Toscana
Meno guerre ma più armi. E l’export vola
di Claudio Turrini
La buona notizia è che i conflitti armati nel mondo stanno diminuendo. Nel 2009, purtroppo, si contavano ancora 6 «guerre», di quelle che provocano almeno mille morti in un anno, e 36 conflitti. Ma nel 1991 erano rispettivamente 16 e 50. Quella brutta è che la produzione e il commercio delle armi, dopo un graduale decremento per tutti gli anni ’90, sono tornati a crescere impetuosamente. Dal 2000 ad oggi segnano un +50%, raggiungendo (dati 2009) i 1.500 miliardi di dollari. Una ripresa che ha fatto da traino anche al commercio internazionale di armamenti, che negli ultimi cinque anni è cresciuto del 22% rispetto al quinquennio precedente. Con l’Italia che nel quadriennio 2006-2009 ha conquistato quote significative di mercato, diventando il primo esportatore al mondo di armi non militari ed il secondo esportatore di armi leggere civili e militari dietro gli Usa. Un settore, quest’ultimo, che nel giro di 30 anni ha quintuplicato il fatturato annuo, attestandosi attorno ai 2 miliardi di dollari. E non si pensi che queste armi siano meno pericolose di quelle esplicitamente «da guerra». «Dei 49 maggiori conflitti degli anni ’90 si legge in un rapporto dell’Onu 47 sono stati intrapresi con armi leggere come armamenti preferiti. Le armi leggere sono responsabili di oltre mezzo milione di morti l’anno, 300 mila delle quali in conflitti armati e più di 200 mila da omicidi e suicidi». Sempre secondo l’Onu, le armi leggere destabilizzano intere regioni, provocano, alimentano e prolungano i conflitti, ostacolano i programmi di soccorso, aggravano gli abusi sui diritti umani e in definitiva favoriscono una «cultura della violenza».
Un ottimo strumento per capire l’evoluzione del mercato degli armamenti arriva dai ricercatori di Ires Toscana, che venerdì 14 gennaio hanno presentato a Firenze gli ultimi volumi dell’«Annuario armi-disarmo Giorgio La Pira». Nel quarto di questi tomi, curato da Chiara Bonaiuti e Achille Lodovisi («Sicurezza, controllo e finanza. Le nuove dimensioni del mercato degli armamenti», edito da Jaca Book) anche un’analisi dell’export italiano di armamenti che ha registrato una crescita del 61% nel 2009, quando il nostro paese ha esportato tra l’altro quasi 250 milioni di euro in armi da fuoco civili, con una quota del mercato mondiale che ormai si attesta stabilmente tra il 15% e il 20%.
«L’export effettivo di armi italiane ha spiegato Francesco Terreri, uno dei ricercatori è raddoppiato in 10 anni. I destinatari maggiori sono paesi amici e alleati come la Gran Bretagna, gli Usa e la Germania, ma anche paesi del Medio Oriente». Come Libia (6 milioni di dollari), Giordania (2 milioni), Egitto (2 milioni), Emirati Arabi Uniti (1,9 milioni) fino allo Yemen dove operano molti gruppi terroristici. «Abbiamo scoperto ha proseguito Terreri che nell’ultimo decennio il 15% dell’export italiano (1 miliardo 732 milioni di euro) è stato diretto verso paesi in guerra, e il 16% a paesi dove sono violati gravemente i diritti umani. È relativamente poco rispetto a prima della legge 185/90, ma è tanto perché i paesi in conflitto o che violano i diritti umani per fortuna stanno diminuendo». I ricercatori hanno sottolineato che, secondo l’ultimo rapporto ufficiale della Ue sull’export di armamenti, nel 2009 i paesi dell’Unione hanno incrementato le esportazioni del 20%. «I paesi del sud del mondo ha sottolineato un altro ricercatore, Giorgio Beretta assorbono oltre il 53% del totale».
Dopo la fine della «guerra fredda» l’industria militare si è completamente trasformata, con la nascita di grosse concentrazioni e di joint venture. Delle prime 100 aziende solo sei hanno registrato una diminuzione di fatturato nel 2008. Complessivamente in quell’anno le loro vendite sono cresciute da 315 a 385 miliardi di dollari. Nel vecchio continente la ledership è dell’inglese «BAE System», seguita dal consorzio «Eads» (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna) e dall’italiana «Finmeccanica», che negli ultimi decenni ha progressivamente assorbito quasi tutte le aziende italiane del settore, con acquisizioni strategiche anche all’estero (nel 2008 ha rilevato ad esempio la statunitense «Drs Technologies», specializzata in elettronica per la difesa, per 5,2 miliardi di dollari) raggiungendo il nono posto a livello mondiale. Nata nel 1948 come holding di aziende quali Alfa Romeo, Ansaldo e Aeritalia, negli anni 90, dopo essere stata quotata in borsa e aver rilevato dalla Stet Selenia ed Elsag, Finmeccanica acquisì molte aziende già in orbita Efim, tra cui le Officine Galileo di Firenze, Breda Meccanica Bresciana (munizioni), la Oto Melara della Spezia (artiglieria), la Agusta di Varese (elicotteri) e nel 1996 la Breda Costruzioni Ferroviarie (poi Ansaldo-Breda). È controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, principale azionista con una quota pari al 32,45% delle azioni (e che non può scendere sotto il 30%).