Lettere in redazione
Meglio la difesa da cancro, Aids e povertà
Di recente il prof. Umberto Veronesi ha dichiarato riferendosi ad uno studio della Bocconi sulle spese militari che la vera guerra da combattere è quella contro il cancro, l’Aids, la povertà, la fame. Finora le proposte e le decisioni del Governo, contenute nella manovra finanziaria per ridurre la spesa pubblica, riguardano la scuola, l’università, la ricerca, assieme ai tagli agli enti locali che si tradurranno in un forte abbassamento della protezione e dell’assistenza sociale a scapito delle fasce più bisognose. Si taglia in quei settori che dovrebbero essere oggetto di più «cura» per chi governa. Non si modifica sostanzialmente la spesa militare, specie quella sull’acquisto di armamenti da combattimento, mentre sarebbe opportuno consolidare gli investimenti su tecnologie e mezzi atti a salvaguardare e garantire la sicurezza interna e dei soldati in missione.
Le cifre sono più eloquenti di ogni considerazione. Il nostro Paese spende per la ricerca contro il cancro, che causa 150 mila morti ogni anno, poco più dell’1% dell’ammontare delle spese militari: l’equivalente di 225 milioni di dollari contro i 20 miliardi.
C’è da chiedersi, come ha detto l’illustre scienziato, se «abbiamo più a cuore le armi dei malati in Italia». Non è «demagogia» come sostiene l’attuale Governo sollevare il problema sulla riduzione delle spese militari. Si tratta piuttosto di inquadrare il concetto di «difesa» ai significativi principi costituzionali, privilegiando e sostenendo interventi e risorse mirate a rimuovere, nel nostro Paese e altrove, situazioni strutturali di ingiustizia, di miseria, di sottosviluppo.
Secondo l’autorevole Sipri (Stockholm International Peace Research Institute – Yearbook 2010) nel 2009 l’Italia ha speso 35,8 miliardi di dollari in armamenti, posizionandosi al decimo posto nel mondo (il 2,3% di una «torta» di ben 1.531 miliardi di $). Gli Usa, con 661 miliardi sono saldamente al primo posto (con il 43% delle spese mondiali). La classifica vede poi Cina (100 miliardi), Francia (63,9), Gran Bretagna (58,3) Russia (53,3), Giappone (51), Germania (45,6), Arabia Saudita (41,3) e India (36,3). La spesa procapite è alta (598 dollari, contro i 2.100 statunitensi e i 1.026 della Francia), superiore a quella di paesi come Russia e Giappone. L’anno prima, con 40,6 miliardi di dollari l’Italia occupava l’ottava posizione nella «top ten» mondiale. C’è stata quindi una riduzione. Tra i grandi, l’Italia è infatti il paese che ha tagliato di più nel periodo 2000-2009. E questo mentre la spesa mondiale per armamenti è sempre cresciuta (nel solo 2009, +5,9%). Ma per il 2010, ad esempio, lo stanziamento complessivo è di 20.364 milioni di euro, segnando un +0,3% sul 2009, in controtendenza con i tagli che hanno investito un po’ tutti i settori, dagli enti locali alla scuola. E da qui al 2026, ad esempio, avremmo dovuto spendere 29 miliardi per 131 cacciabombardieri F-35 e una decina di fregate. Il ministro La Russa ha detto di aver rinunciato a 25 Eurofighter e ad alcune navi per tagliare almeno 5 miliardi di euro. Ma anche di averlo fatto «spontaneamente», non perché deciso dal governo. Capisco che non sia facile ridurre queste spese. Ci sono di mezzo impegni internazionali e commesse alle nostre aziende. Ma una razionalizzazione è sempre più urgente, non solo per rispondere alle mutate esigenze di «difesa», ma anche per poter combattere «guerre» ben più importanti.