Italia
Meeting di Rimini, cristiani protagonisti
«Protagonisti si è quando si obbedisce al proprio cuore e non quando si è i primi della classe». Giorgio Vittadini presidente della Fondazione per la sussidiarietà e storico esponente del movimento di Comunione e Liberazione, riassume così la riflessione più importante che il popolo del Meeting porta a casa dall’evento di Rimini (24-30 agosto). Mostre, incontri e convegni nei padiglioni della Fiera sono stati, per Vittadini, l’occasione per capire che «quella cristiana è una gran bella esperienza». Il Meeting di quest’anno, intitolato «O protagonisti o nessuno», che si è aperto con l’intervento del card. Angelo Bagnasco, che ha rivendicato un diritto di espressione per la Chiesa nella società e nel mondo, si è svolto nei giorni delle violenze anticristiane in India. «È evidente commenta Vittadini che bisogna tutelare sotto il profilo politico internazionale questa presenza perché l’intolleranza verso la Chiesa è intolleranza verso l’uomo». A conclusione del Meeting, è stato presentato il tema dell’edizione 2009, la trentesima: «La conoscenza è sempre un avvenimento».
Presidente, il bilancio finale dell’organizzazione parla di una presenza di circa 700 mila persone: cosa porta a casa questo «popolo»?
«Il popolo del Meeting che è un popolo mondiale, sia per gli ospiti che per i partecipanti, visto che erano presenti persone di sessanta Paesi, torna a casa capendo che protagonisti si è quando si obbedisce al proprio cuore e non quando si è i primi della classe. L’altra cosa che portano a casa i partecipanti è che l’esperienza cristiana è una gran bella esperienza, è l’esperienza di una soddisfazione che si può vivere anche in condizioni di vita difficile. Le testimonianze, che sono state il cuore del Meeting, dai favelados di San Paolo ai malati di Aids di Kampala, ai ragazzi del rione Sanità di Napoli, ci hanno fatto vedere gente che è diventata protagonista in condizioni di vita difficilissime. Per non parlare dei detenuti, a cui era dedicata una mostra, persone che hanno mostrato una libertà nella vita del carcere impressionante, da cui si capisce che la prima libertà è quando si risponde a se stessi».
Il Meeting si è aperto con l’intervento del card. Angelo Bagnasco, che ha parlato di una Chiesa che si vorrebbe «chiudere in chiesa»: si apre per il mondo cattolico una nuova stagione di protagonismo?
«Il modo migliore di rispondere all’appello del cardinale è vivere non chiusi. La gente che sta qui al Meeting non la chiudi neanche se la metti in galera, come si è visto anche nella mostra sulle carceri. La fede è un’esperienza, è un giudizio sulla realtà che riconosce una presenza che può essere conosciuta ovunque».
Durante i giorni di Rimini si è alzato un richiamo forte al diritto di libertà religiosa proprio quando si verificavano atti di violenza anti-cristiana in India…
«Perseguitano i cristiani perché ci sono, ci sono in tutti i punti della Terra, vivono in mezzo agli altri, si legge nella Lettera a Diogneto. È evidente che bisogna tutelare sotto il profilo politico internazionale questa presenza perché l’intolleranza verso la Chiesa è intolleranza verso l’uomo, è un’equazione perfetta. È una priorità che deve essere fatta propria soprattutto dalle nazioni occidentali».
Federalismo fiscale e sussidiarietà sono stati i temi di attualità politica del Meeting: non le sembra che le preoccupazioni che il federalismo diventi un centralismo più localizzato e che non garantisca ai cittadini di alcune parti del Paese lo stesso livello di servizi siano preoccupazioni realistiche?
«Il federalismo in seno alla sussidiarietà: avvicinare il punto di decisione per permettere che la gente decida. Senza questo abbiamo semplicemente un centralismo locale. Questo è il tema che abbiamo sviluppato in tanti anni di Fondazione per la sussidiarietà e che forse più che in altri momenti oggi è tenuto presente. Negli anni scorsi si parlava di decentramento o devolution, ipotesi in cui l’idea della sussidiarietà non c’era. Adesso è ben presente e in termini bipartisan. Altro punto importante: i soldi che si sprecano. Il federalismo è spendere i soldi che si hanno. Lo spreco non è per i poveri, lo spreco è spreco, quindi spero che il federalismo venga accompagnato da misure di perequazione, ovvero che i soldi raccolti nelle Regioni ricche vadano nelle Regioni povere. Ma questo è un correttivo di oggi: i soldi sono sprecati, non vanno ai poveri, vanno nelle burocrazie statali e regionali. Lo spreco non è per i poveri e per gli altri, è spreco di risorse che bisogna eliminare per migliorare le prestazioni, sia in termini di efficienza sia di equità».
Ma quello tra federalismo fiscale e sussidiarietà, soprattutto orizzontale, è un «matrimonio» veramente possibile?
«Si devono fare insieme: mentre si fanno le norme di federalismo fiscale deve essere detto che è per fare i voucher, per fare la dote, per la libertà di scelta della gente, per il non-profit. Nelle norme di attuazione del federalismo deve essere affrontato questo tema, non può essere fatto dopo».