambiamento nell’essere. Non si tratta semplicemente di mutare il nostro comportamento ma di orientare in modo nuovo la nostra esistenza. Lontano da noi il moralismo. Lontano da noi la riduzione dell’agire etico a una osservanza di norme. L’osservanza, il comportamento devono scaturire da una precisa identità, da una coscienza che riconosce la propria verità.

Nella fluidità della nostra società, dove si sono smarriti gli ancoraggi sicuri, dove si è perduto ogni riferimento certo, e dove tutto e il contrario di tutto è possibile, l’uomo ha perso la coscienza di un’origine verso la quale rivolgersi, e naviga a vista in mezzo a pulsioni contraddittorie, seguendo l’uno o l’altro vento che lo sospinge ad approdi a cui chiede solo il carattere della novità e del superamento di ogni precedente limite. «Fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina», direbbe l’apostolo Paolo (Ef 4,14). Una dottrina, un pensare diffuso, che induce oggi ad abbattere i termini dell’identità verso la sua manipolazione in forza della scelta soggettiva, in realtà suggestionati dai canoni sociali dominanti. Identità che, a scanso di equivoci, non implica opposizione ed esclusione, ma al contrario relazione e condivisione.

Non basta però ritrovare la chiarezza di un’identità, perché la rivelazione ci dice che essa è strettamente legata al nostro legame con Dio. Da lui noi traiamo origine e verso di lui è il nostro compimento. E qui occorre riconoscere che molti uomini e donne tra noi hanno perduto il loro radicamento in Dio. Dio è scomparso dal loro orizzonte esistenziale; se rimane ancora nel loro vocabolario, non rappresenta più però una presenza viva e significativa nelle scelte quotidiane, colui da cui trae origine la nostra vita e il suo significato.

Solo scavando a questa profondità, che è quella della fede, è possibile fare della conversione un gesto che interessa e redime realmente la nostra persona, ridandole l’identità di una creatura che si apre al dialogo con il suo Creatore. Il problema di Dio resta il problema fondamentale per gli uomini: con Lui o senza Lui, tutto cambia. La partita si gioca tra un uomo chiuso in sé stesso, nell’illusione di poter conquistare un’autonomia assoluta, che lo renda pienamente padrone di sé, e un uomo fiduciosamente aperto alla trascendenza, che scopre come solo nel dialogo con Dio, che lo ha voluto per amore, possono aprirsi orizzonti di speranza che oltrepassano ogni suo desiderio.

E l’amore di Dio per noi è l’altro elemento fondamentale della nostra conversione. Se c’è un cammino da fare verso Dio, possiamo essere certi che Dio sta camminando verso di noi. Lo ha fatto nel suo Figlio Gesù. Ci ha detto san Paolo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,20-21). L’esito della conversione non è frutto della nostra volontà, ma dono dell’amore di Dio, opera della sua grazia. Ascoltiamo ancora san Paolo: «Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,1-2). Lo aveva annunciato il profeta: «[Dio] è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male. […] Il Signore… si muove a compassione del suo popolo» (Gl 2,13.18). Il nostro Dio ha un cuore, nutre profondi sentimenti, si ravvede e si muove a compassione, si china con misericordia sulla miseria umana, quando l’uomo si apre a lui.

Questa fede ci guida anche nel tempo presente in cui sono ricomparsi tragici scenari di guerra accanto a noi. La ricomposizione delle relazioni tra i popoli secondo giustizia è possibile solo a partire dal riconoscimento dell’unità della famiglia umana fondata sul riconoscimento dell’unico Dio creatore per amore. Questo stretto legame tra fede in un Dio che è amore e impegno per la fraternità tra i popoli aiuta a comprendere l’affermazione di Giorgio La Pira, per cui «la preghiera è più potente della bomba atomica», perché le bombe creano solo distruzione e la pace nasce solo dai cuori convertiti dall’amore di Dio. Per questo oggi accogliamo l’esortazione del Papa a vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Ucraina.

È una scelta che si pone nell’orizzonte che non basta rifare spazio a Dio nella nostra vita o, meglio, collocare la nostra vita nello spazio di Dio: occorre anche lasciarlo agire in noi con il suo amore. La redenzione non è infatti opera nostra; la nostra conversione ne pone soltanto le condizioni di possibilità. Chi agisce e trasforma, ricostruendo le fattezze del nostro vero volto è Dio. Il cammino della Quaresima è abbandonarci all’azione di Dio che, mediante la sua Parola, con la vita divina comunicata dai sacramenti della Chiesa, per la forza rigenerante dello Spirito di carità, ci modella secondo il disegno che ha pensato per ciascuno di noi.

Così rigenerati saremo anche capaci di compiere le opere di Dio. Gesù nel vangelo ce ne offre un’immagine riprendendo gli ambiti di esercizio delle religiosità secondo i canoni ebraici, indicandone lo spirito con cui vanno vissuti. Ma quello stesso spirito deve permeare tutto il nostro agire e farlo operoso nel fare il bene dei fratelli, come chiede Papa Francesco nel Messaggio per questa Quaresima. Egli ci esorta con le parole di Paolo ai Galati: «Non stanchiamoci di fare il bene» (Gal 6,9), e le declina così: «Non stanchiamoci di pregare. […] Nessuno si salva da solo, perché siamo tutti nella stessa barca tra le tempeste della storia; ma soprattutto nessuno si salva senza Dio […]. Non stanchiamoci di estirpare il male dalla nostra vita […], di combattere la concupiscenza, quella fragilità che spinge all’egoismo e ad ogni male […] Non stanchiamoci di fare il bene nella carità operosa verso il prossimo. […], prendendoci il tempo per amare i più piccoli e indifesi, gli abbandonati e disprezzati, chi è discriminato ed emarginato» (Francesco, Messaggio per la Quaresima 2022, n. 2).

Per vivere con perseveranza questi tragitti di conversione valorizziamo le proposte che vengono dalla diocesi, anzitutto negli appuntamenti liturgici e di meditazione della parola Dio nella cattedrale, ma anche nelle iniziative promosse dalla Caritas nel contesto della “Quaresima di Carità”, l’una rivolta a sostenere i giovani con “borse lavoro”, l’altra per essere vicini ai fratelli cristiani di Betlemme, iniziative a cui si aggiunge ovviamente la raccolta di aiuti per i fratelli ucraini nella guerra, come pure quanto le nostre comunità parrocchiali prospetteranno per dare concreta espressione a un popolo penitente che vuole dire al mondo quanto sia necessario il bisogno di salvezza e come esso trovi il suo sicuro approdo nella persona di Gesù.

 

Giuseppe card. Betori