Lettere in redazione

Meglio tornare ai valori della civiltà contadina

La scuola, gli ospedali, il trasporto, la casa, l’acqua, l’energia elettrica, il gas, le telecomunicazione devono tornare sotto il controllo diretto dello Stato cioè del popolo. Queste rappresentano le necessità fondamentali della persona umana. Non possono essere considerate merce. Non possono diventare possesso delle società per azioni, dove domina il profitto. L’uomo deve essere al centro di queste necessità. Il libero mercato è fallito. Il prodotto interno lordo, misuratore della ricchezza, non è più l’indicatore di benessere. Andando a lavorare in bicicletta il prodotto interno lordo diminuisce ed io sono più felice. Se produco yogurt in casa il prodotto interno diminuisce, se dono qualcosa prodotto da me, il prodotto interno lordo diminuisce. La decrescita felice deve essere il nostro obbiettivo. Consumare di meno, fare prodotti che durano, auto piccole alimentate a gas e una per famiglia. Bisogna fermare il consumismo se vogliamo salvare la nostra società. I giovani devono riscoprire le mani come strumento di creatività. Bisogna ritornare ai valori della civiltà contadina. La terra è la nostra salvezza umana come Gesù è la nostra salvezza divina.

R.L.Firenze Che il liberismo abbia fallito oggi lo riconoscono in tanti. Questa crisi finanziaria, causata dalla spregiudicatezza di chi esaltava il libero mercato, ha mostrato come anche in economia non si possa fare a meno di regole. Ma attenzione ad ideologizzare il tempo andato e la superiorità della civiltà contadina. Il mio bisnonno, Pietro Serafino, contadino a Torsoli di Lucolena, nella seconda metà dell’Ottocento, ebbe dieci figli: Maria Antonietta, morta ad un anno, Giuseppe, che non arrivò a due, Federigo e Giuseppe, anche loro morti entro l’anno, Giuseppa e Raffaello, morti a due anni. Sei su dieci. Questa era la dura realtà delle nostre campagne, con basso livello di scolarizzazione, denutrizione, malattie, miseria. La crescita del prodotto interno lordo non porta automaticamente con sé migliori condizioni di vita per tutti i cittadini. Ma l’impoverimento economico di un paese (quando il Pil è negativo) ha sempre significato difficoltà per ampie fasce della popolazione e un aumento di quella nella soglia della povertà. Sì, allora, a comportamenti eticamente responsabili e controcorrente rispetto al consumismo. Ma non pensiamo di far star meglio le persone, impoverendole.Claudio Turrini