Caro Direttore,sento dentro di me qualcosa da esternare nei confronti di questa frenesia efficientistica che non solo ha contagiato il mondo, ma che sta coinvolgendo anche la Chiesa.La lunga esperienza (ho quasi sessant’anni di sacerdozio) mi fa affermare che, con tutti i nostri convegni, tavole rotonde, aggiornamenti, spostamenti in tutte le direzioni senza un momento di tregua, finiamo di innalzare un gran polverone. Invece di avere idee più chiare ci troviamo in una confusione tale da non capirci più niente o quasi.Proporrei di credere di più alla preghiera, alla vita sacramentale vissuta, alla continua fiducia in Dio, la cui amorosa provvidenza mai potrà abbandonarci.Insomma anche noi, vescovi e preti confusi, ci siamo troppo secolarizzati, credendo più alle nostre scelte (è tanto di moda oggi questa ambigua parola) che non alla Scelta di Colui, che disse e dice ancora: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». Questa a me pare che sia la vera rivoluzione, il vero cambiamento, in una parola la «conversione» che attende da noi il Signore, paziente e benigno, lento all’ira e grande nell’amore.Don Duilio SgreviOlmo – ArezzoI problemi, che anche come comunità ecclesiale ci troviamo ad affrontare, hanno tutti la caratteristica dell’emergenza e certamente richiedono soluzioni rapide e appropriate. Questo ci spinge all’azione e spiega e in parte giustifica le tante attività che riempiono le nostre giornate in un susseguirsi di riunioni, incontri, tavole rotonde, fino… alle cene di lavoro, con il rischio che lei, caro don Sgrevi, evidenzia bene e cioè cadere in una frenesia efficientista. È un pericolo che anche noi cristiani corriamo col rischio di caratterizzarsi sempre più come Chiesa corrente! Che fare allora? Credo sia importante, proprio per rispondere alla complessità dei problemi, privilegiare, e per tanti aspetti riscoprire, il valore della riflessione attenta e dell’analisi approfondita che permettono di elaborare le strategie più appropriate che richiedono tempi lunghi e non assicurano risultati immediati, ma che evitano quel girare a vuoto che disperde energie ed è fonte di delusione. Spesso anche noi, con gli apostoli diciamo «abbiamo pescato tutta la notte e non abbiamo preso nulla».Il Papa, nella sua prima Enciclica “Deus caritas est”, coglie bene questa situazione e «di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani» dichiara che «è venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera». Un pregare che non è certo evasione, ma è «mezzo di attingere sempre di nuovo forza in Cristo» nella consapevolezza che «chi prega non spreca il suo tempo».E cita la beata Teresa di Calcutta che è «un esempio molto evidente del fatto che il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all’efficacia e all’operosità dell’amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l’inesauribile sorgente».Ma Benedetto XVI ci indica anche l’atteggiamento che deve caratterizzare l’impegno del cristiano in ogni campo: «farà in umiltà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore» nella consapevolezza che «è Dio che governa il mondo non noi».